
Testo dell’Esposto Denuncia
Inviato alla Procura di Lecco per salvare Eluana Englaro
ESPOSTO – DENUNCIA
All’Ill.mo Procuratore presso il
Tribunale di
LECCO
Il Prof. Mario Giovanni Palmaro, non in proprio, ma quale
Presidente del “Comitato Verità e Vita”, con sede
in Casale Monferrato, Via Gonzaga, 67,
premesso: il Comitato Verità e Vita è
un’associazione costituita ai sensi degli artt. 36, 37 e 38
del codice civile, aconfessionale, apartitica e senza scopi di
lucro, che ha il fine statutario di promuovere il riconoscimento e
la difesa della dignità e della vita di ogni essere umano dal
concepimento alla morte naturale e l’obbiettivo di impegnarsi
ad ogni livello per promuovere leggi rispettose della vita umana
nonché per denunciare pubblicamente, senza cedimenti e
compromessi, l’esistenza di leggi intrinsecamente ingiuste,
tra le quali ogni legge che dovesse rendere lecita la pratica
dell’eutanasia comunque denominata (articolo 4 dello
Statuto);
espone a codesto Ill.mo Procuratore della Repubblica quanto
segue:
1. Eluana Englaro è una donna di 37 anni ricoverata in un
ospedale sito nel Comune di Lecco in stato vegetativo persistente,
stato che perdura dal 1992.
Da quanto si è appreso dalle notizie di stampa e dalla lettura
delle pronunce che sono state emesse in relazione alla stessa, la
Englaro non viene sottoposta a particolari terapie, ma, oltre alla
prestazione di adeguate cure della sua persona con le modalità
necessarie in relazione al suo stato, viene nutrita attraverso
l’utilizzo di un sondino nasogastrico. Lo stato complessivo
della paziente è ritenuto buono e stabile e non sussiste alcun
imminente pericolo di vita.
La Corte d’Appello di Milano, con Decreto del 25/6/2008 (dep.
9/7/2008) reso nell’ambito di un procedimento di volontaria
giurisdizione, pronunciando in sede di appello sul ricorso promosso
dal tutore di Eluana Englaro, il padre Beppino Englaro, in riforma
di un decreto di rigetto del Tribunale di Lecco, ha accolto
l’istanza “di autorizzazione a disporre
l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale
(di Eluana) realizzato mediante alimentazione e idratazione con
sondino naso-gastrico” e ha dettato disposizioni per
l’attuazione in concreto di tale misura
(“L’interruzione del trattamento di alimentazione e
idratazione artificiale con sondino naso-gastrico, la sospensione
dell’erogazione di presidi medici collaterali (antibiotici o
antinfiammatori ecc.) o di altre procedure di assistenza
strumentale, avvengano, in hospice o altro luogo di ricovero
confacente, ed eventualmente – se ciò sia opportuno ed
indicato in fatto dalla miglior pratica della scienza medica
– con perdurante somministrazione di quei soli presidi
già attualmente utilizzati atti a prevenire o eliminare
reazioni neuromuscolari paradosse (come sedativi o antiepilettici)
e nel solo dosaggio funzionale a tale scopo, comunque con
modalità tali da garantire un adeguato dignitoso
accudimento accompagnatorio della persona (ad es. anche con
umidificazione frequente delle mucose, somministrazione di sostanze
idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di
liquidi, cura dell’igiene del corpo e
dell’abbigliamento ecc.) durante il periodo in cui la sua
vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento, e in
modo tale da rendere sempre possibili le visite, la presenza e
l’assistenza, almeno, dei suoi più stretti
familiari”).
Il padre e tutore di Eluana Englaro ha ripetutamente dichiarato di
voler dare pronta attuazione del provvedimento della Corte
d’Appello di Milano, facendo leva sulla circostanza che il
decreto, ai sensi dell’articolo 741 codice procedura civile,
pur revocabile (articolo 742 codice procedura civile) e pur essendo
possibile ricorrere per cassazione avverso lo stesso, ha efficacia
immediata.
2. Occorre in primo luogo analizzare la condotta a cui il tutore
è stato autorizzato e le conseguenze che essa comporta sulla
vita di Eluana Englaro.
