
Legalizzazione dell’aborto: Questione chiusa?
Il compromesso sui temi della difesa della vita non serve a
nulla se non aiutare coloro che, della vita, sono nemici.
LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO:
QUESTIONE CHIUSA?
1. Come non concordare con il contenuto
della mozione proposta dall’on. Buttiglione ed approvata
dalla Camera dei Deputati il 15/7/2009?
La mozione “impegna il Governo a
promuovere la stesura e l’approvazione di una risoluzione delle
Nazioni Unite che condanni l’uso dell’aborto come strumento di
controllo demografico ed affermi il diritto di ogni donna a non
essere costretta ad abortire”.
Come non ricordare che, nelle premesse, la
mozione ricorda i documenti internazionali che affermano il diritto
alla vita di ogni essere umano (art. 3 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo), impongono che la vita
umana sia protetta dalla legge e vietano di privare arbitrariamente
della vita qualcuno (art. 6 dell’Accordo internazionale sui
diritti civili e politici) e riconoscono il diritto alla vita anche
al fanciullo (art. 6 della Convenzione sui diritti
dell’infanzia)?
Come non sottoscrivere i passi in cui si
constata che “la diffusione nel mondo della pratica
dell’aborto selettivo a danno prevalentemente delle concepite di
sesso femminile sta provocando in alcune aree geografiche un forte
squilibrio fra i sessi” e in cui si lamenta che “è
sempre crescente il numero delle legislazioni straniere che
attivamente promuovono l’aborto come strumento di controllo
demografico e delle politiche che colpiscono con sanzioni di vario
genere le donne che rifiutano l’aborto”?
Eppure non possiamo esimerci da alcune
riflessioni.
Prendiamo l’avvio dall’esame
dello strumento che è stato scelto: una mozione parlamentare.
Il Parlamento approva anche mozioni, ma quando lo fa un punto
è chiaro: non viene esercitato il potere tipico del
Parlamento, quello di approvare o modificare leggi: quindi il
presupposto della mozione era evidente: “la legge 194
sull’aborto non si tocca”.
Torneremo su questo punto centrale, ma
continuiamo ad analizzare questo primo aspetto: la mozione, come si
è visto, è diretta al Governo: esso dovrebbe agire
nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per
promuovere la stesura e l’approvazione di una risoluzione. Si
notino gli innumerevoli passaggi che il testo prevede: al Governo
non viene fornito il testo della risoluzione già preparato, ma
solo suggerito il tema della risoluzione che deve essere ancora
redatto; se mai si dovesse raggiungere l’accordo su un testo
di risoluzione esso dovrebbe essere portato all’approvazione
dell’Assemblea dell’ONU; e l’on. Buttiglione (e
la Camera con lui) spera che questo testo (che ancora non esiste)
venga approvato …
Ammettiamo pure che si giunga a questo
risultato: la risoluzione dell’ONU avrebbe qualche effetto
sul comportamento dei Paesi che ne fanno parte? Avrebbe valore
vincolante? Servirebbe a impedire l’utilizzo
dell’aborto come strumento di controllo demografico?
Nel presentare la mozione Buttiglione si
è collegato alla vicenda della Risoluzione, approvata
dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite su iniziativa
dell’Italia, per la moratoria della pena di morte:
“È stata una battaglia lunga, difficile, ci sono voluti
molti anni ed è stata necessaria una grande mobilitazione
dell’opinione pubblica, italiana e di altri Paesi, ma un numero
crescente di Paesi ha riconosciuto la giustezza di quella
battaglia, ha riconosciuto che la dignità e la vita dell’uomo
hanno un valore così alto da non consentire la distruzione
della vita umana, anche se colpevole”.
Ma la moratoria è stata rispettata?
No.
Come dimostra il Rapporto di
“Nessuno tocchi Caino”, nell’anno successivo, il
2008, “le esecuzioni sono state almeno 5.727, a fronte delle
almeno 5.851 del 2007 e delle almeno 5.635 del 2006”: quindi
il dato complessivo è rimasto stabile, in alcuni paesi
(Giappone e Indonesia) vi è stato un drastico aumento delle
esecuzioni capitali, altri paesi (tra cui Guatemala, Liberia,
Giamaica e Stati Uniti) hanno esplicitamente interrotto la
moratoria in corso (quanto agli Stati Uniti, con la decisione della
Corte Suprema sulla legittimità del metodo
dell’iniezione letale), altri hanno invece ridotto o sospeso
le esecuzioni capitali.
In sostanza l’effetto della
Risoluzione ONU è stato nullo: sempre che si pensasse a
salvare la vita a molti condannati.
Ma il riferimento a quell’iniziativa
dell’Italia è significativo: la risoluzione approvata
dall’ONU non imponeva alcunché agli Stati membri, che
erano solo invitati a “limitare progressivamente l’uso
della pena di morte” (“ammazzateli pure … ma un
po’ meno!) e a “stabilire una moratoria delle
esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione”
(“tenete un anno in più i condannati nel braccio
della morte … e poi decidete liberamente cosa
fare”: l’abolizione della pena di morte è solo una
prospettiva, non un’indicazione dell’ONU).
