
Il grimaldello dell’Europa per scardinare la vita
Il dolore per la morte di un bambino non ha confini.
Uno degli stratagemmi più usati per far passare talune idee
– che si sanno o s’intuiscono non condivise dalla
maggioranza del Paese – è quello di prendere come
modello da imitare le leggi di altri Stati. Si sente spesso
ripetere come un mantra che l’Italia è fanalino di coda
dell’Europa se non del mondo nella sperimentazione sugli
embrioni, nell’accesso alle tecniche di fecondazione
artificiale, nel riconoscimento dei diritti delle persone
omosessuali… Da ultimo si è fatto ricorso a questo
espediente anche per la RU486, farmaco dagli effetti abortivi
approvato pochi giorni fa dall’Agenzia italiana del
farmaco.
Per perorare la causa dell’aborto farmacologico si è
fatto leva, tra le altre, su due argomentazioni affette entrambe da
esterofilia acuta: ormai sono più di una ventina i Paesi
europei in cui la Ru486 è stata adottata; nel 2007 la
Commissione europea ha dato il via libera a questo preparato
facendo proprio il parere dell’Emea, l’Agenzia europea
del farmaco. In buona sostanza ci viene detto che se altri Paesi,
in numero così elevato e con il beneplacito di un organismo
sovranazionale, hanno deciso di commercializzare la RU486 ciò
sta automaticamente a significare che questo preparato è dalla
parte della salute della donna e che l’Italia è
colpevole di essere arrivata così in ritardo a questo
importante appuntamento in materia di interruzione volontaria della
gravidanza. È proprio così? Proviamo ad analizzare queste
obiezioni.
Il metro di paragone per comprendere se una legge, un semplice
provvedimento amministrativo o una decisione tecnica come quella
dell’Aifa sono leciti sul piano morale non può essere
dato dal confronto con le esperienze di altri Stati o dal fatto che
esista il beneplacito di un organo internazionale. Ciò che
è stato ritenuto legittimo in una nazione non lo diventa per
ciò stesso in un’altra, fosse pure confinante. Pare
quasi banale ricordarlo. Ogni Stato – si sente ripetere
sovente – è sovrano nel suo territorio. La pietra di
paragone per assegnare la patente di liceità sul piano etico e
la legittimità sul versante giuridico risiede nel confronto
con il bene comune. È di immediata evidenza che la
soppressione di un essere umano, perdipiù innocente, lede il
bene comune: tant’è vero che – volendo fare gli
esterofili anche noi – non esiste al mondo un ordinamento
giuridico che non punisca l’omicidio. La RU486 è un
mezzo, oltre a quello chirurgico, per sopprimere un piccolo essere
umano, e nessuna Commissione europea né alcuna legge di
qualsiasi Stato potrà mai cambiare la natura di questo fatto
così drammatico: contra
facta nihil valent argumenta.
Inoltre, in merito al giudizio espresso dalla Commissione
europea, da un punto di vista puramente giuridico non siamo in
presenza di un atto che ha natura assolutamente obbligatoria per
gli Stati come potrebbe essere un regolamento o, in misura diversa,
una direttiva. Si tratta né più né meno di un atto
di approvazione che non vincola nessuno Stato ad adottare la RU486.
Curioso poi che si faccia a monte una selezione all’ingresso
delle leggi straniere che dovrebbero essere emulate nei nostri
confini. Chissà perché non si ode un simile vociare per
importare da noi le norme che permettono in Francia lo sfruttamento
dell’energia nucleare, o quelle cinesi sul lavoro
subordinato. Sì, proprio la Francia, Paese che viene sempre
indicato come esempio perché fu il primo, nel lontano 1988, ad
adottare la RU486. Se vogliamo essere proprio esterofili e avere lo
sguardo aperto sul mondo, facciamolo nella consapevolezza di cosa
provoca la pillola abortiva in qualunque parte del pianeta venga
somministrata: la morte di chi sta per nascere. E il dolore per la
morte di un bambino non ha confini.
Tommaso Scandroglio
[Editoriale di Avvenire del 8/8/2009]