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Il referendum sull’omicidio del consenziente: l’apparente vittoria, la battaglia già persa

Il referendum sull’omicidio del consenziente: l’apparente vittoria, la battaglia già persa

La pronuncia della Corte costituzionale che rigetta la proposta referendaria sull’abrogazione della norma penale che punisce l’omicidio del consenziente deve essere salutata positivamente: ma senza eccessi. In effetti, va tenuto presente che nel passato la Consulta ci ha abituati a dinieghi formali retti, però, da motivazioni e ragionamenti giuridici che nella sostanza hanno tracciato strade di totale apertura ai peggiori attentati alla vita umana. Quel che più conta, non va dimenticato che, dopo la legge 219/2017 e la conseguente giurisprudenza di legittimità e di merito – che, come ampiamente previsto, ha colto tutti gli spunti che la legge ha offerto per la soppressione di malati incoscienti – nel nostro ordinamento la disponibilità della vita umana ha cittadinanza a tutti gli effetti. Il sistema creato dalla L. 219, perfettamente interpretato da diversi giudici tutelari, non si limita a sancire la validità giuridica della rinuncia alla propria vita ma consacra l’efficacia del consenso espresso da altri (tutore, curatore, amministratore di sostegno) alla soppressione del malato, del morente, dell’invalido. Non è stato scampato dunque alcun pericolo, perché, nella sostanza, è da tempo che si possono sopprimere i malati nel nostro Paese, e ciò riguarda anche malati inconsapevoli o incoscienti.

Restiamo dunque in attesa di conoscere le motivazioni con le quali la Corte ha rigettato il quesito, motivazioni fondate molto probabilmente sull’horror vacui che è parametro consolidato nella giurisprudenza costituzionale; ancor più, restiamo convinti che l’attacco alla vita dei più deboli esista da tempo nelle leggi italiane. Nella L. 194/78, nella L. 40/2004 – sia nel testo originale che in quello, falcidiato, dalla Corte Costituzionale – nella L. 219/17, i fondamenti etici e giuridici della tutela della vita umana vengono feriti e travolti e un’efficace azione culturale e politica che voglia davvero difendere i più deboli non può prescindere da tale dato di fatto, tantomeno può dare per archiviate – o peggio, legittimate – le gravissime questioni bioetiche poste da quelle leggi e dalle pronunce giurisprudenziali che ne sono fatalmente e prevedibilmente scaturite. Senza tale piena consapevolezza, senza la piena avvertenza che le vite più indifese sono già lecitamente calpestate nel nostro Paese, non ci sarà nessuna reale cultura per la vita in Italia, ma solo un galleggiare stentato di petizioni di principio e compromessi obliqui il cui prezzo, come sempre, sarà pagato col sangue di innocenti.

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