
Cosa manca, cosa c’è
Dall’editoriale di Clementina Isimbaldi – Medicina e Persona del
05/11/2010
…
Donna in Olanda per
eutanasia: (
In coma, è morta in Olanda,come Eluana, Avvenire,
2/11/2010 ) si trattava di una cittadina italiana, con marito
olandese. Accadrà
probabilmente anche da noi invece che in Olanda, una volta
approvata la legge sul testamento biologico: che pur
contravvenendo il parere dei medici, i pazienti decideranno da
sé la propria sorte, grazie alla legge sul testamento
biologico, una volta che sarà approvata e applicata.
Per
due motivi: per il riconoscimento che essa di fatto attribuisce
alla volontà determinante del paziente che si sceglierà
il medico “ad hoc”, esecutore della volontà di
morte e per l’inevitabile
attacco di giudici che demoliranno successivamente i paletti
minimali in essa contenuti a difesa della residua coscienza di cosa
è l’uomo. Dovremmo prendere esempio dai vescovi
polacchi – di cui poco si è parlato sulla stampa
nazionale! – che nei confronti della FIVET hanno fatto sentire con
trasparenza e chiarezza una posizione che suona come il vero
richiamo, senza connivenza alcuna con la logica del
progresso-possesso dell’uomo sull’altro uomo, cioè contro la
logica dell’uomo padrone. Non si tratta di una posizione ideologica
o moralista o fuori tempo: perché viene dalla logica
dell’amore e questa logica, spesso, richiede posizioni dure nel
richiamo, mai violente ma dure, e contro corrente. Speriamo che
accada anche da noi: la logica del male
minore alla fine corrompe tutto, e la coscienza del male è
sempre più affievolita, sfocata, perché si patteggia il
bene nel nome del male minore. La logica del male minore
vale qualche volta, non può essere il criterio sempre.
Oggi negli ospedali, ma anche sul territorio, è sempre
più difficile lavorare a servizio della salute di chi ritiene
di poter autodeterminarsi, di decidere da sé ciò che fa
bene e ciò che fa male. L’approvazione di
una legge sul testamento biologico è oggi uno strumento
formidabile per armare questa posizione umana
dilagante.
Invece va incentivata la nascita di luoghi di accoglienza, di
ospedali “hospitalia” dove anche chi desidera farla
finita, pazienti e familiari, possa cambiare sguardo, cambiare
vita, talmente amati e voluti fino alla fine da riuscire ad
abbracciare la sofferenza propria e del loro caro. Posti così
oggi ce ne sono, rappresentano il vero futuro e andrebbero fatti
crescere, per il bene di tutti.