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“Urlavo dal silenzio del coma”

2009-11-24

Lo credevano incosciente da ventitrè anni, un test svela
che sente e capisce

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Tratto da La
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MARCO ZATTERIN

CORRISPONDENTE DA BRUXELLES

Quando finalmente ha potuto comunicare, battendo un dito su una
speciale tastiera collegata a un personal computer, Rom Houben ha
ammesso che negli infiniti giorni passati nella prigione di un
incoscienza apparente «aveva cercato di evadere
sognando».



Per i medici era in coma, paralizzato da un incidente
automobilistico nel 1983. Stato vegetativo persistente, è la
diagnosi che ha accompagnato la sua scheda personale, almeno sino a
che i ricercatori hanno trovato una via per capire che il cervello
era ancora in attività. Gli hanno insegnato a esprimersi e
lui l’ha fatto. «Urlavo senza che nessuno potesse
sentire – è riuscito a dire -. Sono stato il testimone della
mia sofferenza mentre i dottori cercavano di parlarmi, sino al
giorno in cui ci hanno rinunciato».



C’era ancora Ronald Reagan alla Casa Bianca e il Muro di
Berlino era in piedi, quando Houben è stato dato per
spacciato. Il suo dramma s’è consumato nove anni prima
di quello che ha colpito Eluana Englaro, la donna di Lecco ridotta
a un vegetale nel 1992 e morta lo scorso febbraio in seguito alla
sospensione della nutrizione artificiale. In medicina è
difficile mettere a confronto singoli casi per trarre delle
conclusioni esatte, però è chiaro che
l’avventura di Rom, che oggi ha 46 anni, è
potenzialmente in grado di riaprire il dibattito sul trattamento
dei pazienti in stato di incoscienza permanente.



L’intenzione di Steven Laureys, il neurologo
dell’Università di Liegi che in un articolo ha reso
pubblica la vicenda di Houben, è proprio questa. Attirare
l’attenzione sui tanti casi di coma che, a suo avviso,
potrebbero essere stati erroneamente diagnosticati in tutto il
mondo. All’inizio, con uno nuova tecnologia di
«scanning», gli specialisti hanno potuto dimostrare che
l’attività celebrare non era interrotta. In un secondo
momento, utilizzando uno strumento ad alta sensibilità,
dunque in grado di registrare movimenti anche minimi, hanno
cominciato «a parlare con Rom» che ha potuto raccontare
la sua storia.



Le rivelazioni

«Come nascere una seconda volta», è stata una
delle sensazioni che è riuscito a esternare. La paralisi era
stata istantanea, ha fatto sapere ai medici, un dramma nel dramma
per un ventenne dinamico, appassionato di arti marziali. Ci sono
voluti altri 23 anni perché Laureys e i suoi trovassero il
bandolo della matassa. «Per tutto questo tempo ho sognato una
vita migliore. – ha spiegato ai medici – E “frustrazione” è
una parola che certamente non basta a definire come mi sono
sentito». Adesso «voglio leggere, parlare con gli amici
attraverso il computer e profittare della mia vita, adesso che la
gente sa che non sono morto».



«Non è un caso isolato»

Laureys, belga, quarantunenne, auspica che Rom sia il simbolo della
sua battaglia contro il coma irreversibile diagnosticato troppo
alla leggera. In un uno studio firmato per la rivista scientifica
«BioMedCentral Neurology», lo specialista ha scritto di
ritenere tutt’altro che isolate le circostanze in cui si
è trovato il giovane belga. «Al 41 per cento di chi
è in stato di minima incoscienza viene diagnosticato
erroneamente uno stato vegetativo – sostiene – mentre sappiamo che
tutti coloro che risultano consapevoli possono essere curati e
compiere progressi significativi». Il passo successivo
è quello di tracciare un punto interrogativo sui casi
clinici ritenuti senza ritorno. Rom Houben, in buona sostanza,
può diventare il simbolo di chi si oppone all’eutanasia.
Lui, in fondo, è uno che ce l’ha fatta.






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