Insomma: l’on. Buttiglione ha scelto
lo strumento e la procedura che permettono di affermare con
certezza l’assoluta inutilità di quanto approvato: la
mozione non vincola nessuno (il Governo cosa dovrebbe fare in
concreto?) e non cambia la legislazione, mentre l’improbabile
risoluzione dell’ONU altro non sarebbe che vuote parole al
vento.
Una domanda, allora: quali sono le
effettive ragioni che hanno mosso l’on. Buttiglione?
2. L’on. Buttiglione,
nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del
17/7/2009, mostra di credere all’efficacia della sua
iniziativa in un contesto internazionale: “Carlo Casini e
Magdi Allam proporranno una risoluzione al Parlamento Europeo a
favore della moratoria; se sarà approvata, come credo,
sarà difficile per i 27 paesi d’Europa non sostenerla
all’ONU. Luca Volontè presenterà la stessa
risoluzione al Consiglio d’Europa … andrò in
America, con il sostegno di Mary Ann Glendon, l’ex
ambasciatrice presso la Santa Sede, che mi farà incontrare sia
i movimenti per la vita, sia l’Amministrazione di Obama
… Ne ho parlato con mons. Martino … ne parlerò con
Berlusconi, ma anche con Angela Merkel”, e ancora:
“tutti insieme possiamo unirci per cambiare le cose nei paesi
in cui non esistono né la scelta, né la vita. Paesi in
cui l’aborto è obbligatorio, come in Cina … e
paesi – parte dell’India, dell’America Latina,
dell’Africa – dove l’aborto è incentivato,
perché ti danno il pane per i figli se rinunci a quello che
sta per arrivare”.
Questo fervore ottimistico si accompagna
(curiosamente?) all’evanescenza della proposta, già
vista: davvero Buttiglione pensa che i governanti della Cina
– che della moratoria sulla pena di morte si sono
tranquillamente disinteressati, addirittura organizzando negli
ultimi tempi (come riferisce Nessuno tocchi Caino) dei furgoni
attrezzati per le esecuzioni capitali che si spostano in lungo e in
largo per il loro macabro scopo – avranno dei ripensamenti al
leggere (forse) la risoluzione dell’ONU?
Sembra quasi che l’on. Buttiglione
prenda atto che l’unico modo per raggiungere un consenso in
tema di aborto sia quello di non parlar male dell’aborto in
sé e di affermare la liceità di ogni liberalizzazione
dell’aborto.
La sostanza della mozione, in realtà,
è proprio questa (e il proponente non fa nulla per
nasconderlo, come vedremo): ma intanto si intravede in trasparenza
che gli obbiettivi sono tutti interni, tutti insiti nel quadro
politico nazionale: “Continuo a perseguire lo stesso progetto
del ’94: ricostruire il centro. Occorre che si spacchi il PD
e rinasca il partito popolare. Se Bersani vincerà il
congresso, lascerà liberi i popolari, recuperando parte della
sinistra e svuotando Di Pietro; a quel punto l’alleanza
sarà possibile. Se però Berlusconi non si ricandidasse a
Palazzo Chigi, allora potremmo andare dall’altra parte
…”; e per raggiungere questi scopi non fa mai male
tirare per la manica il Papa (“Il Papa spero proprio che sia
contento”) e pavoneggiarsi attribuendosi un ruolo centrale
nella politica mondiale (“Il presidente Obama ha promesso al
papa che si batterà per far diminuire il numero degli aborti,
ma non vuole entrare in contraddizione con la sua politica: la
moratoria può essere il modo di trarsi
dall’imbarazzo”; chissà se quel Presidente –
preoccupato e pensieroso al ritorno da Roma – leggendo
l’intervista di Buttiglione non abbia esclamato: “Yes,
we can!”).
E allora rileggiamo il dispositivo della
mozione per coglierne il significato effettivo: confrontiamo le
premesse con le conclusioni.
La premessa? Ogni uomo – e ogni
“fanciullo”, concetto in cui Buttiglione giustamente
inserisce anche i non ancora nati – ha diritto alla vita e di
essa non può essere privato arbitrariamente: la legge deve
proteggerne la vita.
Le conclusioni (il
“dispositivo” della mozione)? L’aborto non
può essere strumento di controllo demografico e le donne non
possono essere costrette ad abortire.
Non si vede il salto logico? Applicando la
mozione alle persone già nate, la mozione direbbe: gli uomini
hanno diritto alla vita … nessuno può essere obbligato
ad uccidere … peccato che tutte le legislazioni nazionali
(conformemente agli accordi internazionali), semplicemente
stabiliscono che “chiunque cagiona la morte di un uomo è
punito con il carcere”, infliggendo pene severe (talvolta la
morte).