Come si premetteva, pur avendo perso le funzioni cognitive a
seguito dell’incidente stradale di cui rimase vittima, Eluana
Englaro non solo è viva – in nessun modo potendosi
assimilare lo stato vegetativo persistente alla morte cerebrale,
trattandosi di condizioni totalmente differenti tra di loro, come
è pacifico – ma è anche in buone condizioni
complessive di salute, tenuto conto anche dell’età non
particolarmente avanzata.
In particolare è da escludere che Eluana sia nella condizione
di malato terminale, vale a dire in condizioni di salute tali da
far ritenere che, per il progredire della malattia, la morte della
paziente sia evento inevitabile e imminente: le condizioni sono, al
contrario, stabili, come è stato ripetutamente affermato da
coloro che ne hanno cura. Questa puntualizzazione è necessaria
per escludere fin da subito l’attinenza al caso in esame
della tematica dell’accanimento terapeutico, pratica che
consiste nell’erogazione di pratiche mediche straordinarie su
paziente morente, pratiche sostanzialmente inutili, in quanto
prolungano di pochissimo l’agonia dello stesso e quindi
gravemente lesive della dignità del paziente stesso, cui viene
negata la possibilità di giungere serenamente e dignitosamente
alla morte ormai imminente.
La condotta autorizzata prevede, piuttosto, l’interruzione
dell’alimentazione e idratazione della paziente: verrà
distaccato il sondino nasogastrico dal corpo della paziente o,
comunque, lo stesso non verrà più utilizzato per
immettere nel corpo dell’Englaro le sostanze nutritive e i
fluidi idratanti. Poiché Eluana Englaro si nutre e si idrata
(“beve”) solo con l’utilizzo di detto sondino, la
condotta potrebbe essere considerata corrispondente alla
sospensione della somministrazione di cibo e di acqua ad una
qualsiasi altra persona; gli effetti di tale sospensione – se
prolungata – corrisponderanno, appunto, a quelli che si
producono sul corpo di una persona lasciata senza cibo e senza
acqua: progressivo e incalzante deperimento fino alla morte.
La morte, quindi, sarà l’esito di un processo che
certamente avrà la durata di diversi giorni e che, secondo
alcuni (ma anche le modalità attuative dettate dalla Corte
d’Appello di Milano sembrerebbero sottintenderlo) sarà
doloroso. La vicenda di qualche anno fa di Terry Schiavo, del
resto, identica a quella di Eluana Englaro quanto alla sospensione
dell’alimentazione e idratazione, ha ampiamente dimostrato la
lunghezza del periodo di interruzione prima del sopraggiungere
della morte e le sofferenze della persona morente per mancanza di
cibo e acqua.
3. Si impone, a questo punto, una riflessione sulla qualificazione
giuridica sotto il profilo penale della condotta che Beppino
Englaro, in forza del decreto della Corte d’Appello di
Milano, intende porre in essere.
Si sottopone a codesta Procura il quesito se la condotta non
rientri integralmente nella definizione dettata dall’art. 575
del codice penale sull’omicidio: “Chiunque cagiona la
morte di un uomo è punito …”.
In effetti la morte sarà cagionata dalla mancata nutrizione e
idratazione di un soggetto che non è in grado, in conseguenza
della sua disabilità, di nutrirsi e idratarsi da solo.
Peraltro, per qualificare il fatto come omicidio volontario, non
sembra necessario richiamare l’articolo 40 capoverso codice
penale poiché la condotta di Beppino Englaro non sarà
semplicemente omissiva, in quanto egli toglierà il sondino
nasogastrico dal corpo della figlia e, soprattutto, impedirà
ad altri soggetti di reinserirlo e di nutrire la figlia fino a
quando la stessa verrà a morte.
