
La sicurezza del medicinale: etica e coscienza per il farmacista
Non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio
sugli effetti di molecole che hanno come fine quello di evitare
l’annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una
persona.
L’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio
per la Pastorale della Salute, ha rilanciato questa pesante
denuncia durante il congresso mondiale della federazione
internazionale farmacisti cattolici, svoltosi dall’11 al 14
settembre a Poznan, in Polonia, sul tema “La sicurezza del
medicinale: etica e coscienza per il
farmacista“.
“La contraffazione e la falsificazione dei farmaci – ha detto
l’arcivescovo nel suo intervento – colpisce innanzitutto i soggetti
in età pediatrica. Falsi antibiotici e falsi vaccini
producono gravi ripercussioni negative sulla loro salute. Molte
sono le morti per malattie respiratorie nei bambini africani,
sicuramente più numerose se curate con antibiotici falsi,
senza principio attivo e in compenso acquistati a caro prezzo.
L’uso di antibiotici sottodosati in altri casi induce a fenomeni di
selezione di ceppi batterici resistenti. Per quanto riguarda gli
eccipienti, si usano sostanze tossiche che possono portare alla
morte bambini, come è avvenuto ad Haiti o in Nigeria”.
Un comportamento scandaloso, come aveva denunciato Benedetto XVI
presentando l’enciclica Caritas in veritate “che ci spinge a collocare – ha detto
l’arcivescovo presidente – il
tema della sicurezza del medicinale tra le emergenze sanitarie ed
etiche nei Paesi in via di sviluppo, dove il farmaco per l’uomo
è il farmaco per la vita“. Il fenomeno infatti
riguarda innanzitutto i farmaci salva vita. Secondo studi dell’Oms
un quarto dei farmaci acquistati per strada nei Paesi poveri
è contraffatto. In questa situazione monsignor Zimowski
invita tutti, in particolare i farmacisti cattolici “a denunciare con coraggio tutte le forme di
contraffazione e falsificazione dei medicinali e a opporsi alla
loro distribuzione“.
Il presule ha poi citato il magistero di Giovanni Paolo II e di
Benedetto XVI per ribadire il ruolo del farmacista cattolico nel
servizio alla vita. In questa sua missione, infatti, egli “non
può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome
delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti
legislazioni” come sosteneva Papa Wojtyla nel discorso rivolto alla
federazione internazionale dei farmacisti cattolici il 3 novembre
1990…. Per Giovanni Paolo II il “guadagno, legittimo e
necessario, dev’essere sempre subordinato al rispetto della legge
morale e all’adesione al magistero della Chiesa“. Per il
farmacista cattolico – diceva ancora – “l’insegnamento della
Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona
umana, dal suo concepimento fino ai suoi ultimi momenti, è
di natura etica e morale. Non può essere sottoposto alle
variazioni di opinioni o applicato secondo opzioni
fluttuanti“.
Quanto al magistero di Benedetto XVI, monsignor Zimowski ha
ricordato quanto detto nell’udienza concessa ai partecipanti al xxv
congresso internazionale dei farmacisti cattolici nel 2007. In
quella occasione …. affermò: “Non è possibile
anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole
che hanno come fine quello di evitare l’annidamento di un embrione
o di abbreviare la vita di una persona. Il farmacista deve invitare
ciascuno a un sussulto di umanità, affinché ogni
essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte
naturale e i farmaci svolgano veramente il ruolo
terapeutico“.
L’arcivescovo ha concluso il suo intervento riproponendo l’appello
di Papa Ratzinger sempre in quel novembre 2007, affinché “le
diverse strutture farmaceutiche, dai laboratori ai centri
ospedalieri, e anche tutti i nostri contemporanei, si preoccupino
della solidarietà nell’ambito terapeutico, per permettere
l’accesso alle cure e ai farmaci di prima necessità a tutte
le fasce della popolazione e in tutti i Paesi, in particolare alle
persone più povere”. Il Papa si riferiva in particolare ai
bambini dai quali “si leva
– disse – un silenzioso
grido di dolore che interpella la nostra coscienza” di
uomini prima ancora che di credenti. Dunque che “la missione della scienza e anche delle
aziende del farmaco“, come qualcuno rivendica, sia
effettivamente quella di “offrire soluzioni ai problemi della
gente” ma di tutta la gente, anche se povera, poverissima al punto
di non potersi pagare una “soluzione” a problemi di
sopravvivenza, “legati a
patologie o a percorsi di vita” ovunque le sia stato dato di
vivere la propria esistenza in questo mondo.