Nel caso dei bambini non ancora nati,
invece, non si parla di pena per chi li uccide: si parla
esclusivamente di violazione della libertà della donna di
decidere se abortire o meno.
Come giustifica Buttiglione questo
evidente salto logico? Leggiamo sull’intervista al Corriere
della Sera questa frase: “Da bigotto che sono, lo dico
teologicamente: Dio affida il bambino alla madre in un modo
così particolare, che difendere il bambino in contrapposizione
alla madre è giusto, ma impossibile. Dobbiamo sostenere la
madre, renderla libera: più sarà libera, più
sarà difficile che rinunci al bambino”.
Nel presentare la mozione alla Camera
Buttiglione aveva usato parole simili: “è …
difficile negare che Dio affida il bambino alla madre in un modo
del tutto particolare, tanto che la difesa dei diritti del bambino
contro la madre è una difesa forse necessaria, ma forse anche
impossibile. Pertanto quelli che, come me, hanno difeso fermamente
il diritto alla vita, devono tutti riflettere su come sia possibile
difendere questo piuttosto puntando sul rafforzamento dell’alleanza
originaria, naturale, tra madre e bambino, che tentando di
difenderlo senza la madre, o peggio, contro la madre”.
In sostanza: l’unico modo per
difendere il bambino dalla morte è lasciare alla madre la
piena libertà di ucciderlo o di salvarlo. “… la
libertà della donna, quando la donna è veramente libera,
serve a salvaguardare la vita del bambino”. Proprio quello
che la on. Livia Turco ha sottolineato (Buttiglione la loda):
“il principio di libertà di scelta delle donne che
è un potente principio etico, l’unico che può accogliere
la vita e l’unico che può prevenire l’aborto”.
La on. Turco, en passant, si spinge un
po’ oltre (forse l’on. Buttiglione non ascoltava):
“La libertà di scelta e la responsabilità verso la
procreazione è un potente principio etico … perché
è la capacità di accoglienza delle donne ciò che
genera la persona, la persona e non soltanto la vita
biologica”.
3. Analizziamo la frase dell’on.
Buttiglione per comprenderne pienamente la portata.
Colpisce, in primo luogo, il riferimento a
un disegno di Dio di affidare il bambino alla madre: sorprende che
– in un’aula parlamentare, dove si dovrebbero approvare
le leggi conformemente alla Costituzione – un componente
faccia discendere direttamente dal proprio essere
“bigotto” un orientamento relativo alla
regolamentazione dell’aborto: perché è questo che
Buttiglione fa.
Si tratta, però, chiaramente di un
artificio dialettico – a dire la verità particolarmente
sgradevole: se Buttiglione intende richiamarsi al suo essere
cattolico, vuole forse rinnegare con questa sua frase
l’insegnamento della Chiesa che definisce l’aborto come
“abominevole delitto” e sottolinea che esso
contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità
contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e
democratica convivenza sociale? O vuole forse respingere la sua
grave responsabilità di parlamentare cattolico di rendere a
tutti chiara e nota la sua opposizione ad una legge abortista e di
non permettere che le sue iniziative o il suo voto vengano
interpretati come “adesione ad una legge iniqua”?
Buttiglione se ne guarda bene: richiama,
come si è detto, Dio, il Papa, i Vescovi ma, si potrebbe dire,
ad colorandum, per darsi un’aria (niente di nuovo, si
potrebbe osservare: di parlamentari democristiani che hanno
accuratamente aggirato le proprie responsabilità nelle leggi
contro la vita continuando a proteggersi dietro lo scudocrociato ne
abbiamo visti tanti …).
“Difendere il bambino in
contrapposizione alla madre è giusto, ma
impossibile”.
Due sottolineature sono necessarie: chi
mette in contrapposizione madre e bambino? Cosa è giusto e
cosa impossibile?
La contrapposizione tra madre e figlio non
è affatto frutto di chi vuole che l’aborto volontario
sia vietato e punito: al contrario è proprio il nucleo delle
legislazioni abortiste, che hanno voluto scindere il destino della
donna da quello del suo bambino in nome di diritti della prima
ritenuti prevalenti su quelli del secondo; ma questa scissione
porta in sé – come la sentenza della Corte
Costituzionale del 1975 dimostra chiaramente – la negazione
dell’essere il bambino “persona”, “vero
uomo”. Una legislazione che vieta e punisce l’aborto
volontario (salva l’applicazione delle scriminanti comuni)
non contrappone affatto madre e bambino: permette a tutti –
madre, padre e società – di considerare il bambino nella
sua dignità umana, di difenderlo prima della nascita e di
accoglierlo con amore dopo il parto.
Ma Buttiglione ritiene, comunque, che la
penalizzazione dell’aborto sia giusta: attenzione! Qui il
parlamentare – filosofo – giurista si riferisce proprio
alle leggi, richiamando la distinzione tra leggi giuste e leggi
ingiuste, inique.
