
Lasciato morire perchè nato 48 ore prima.
L’incredibile storia del piccolo Jayden
Si può ancora definire civile un Paese in cui una madre
è costretta, in ospedale, ad assistere impotente
all’agonia del proprio figlio e alla gelida
impassibilità dei medici pronti a ricordarle che quel figlio
è soltanto un feto?
L’episodio è accaduto in Gran Bretagna dove una
giovane donna, Sarah Capewell, ha dato alla luce un bimbo, Jayden,
dopo 21 settimane e cinque giorni di gravidanza.
Il personale sanitario si è rifiutato di sottoporre il bimbo
prematuro alle cure intensive che forse gli avrebbero consentito di
sopravvivere. La sua colpa era quella di essere nato due giorni
prima delle canoniche 22 settimane. Di fronte al disperato appello
di salvare il proprio figlio, quella giovane madre si è
sentita rispondere dai medici del James Paget Hospital di
Gorleston, Norfolk, che lei non aveva partorito un neonato ma, a
termini di legge, aveva abortito un feto vivente. Con il tatto
impietoso di chi ha ormai perso qualunque senso di umanità,
i medici dell’ospedale hanno spiegato a Sarah Capewell, che
quello che lei si ostinava a chiamare il suo bambino, era in
realtà, sotto il profilo giuridico, semplicemente un feto,
quindi un soggetto privo di alcun diritto. Il piccolo Jayden
avrebbe dovuto nascere 48 ore più tardi perché,
secondo regolamento, si potesse definirlo persona, e quindi
riconoscergli il diritto a essere salvato.
Le linee guida stabilite dalla British Association of Perinatal
Medicine, rigidamente seguite negli ospedali pubblici britannici,
stabiliscono, infatti, che deve considerarsi best interest dei
bambini non nascere prima delle 22 settimane, e altrettanto best
interest far morire i piccoli che abbiano avuto la disavventura di
venire al mondo qualche giorno prima della fatidica scadenza.
Così, l’agonia del piccolo Jayden è durata due
ore, sotto gli sguardi gelidi e indifferenti del personale
sanitario. Neppure la più piccola assistenza è stata
prestata durante quelle lunghissime ore, così come è
stata recisamente respinta la supplica della madre per poter
celebrare il funerale del bimbo. La risposta delle autorità
sanitarie è stata sempre la stessa: «He hasn’t
got a human right, he is just a foetus». Lo sconforto assale
Sarah, quando, più tardi, viene a sapere che Amillia Taylor,
una bambina americana nata addirittura dopo sole 21 settimane e sei
giorni, oggi vive perfettamente sana e ha festeggiato il suo
secondo compleanno.
La tristissima vicenda di Sarah Capewell e del suo piccolo Jayden,
richiamano alla mente il concetto di banalità del male e la
patetica figura di Adolf Eichmann, il burocrate nazista che
giustificò con l’obbligo morale dell’obbedienza
alla legge, le più efferate nefandezze. Al suo processo, nel
1961, Eichmann stupì il mondo quando, di fronte ad una Corte
basita ed esterrefatta, si mise a citare a memoria passi della
Critica della Ragion Pratica di Kant, per poi dichiarare che
l’imperativo categorico kantiano e l’osservanza della
legge erano stati i principi base della sua vita.
Soltanto l’intelligenza e la lucidità di una donna
come Hanna Arendt ha potuto denunciare al mondo i rischi che
sarebbero derivati da un simile – apparentemente banale – approccio
della realtà.
Ciò che è accaduto al James Paget Hospital è
la prova di quanto Hanna Arendt avesse ragione.
La povera Sarah Capewell, che implorava lo sguardo misericordioso
del Nazareno («Donna non piangere!») si è
trovata di fronte l’algido distacco burocratico di un piccolo
signor Eichmann e del suo Imperativo Categorico.
Basterà davvero, a quella giovane madre, la kantiana
osservanza della legge per spiegare l’atroce, assurda agonia
del suo piccolo e indifeso bambino?
(Gianfranco Amato)
da Il Sussidiario.net