
Il testamento biologico è un paralogismo. Anzi un autogol
Articolo di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro – Il Foglio 23
02 2011
La legge sul testamento biologico
è un clamoroso autogol, un classico esempio di
eterogenesi dei fini. La vogliono i nemici dell’eutanasia e
dell’abbandono terapeutico, ma approvandola faranno il gioco
proprio della trasversale “compagnia della buona morte”
cui si oppongono. Questo colossale paralogismo ha due radici
fondamentali: un errore di ordine tecnico giuridico, e un difetto
di dialogo interno al mondo cattolico stesso. Dopo la vicenda
Englaro, con il suo contorno di decisioni della magistratura, molti
sostengono che non vi sarebbero più dubbi: ci vuole una
legge sul cosiddetto “fine vita”. Lo si sostiene anche
autorevolmente, come nel caso del presidente del Movimento per la
vita italiano, Carlo Casini.
Molti cattolici e molti pro life
pensano che, se la legge verrà approvata, il rischio
eutanasia sarà scongiurato. Un’illusione forse pia, ma
di sicuro irragionevole, tipica di chi sta facendo il gioco del
giaguaro, credendo magari di combatterlo. Basta por mente ad alcuni
elementi della questione.
Primo. Il nostro ordinamento continua ad avere un presidio
molto solido contro l’eutanasia e l’abbandono
terapeutico nelle norme del codice penale regolarmente in vigore,
soprattutto gli articoli sull’omicidio del consenziente e
sull’istigazione al suicidio. Alcuni giudici, per altro
civili e non penali, hanno assunto provvedimenti che ignorano
questo profilo. Ma allora era precisamente sul terreno giudiziario
e dei poteri della magistratura che si doveva condurre la
battaglia, contrastando le “sentenze creative” e
censurando le forzature togate. Secondo. Lo
scopo dei settori ideologizzati della magistratura favorevoli
all’eutanasia è proprio quello di spingere il
Parlamento a fare una legge e a riconoscere il testamento
biologico. E se stessimo facendo proprio il gioco dei nostri
avversari?
Terzo.
Può darsi che serva una legge, ma non qualunque legge. I
parlamentari stiano molto attenti all’inserimento di
emendamenti peggiorativi, che trasformerebbero il testo sulle
Dichiarazioni anticipate di trattamento in una legge
sull’eutanasia in incognito.
Quarto.
Anche ammettendo che il testo
sulle Dat in discussione non venga stravolto, esso comporta
il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e
validità del testamento biologico. E contiene ulteriori
“zone grigie” che andranno ben oltre il principio di
autonomia del paziente. Se una legge proprio si voleva votare, ne
bastava una fatta di un unico articolo, che vietasse la sospensione
di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci.
Quinto. Se il
problema sono le “sentenze creative”, con ogni
probabilità esse non saranno scongiurate dalla legge sulle
Dat, ma al contrario si moltiplicheranno, e si assisterà a
quello stesso stillicidio di ricorsi, anche in sede costituzionale,
che dal 2004 a oggi hanno smontato come una matrioska la legge 40
sulla fecondazione artificiale.
Sesto. Il
testamento biologico non è mai stato nelle corde del mondo
cattolico, che lo ha spesso visto con sospetto, come primo passo
verso l’eutanasia. Ora questa legge potrebbe essere approvata
con l’etichetta di “provvedimento che piace ai
vescovi”, esattamente come accadde con la legge 40.
Attenzione agli effetti diseducativi, e alla confusione pedagogica
per i fedeli. Non vorremmo che nelle parrocchie arrivassero, dopo
la “provetta cattolica perché omologa”, anche le
“Dat cattoliche” perché votate dai parlamentari
cristiani.
Settimo. Un
intervento legislativo si poteva fare, ma molto più semplice
e snello. Un testo che vietasse l’interruzione di ogni
trattamento vitale in pazienti privi di conoscenza, garantendo
così, per esempio, alimentazione, idratazione, ventilazione,
come cure doverose da parte del buon medico ippocratico. Senza
aprire porte o finestre al mostro giuridico che si chiama
testamento biologico, una piovra dai mille tentacoli che, una volta
liberata, farà strage del principio di
indisponibilità della vita umana.
Tutto questo nel mondo cattolico
italiano non si può dire. Invece che ragionare al
proprio interno, si preferisce para-ragionare con i propri
avversari. Eppure, fino al famoso discorso del cardinale Angelo
Bagnasco del settembre 2008, nel quale le Dat furono
“sdoganate”, tutto il mondo pro life italiano e
internazionale, i bioeticisti cattolici, le persone di buona
volontà in genere contrarie all’eutanasia, tutti erano
parimenti contrari al testamento biologico. Quel discorso ha
provocato un repentino, irragionevole e immotivato
“capovolgimento” di fronte, e gran parte dei contrari
alle Dat hanno iniziato a sostenerle. Giuliano Ferrara, Francesco
Agnoli, il Comitato verità e vita e altre voci si sono
levate in dissenso. Sono state sbertucciate dalla stampa cattolica
ufficiale. Il guaio è che si è voluto evitare un
confronto aperto e pubblico con queste voci, nonostante nella base,
nel popolo, serpeggi una diffusa inquietudine di fronte al testo
sulle Dat. Il quotidiano dei vescovi, Avvenire, in tutti questi
anni ha totalmente ignorato le posizioni di chi, all’interno
del mondo pro life, contesta la legge sul testamento biologico. Si
vuole marciare a ranghi serrati e a testa bassa verso
l’approvazione delle Dat, facendo finta che non esistano
problemi, anche gravi, nell’impianto della legge. Ma
soffocare la verità nella culla non è mai un buon
segno per chi quella verità dovrebbe servirla, costi quello
che costi. Anche per questo motivo è facile prevedere che la
legge, una volta approvata, si trasformerà in un incubo per
tutti coloro che hanno a cuore il diritto alla vita di ogni malato.
E magari ci si troverà davanti a cattolici che, come Binding
e Hoche nel 1930, parleranno di “vite senza
qualità”.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro da
Il Foglio quotidiano