Cosa significa, allora, affermare che una
legge giusta (e quindi che il Parlamento ha il dovere di approvare)
è nello stesso tempo impossibile? Buttiglione si riferisce
all’impossibilità di raggiungere una maggioranza
parlamentare che approvi una riforma della legge 194 oppure
all’inefficacia di una legge che vieti e punisca
l’aborto volontario rispetto all’obbiettivo di
difendere i bambini?
Certo egli ha ben chiaro anche il primo
aspetto: nell’illustrare la mozione alla Camera egli
osservava che “su questo tema esiste, credo, un consenso di
fondo del popolo italiano che, mentre non vuole la punizione della
donna e del medico e mentre ritiene che la decisione di abortire
vada rispettata, tuttavia non ritiene che si possa imporre ad una
donna di abortire e che si possa utilizzare l’aborto come strumento
sistematico di controllo delle nascite”.
Quanto conta, nel ragionamento di
Buttiglione, questo essere minoranza, questa fatica di dover
ripetere inascoltato concetti giusti ma rifiutati, di dover
avanzare proposte destinate ad essere respinte?
Conta tantissimo: e lo dimostra la
constatazione che egli non spiega affatto per quale motivo una
legge che punisce l’aborto volontario sarebbe inefficace a
salvare tante vite umane e, quindi, a ridurre il numero complessivo
degli aborti.
Buttiglione lo fa intendere senza spiegare
perché: e questo, per colui che il giornalista definisce
“il più colto tra i politici italiani”, significa
che cerca di ingannarci, vuole far credere che il suo atto di fede
(che vedremo subito dopo) sulla bontà della legge 194 dipenda
dall’inefficacia di una regolamentazione diversa
dell’aborto, mentre, in realtà, egli consapevolmente si
arrende sperando, così, di ritagliarsi uno spazio politico
superando la conventio ad excludendum che colpisce tutti coloro che
la verità la dicono per intero.
Basta, quindi, proclamazione del diritto
alla vita: invece di proclamare sui tetti la verità
riflettiamo “su come sia possibile difendere questo piuttosto
puntando sul rafforzamento dell’alleanza originaria, naturale, tra
madre e bambino, che tentando di difenderlo senza la madre, o
peggio, contro la madre”.
Già, rifletta, onorevole Buttiglione:
e provi a spiegare in che modo un’alleanza – quindi un
rapporto tra due soggetti con pari dignità – viene
rafforzata dalla regola per cui uno dei due – in qualunque
momento, per qualunque motivo – può in ogni caso
uccidere l’altro …
Questa non è un’alleanza:
questo è un rapporto – come lucidamente spiega
l’on. Turco nel passo sopra riportato – in cui uno dei
due (la donna) non solo ha il potere di uccidere l’altro, ma
ha il potere di riconoscergli o negargli la dignità di
persona; il bambino non è più riconosciuto tale, la sua
“vita biologica” non conta.
4. Ecco, allora, che la posizione
dell’on. Buttiglione, benché “condita” da
riferimenti a Dio e alla Chiesa, non si differenza affatto dalla
più spinta posizione libertaria.
E così, sul Corriere della Sera del
19 luglio, Eugenia Roccella può dire a Buttiglione:
“benvenuto tra le femministe”.
Ecco alcuni passi della lettera: “do
il benvenuto tra le femministe a Rocco Buttiglione. Scorrendo la
sua intervista sul «Corriere», ho letto finalmente
sull’aborto parole che avrei potuto firmare, parole che
ammettono l’ errore di un tempo (e già questo è difficile
da parte di un politico) e prendono finalmente atto di una
realtà incontrovertibile, che però gli uomini, cattolici
e non, hanno difficoltà a capire. La realtà è
questa: che ognuno di noi è «nato di donna», ha
vissuto dentro un altro corpo, smentendo alla radice la nozione di
individuo così cara alla cultura occidentale”.
Le parole sull’aborto che Eugenia
Roccella firmava sono ben note: “Non più una cosa da
consumare in silenzio, l’aborto, peccato voluto da chi lo
condanna, reato. In massa, in 2.700 abbiamo rotto il silenzio delle
vicende personali, abbiamo dichiarato di avere abortito o aiutato
ad abortire … È un vecchio discorso che non ci
stancheremo di ripetere, perché a difendere il diritto
all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe, noi donne,
che l’aborto in sé per sé siamo le ultime a
volerlo; ma è un primo passo verso la libera
disponibilità e l’autogestione del nostro corpo, senza
la quale non c’è libertà né felicità
possibile … Mammana è la donna che usa il suo sapere
antico, tramandando, purtroppo inagibile perché privo di
garanzie di sicurezza, in “aiuto” alle donne; è
l’unica ad avere assicurato in questi secoli la libertà,
rischiosa quanto si vuole, ma libertà, di abortire … La
nostra proposta è di cominciare a creare gruppi di
auto-assistenza nei quartieri, riuscendo a mobilitare e a
coinvolgere le donne, facendole partecipare direttamente. Non si
tratta di “convincere” le donne della necessità di
liberalizzare l’aborto, non si tratta di fare propaganda: le
donne, se è vera come è vera almeno la cifra più
riduttiva di quelle che conosciamo sul numero degli aborti
clandestini ogni anno, cioè un milione e mezzo, sanno
benissimo cos’è l’aborto e hanno bisogno solo di
strumenti per farsi sentire, di occasioni per partecipare e uscire
dal silenzio e dall’isolamento. Lotteremo da posizioni di
forza nel momento in cui saremo in grado di girare per le case e
per i quartieri con la valigetta con gli attrezzi del Karman,
quando faremo le riunioni direttamente nelle case delle donne,
creando quel tipo di solidarietà che ogni volta stupisce e che
è veramente “tra donne” al di fuori di divisioni
generazionali e anche di classe, di ideologia, di mentalità.
L’aborto può non essere soltanto un aborto, cioè
qualcosa di cui liberarsi in fretta e nel migliore dei modi
possibile, ma anche una occasione di presa di coscienza, per
mettere in discussione se stesse, il proprio modo di vivere la
sessualità, la maternità, i rapporti, il ruolo della
famiglia, da parte delle donne soprattutto ma anche degli uomini,
mariti-padri-fidanzati che, come diceva una compagna del MLAC
“non hanno mai messo molto in discussione della propria vita,
e non l’avrebbero forse messo se non ci fosse stato il
contatto con il gruppo, l’occasione drammatica
dell’aborto”. (Introduzione al libro “Aborto,
facciamolo da noi. Una proposta di lotta per l’aborto libero
e gratuito in strutture sanitarie pubbliche e un trattamento
alternativo per le donne”, a cura di Eugenia Roccella,
Napoleone editore, 1975).
Certo: vedendo l’on. Roccella
l’errore di un tempo di Buttiglione, ci si poteva aspettare
che chi apparteneva alle femministe “che apparivano come
scalmanate odiatrici di feti” e sostenevano che
“l’aborto esula dal territorio del diritto” (e
quindi faceva parte della libera disponibilità e
dell’autogestione del corpo delle donne: qui il feto non
è odiato, è proprio cancellato) riconoscesse qualche
errore anche da parte sua (forse l’ha fatto altrove): in
realtà la lettera se la cava con la “radicalizzazione
dello scontro” (“come accade sempre quando le lotte
politiche arrivano nelle piazze”), cosicché “per
anni non c’è stato posto per le sfumature” (a
rileggere il brano del 1975, l’espressione sfumature appare,
come dire, un po’ sfumata …).
Ma, lasciando da parte la capacità
degli uomini politici di pentirsi, l’on. Roccella ha tutti i
titoli, come si è visto, per accogliere l’on.
Buttiglione tra le femministe e quindi nel valutare la
considerazione circa l’affidamento del bambino alla madre da
parte di Dio: “Non è un ripensamento, ma la verifica di
un’impossibilità: non si può partire
dall’opposizione donna contro bambino, se vogliamo tentare di
combattere l’aborto, che è la soppressione di una
preziosa e unica vita umana”.
Da dove dovremmo partire, allora? Dalla
“fine di un pensiero che svalorizza la maternità e il
patrimonio della differenza femminile, da parte laica come da parte
cattolica. Perché l’antifemminismo laico esiste, eccome:
e si nasconde proprio tra chi difende con più ardore
l’assoluta uguaglianza, l’appiattimento delle donne sul
modello maschile. È l’emancipazione, bellezza: come se
le donne non potessero aspirare a nulla di meglio, e di più,
che assomigliare agli uomini, disperdendo il patrimonio storico
della differenza di genere”.
Avete capito? Nella famiglia tradizionale
– marito, moglie, figli – in cui la donna partoriva ed
accudiva i figli che Dio aveva mandato in collaborazione con il
marito, nella piena fedeltà al disegno divino, vi era
“un pensiero che svalorizzava la maternità e il
patrimonio della differenza femminile … da parte
cattolica”!
Pare alla Roccella che nel nostro paese
non ci sia altro da fare, se non partire “dalla libertà
di essere madri”.
5. Nessuno, in definitiva – né
Buttiglione, né la Turco, né la Roccella (rappresentanti
di mondi e di provenienze diverse) – spiega per quale motivo
garantire alla donna una libertà incondizionata di abortire o
meno sia più efficace per difendere la vita dei bambini da una
legge che vieta e punisce l’aborto volontario.
Eppure Buttiglione, nell’intervista
al Corriere della Sera, ammette di “essere cambiato”
(sostiene che “tutti sono cambiati”, ma questo è
certamente falso) e sostiene che la sua convinzione in ordine
all’impossibilità di difendere il bambino in
contrapposizione è frutto di un ripensamento: “Chi, come
me, si batté contro la 194, riconosce di essersi sbagliato su
un punto”, appunto questo.
Anche questo è un bluff: quello del
vietare e punire l’aborto volontario non è un punto, ma
è piuttosto il punto; l’aborto depenalizzato è
aborto libero e tutti i “paletti” che vengono posti (in
buona fede o meno) per limitare il ricorso all’aborto vengono
travolti, come la vicenda della legge 194 dimostra ampiamente. In
Italia l’aborto volontario è “libero”
(torneremo su questa espressione) fino al momento della gravidanza
in cui scatta la vera sanzione penale (quella per l’omicidio
volontario), cioè quella della capacità di vita autonoma
del feto, e ciò a prescindere dall’epoca della
gravidanza, dalla presenza o meno del certificato medico, dai
motivi che la donna “accusa” (che, guarda caso, non
vengono nemmeno annotati, tanto sono irrilevanti).
Davvero Buttiglione credeva a quello che
diceva alla Camera dei Deputati quando affermava: “Nello
spirito della legge n. 194 l’aborto è un rimedio estremo
… In generale, lo spirito della vigente legge n. 194 …
tenta … un bilanciamento di beni morali o di valori. Da un
lato, il diritto di scelta, dall’altro, il diritto alla vita, dando
una certa prevalenza al diritto di scelta, ma senza negare che
esista un diritto alla vita del bambino e, quindi, delimitando
l’ambito all’interno del quale questo diritto alla vita può
essere posposto ad altri diritti o sacrificato”?
“Una certa prevalenza”?
Buttiglione vuole forse dire che in alcuni casi la legge
attribuisce prevalenza al diritto alla vita del bambino? E in
quali, se è lecito chiederlo?
E così, questo “punto” su
cui l’opinione di Buttiglione è cambiata è più
che sufficiente per abbracciare per intero la legge 194: menzionata
come modello nella stessa mozione (“l’articolo 1 della legge
n. 194 del 1978 afferma che «l’interruzione volontaria della
gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il
controllo delle nascite») e la cui inattaccabilità viene
riaffermata: “Il movimento non è contro la 194. Noi la
legge non vogliamo cambiarla, meno che mai l’articolo 1,
secondo cui l’aborto non è uno strumento di controllo
delle nascite”. E, alla Camera: “Noi ci muoviamo
interamente nel solco di questa posizione della legge n. 194 e
questa mozione, in realtà, non chiede allo Stato italiano in
alcun modo di cambiare la legge n. 194”.
Si noti: Buttiglione afferma di non voler
cambiare la legge, non di non poterla cambiare …
Ecco che il nostro si imbarca nella vasta
compagnia che insieme a Roccella e Turco, comprende, tra gli altri,
anche Luigi Laratta dell’AIED (“È proprio
perché l’Italia ha adottato una valida legge sull’aborto, che
il nostro Pese può legittimamente promuovere presso le Nazioni
Unite la messa al bando dell’obbligo di abortire per la ragion di
Stato”) e Adriano Sofri (“Perseguire penalmente
l’aborto, condannarlo alla clandestinità e all’infamia, è
un delitto contro la persona, e specialmente contro la
donna”) …
Ma sulla base di quali considerazioni
Rocco Buttiglione sostiene di essersi sbagliato? Il suo è un
percorso mentale che parte dai dati dell’esperienza di questi
anni di vigenza delle leggi abortiste nel mondo oppure è solo
frutto di riflessioni filosofiche maturate in questi anni?
Buttiglione, si sa, è un filosofo, e
quindi un teorico; ma è anche un politico, un arduo compito
che impone di governare la realtà effettiva – uomini
concreti, situazioni reali – alla luce di determinati
principi.
Buttiglione ha analizzato i dati sul
numero di aborti nei paesi in cui – come in Polonia o in
Irlanda – l’aborto è vietato e sanzionato? (a
proposito: sosterrà i tentativi all’interno
dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa di
costringere questi Paesi a depenalizzare l’aborto?)
E ha fatto delle considerazioni sulle
statistiche relative all’applicazione della legge 194?
6. Vediamoli, allora, questi dati,
partendo dal dato complessivo: nel 2007 (dato definitivo,
l’unico attendibile), sono stati eseguiti 126?562 aborti
volontari.
Prima del 1978 gli aborti clandestini in
Italia – secondo le stime attendibili del prof. Colombo
dell’Università di Padova, autore dell’unico
studio scientifico sul tema – erano forse 100.000
all’anno, ma probabilmente meno: dopo più di
trent’anni – e dopo più di cinque milioni di
bambini uccisi – gli aborti legali sono in numero maggiore di
quelli eseguiti prima della legge!
Non basta: alla cifra enorme che abbiamo
riportato sopra (345 bambini uccisi gratuitamente dallo Stato ogni
giorno, 14 ogni ora …) dobbiamo aggiungere gli aborti
clandestini (ben più del 15.000 ammessi a denti stretti nella
relazione ministeriale: non a caso i procedimenti penali per aborto
clandestino sono nettamente aumentati nel corso degli anni) e gli
aborti precoci, quelli – innumerevoli: qualche decina di
migliaia all’anno? – realizzati con la cosiddetta
pillola del giorno dopo o con la pillola estroprogestinica.
Bastano questi numeri? No.
Come negare, infatti, oggi che
l’aborto – nonostante quanto declamato dalla legge 194
– viene utilizzato come mezzo di controllo delle nascite
dalle donne che intendono così utilizzarlo? Quasi una donna su
tre che abortisce volontariamente l’ha già fatto in
precedenza; molte donne ripetono l’aborto anche quattro
volte!
E che dire dell’aborto delle
minorenni? Con un tasso di abortività ormai stabilmente vicino
a 5 per 1000 (nel 2007 hanno abortito legalmente anche 266
ragazzine di età inferiore a 15 anni!).
Che dire, ancora, dell’aborto per
motivi eugenetici, dimostrato eloquentemente dall’enorme
aumento degli aborti dopo il terzo mese di gravidanza: lo stesso
Ministro della Salute ammette che si tratta di uccisioni causate da
esito sfavorevole delle diagnosi prenatali: una caccia feroce al
bambino malato o imperfetto!
Sono questi i dati che fanno dire
all’on. Roccella che “la 194 ha prodotto buoni
risultati, il ricorso all’aborto in Italia continua a
diminuire” (trent’anni fa il Ministro della Sanità
preannunciava che l’aborto sarebbe presto scomparso…),
aggiungendo ovviamente che “la legge funziona e non credo che
ci sia bisogno di intervenire con modifiche legislative, ma si deve
puntare e andare avanti sulla prevenzione, rendendola ancora
più efficace e applicare quindi in modo sempre più
intenso la prima parte della 194”.
On. Buttiglione: perché ritiene di
essersi sbagliato? La legge 194 corrisponde al quadro che Lei
ritiene necessario: piena libertà della donna di accogliere o
uccidere il bambino … forse che i milioni di bambini uccisi
“legalmente” o meno in questi trent’anni sono
stati difesi da questa libertà?
7. Non aveva forse ragione Carlo Casini
quando, mentre era in corso la battaglia per l’approvazione
della legge che legalizzava l’aborto, osservava: “Uno
Stato che si fa distributore di morte, lungi dal combattere per
rimuovere le cause dell’aborto, crea un ulteriore e
gravissimo incentivo ad esso. (…) Il monopolio
dell’aborto è davvero un antidoto all’aborto?
Checché se ne dica, la principale causa che spinge molte donne
ad interrompere la gravidanza è il diminuito senso del valore
del nascituro nella coscienza sociale così come nella mente e
nel cuore delle mamme. Uno Stato che si offra come
“braccio secolare”, come esecutore di morte (boia?
killer?), non contribuisce forse ad aumentare il peso della
più importante causa dell’aborto? (…) Ma è
poi errata – a mio giudizio – l’affermazione che
l’indigenza sia la principale causa dell’aborto. In
questi ultimi due anni la professione mi ha fatto incontrare
centinaia di donne che hanno abortito o avevano intenzione di
abortire. (…) E’ mio dovere però dire che
quasi mai sono state addotte ragioni di indigenza. Molte erano le
donne sposate con due figli, che non volevano il terzo, molte le
studentesse universitarie. Nessuna, comunque, era più povera
della mia poverissima madre. Mi è apparso chiaro, allora, che
la principale causa dell’aborto è quella che ho già
indicato: l’illanguidirsi nella coscienza sociale del valore
del concepito come individuo della specie umana”.
Non avevano forse ragione i Vescovi
italiani che, subito dopo l’approvazione della legge 194,
ribadivano che “nel suo intervento circa la vita nascente, la
comunità politica non può restringersi all’emanazione di
una legge, peraltro necessaria, che proibisca come reato l’aborto,
da punirsi tuttavia con giustizia ed equità, tenendo conto
delle situazioni concrete, in cui é stato commesso” e
aggiungevano che “quando autorizza l’aborto lo Stato
contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e
compromette in modo gravissimo l’intero ordinamento giuridico,
perché introduce in esso il principio che legittima la
violenza contro l’innocente indifeso”, definendo così la
legge che autorizzava l’aborto “legge intrinsecamente e
gravemente immorale”?
A quel tempo non si aveva timore di
indicare il dovere politico dei cristiani di “richiamare, con
coraggio e con metodi democratici, il dovere di rispettare la vita
umana sin dal suo inizio, denunciando di conseguenza
l’iniquità della legge abortista; di operare una lettura
critica dell’attuale normativa sull’aborto e di rilevare le
profonde contraddizioni che essa presenta con la Costituzione e
all’interno dei suoi stessi articoli; e di operare per un
superamento della legge attuale, moralmente inaccettabile, con
norme totalmente rispettose del diritto alla vita; e si
sottolineava il particolare dovere dei politici cristiani,
“più direttamente responsabili di leggi che incidono sul
costume dei cittadini”, di non “sentirsi dispensati dal
dovere morale di lavorare per contenere il più possibile gli
effetti negativi della legge abortista vigente e soprattutto di
spingere verso un suo superamento. Ciò é tanto più
urgente quanto più manifestamente ingiusta é la legge
emanata”.
Buttiglione queste cose le sa: ma non
rinuncia a proporre la favola (non solo sua) secondo cui la
coscienza sociale nei riguardi dell’aborto sta cambiando,
anche per merito di iniziative come la sua: “Tutti siamo
cambiati. Chi volle la 194 oggi riconosce, grazie pure alle
scoperte scientifiche su embrione e DNA, che il feto non è un
grumo di sangue nel corpo della donna: il feto è una
vita”.
Si tratta di una ricostruzione contraria
alla storia e alla verità: da una parte la maggioranza che
approvò la legge 194 non negava affatto che il bambino
(giustamente Bellieni mette in guardia dall’utilizzo
dell’espressione feto per indicare il bambino prima di
nascere: è un bambino!) fosse una vita, tanto da inserire
(ipocritamente) la norma della “tutela della vita umana fin
dal suo inizio”; la posizione prevalente era esattamente
quella espressa dalla Turco (la libertà della donna è la
migliore garanzia per il bambino); ma soprattutto, questi
trent’anni hanno dimostrato una progressiva e inarrestabile
scomparsa del bambino: la banalizzazione dell’aborto è
ormai avvenuta, si ignora l’uccisione di un bambino, le sue
modalità cruente e crudeli.
Non basta: esattamente all’opposto
di quanto sostiene Buttiglione, parte della coscienza sociale
è ormai disposta a negare la dignità umana – e
quindi ad uccidere – anche a persone già nate, sulla
base della loro condizione di disabilità, della loro
“inutilità”, della malattia: neonati con handicap,
pazienti in stato vegetativo e poi, via via, malati di Alzheimer,
anziani in stato di demenza ecc.
Non è stata forse la liberalizzazione
dell’aborto operata dalla 194 a permettere di far crescere
questa mentalità? L’aborto eugenetico
“suggerito” esplicitamente per le gravidanze dopo il
terzo mese non è stato forse il nucleo fondante di questa
insensibilità?
8. E, del resto, la mozione che
l’on. Buttiglione ha proposto e fatto approvare alla Camera
dei Deputati, è il migliore esempio di quanto si è
detto.
Il bambino ucciso – a ben vedere
– non c’è.
Nella premessa si lamenta, che “la
diffusione nel mondo della pratica dell’aborto selettivo a danno
prevalentemente delle concepite di sesso femminile sta provocando
in alcune aree geografiche un forte squilibrio fra i sessi”,
che “legislazioni straniere attivamente promuovono l’aborto
come strumento di controllo demografico” e che
“politiche colpiscono con sanzioni di vario genere le donne
che rifiutano l’aborto”.
L’uccisione del bambino, quindi, non
è indicata come male in sé: è un male solo se non
è frutto di libera scelta della donna o se determina uno
squilibrio fra i sessi dei bambini nati.
Non si chiede di ridurre l’aborto:
questa non è una moratoria sull’aborto! Si chiede,
piuttosto di fare altrove quello che sta avvenendo in Italia!
È una mozione oggettivamente
abortista.
“Libertà di scelta per la
donna”: espressione che una persona intelligente come
Buttiglione non può usare senza riflettere: “Si può
dire che l’aborto in qualche modo è sempre un’imposizione, ma
questo è piuttosto un concetto filosofico”.
Il fatto è che, in realtà,
Buttiglione dell’effettiva libertà delle donne di
abortire in Italia non sa nulla: non sa che – o se – le
prostitute extracomunitarie spesso vengono costrette ad abortire
legalmente da chi le vuole “rimettere in pista”
velocemente. Non sa nemmeno i motivi che spingono le donne ad
uccidere il loro figlio in Italia: la 194 non prevede che si
sappiano!
Molto meglio farsi belli con la
libertà di aborto negata alle donne dell’altra parte del
mondo (a proposito: con saggia prudenza la mozione non indica
nemmeno i Paesi cui si riferisce …), piuttosto che affrontare
il verminaio di casa nostra.
A noi interessano tutti i bambini e tutte
le donne: e se non siamo cambiati (come invece è cambiato
l’on. Buttiglione) è perché sappiamo e abbiamo
potuto constatare in questi anni che il compromesso sui temi della
difesa della vita non serve a nulla se non aiutare coloro che,
della vita, sono nemici.
Giacomo Rocchi