Si deve escludere, al contrario, che la condotta possa essere
qualificata come omicidio del consenziente ai sensi
dell’articolo 579 del codice penale: e ciò sia
perché il secondo comma dello stesso articolo dispone
l’applicazione delle norme sull’omicidio quando il
fatto è commesso contro una persona inferma di mente –
condizioni sicuramente applicabile a Eluana Englaro che, non a
caso, è stata interdetta dopo l’incidente stradale
– ma anche in quanto, come ripetutamente statuito dalla
giurisprudenza della S.C., per l’applicazione della norma
più favorevole dell’articolo 579 codice penale, il
consenso della vittima deve essere esplicito e non equivoco e deve
perdurare fino al momento in cui il colpevole commette il fatto,
mentre, nel caso di specie, è stato ricostruito un (presunto)
consenso della vittima risalente a molti anni fa.
Nemmeno può essere richiamata la norma dell’articolo 580
codice penale che punisce l’aiuto al suicidio, poiché,
ovviamente, tale ipotesi presuppone una condotta suicidaria attiva
della vittima, in qualche modo agevolata dal colpevole, condotta
attiva che manca completamente quanto ad Eluana.
Quest’ultimo richiamo, peraltro, è necessario per meglio
puntualizzare sotto il profilo penalistico la condotta: essa
sarà condotta di coloro che procederanno a sospendere
l’alimentazione e l’idratazione e non di Eluana
Englaro.
Si tratta di affermazione che sembra scontata, ma non si deve
dimenticare che tutto il lungo procedimento di volontaria
giurisdizione che ha portato al decreto della Corte d’Appello
di Milano è basato su una finzione giuridica: che cioè ad
agire sostanzialmente sia stata Eluana Englaro, attraverso il suo
tutore, e che, quindi, il predetto tutore sia stato autorizzato ad
eseguire la richiesta di morte dell’interdetta.
Appare chiaro che questa finzione (che, ovviamente, nel diritto
civile ha una utilità per la tutela degli interessi,
soprattutto patrimoniali, dell’interdetto) non cambia, sotto
il profilo penalistico, la natura e l’attribuibilità
della condotta: non sarà Eluana a lasciarsi morire di fame e
di sete, saranno piuttosto altri a cagionarne la morte impedendone
la nutrizione e l’idratazione.
4. Se, allora, la causazione della morte di Eluana Englaro
sarà addebitabile a chi smetterà di nutrirla e idratarla
e impedirà ad altri di farlo, ci si deve chiedere per quali
motivi la norma sopra richiamata di cui all’art. 575 codice
penale non debba trovare applicazione.
Vi sono delle cause di giustificazione che renderanno lecita questa
condotta?
Non sembra assolutamente avere rilevanza la causa di
giustificazione del consenso dell’avente diritto, poiché
la vittima non solo è interdetta, ma non può validamente
disporre della propria vita (come si evince dalla già citata
norma sull’omicidio del consenziente).
Non rileva certamente quella dell’adempimento di un dovere
imposto da una pubblica Autorità, poiché la Corte
d’Appello di Milano non ordina il distacco del sondino
nasogastrico, l’autorizza soltanto.
Dovremo allora sostenere che Beppino Englaro agirà
nell’esercizio di un diritto e quindi verrà scriminato
ai sensi dell’articolo 50 del codice penale?
Per giungere a questa conclusione occorrerà che anche la
giurisprudenza penale affermi che esiste un diritto ad uccidere un
soggetto in stato vegetativo persistente ormai da molti anni quando
lo stesso, prima di cadere in detto stato, abbia dichiarato di non
voler rimanere in vita nel caso fosse caduto nel medesimo
stato.
Ma – da quando nel nostro Paese è stata abolita la pena
di morte – questo diritto ad uccidere non esiste, nei
confronti di qualunque persona umana, in qualunque condizione di
salute si trovi.
5. In realtà è possibile ulteriormente approfondire la
portata del decreto della Corte d’Appello di Milano rispetto
ad una condotta che Beppino Englaro o altre persone intendessero
porre in essere.
In primo luogo occorre analizzare a quali soggetti si estende
questa anomala “autorizzazione” rilasciata dalla Corte
d’Appello di Milano: qualunque soggetto, avuta notizia del
provvedimento, potrebbe oggi (o fra qualche giorno) entrare
nell’ospedale e staccare il sondino nasogastrico ad Eluana
Englaro? E magari resistere con forza al tentativo di altri di
reinserirlo e di nutrire la paziente?
Quale estensione avrebbe questo diritto? L’attività di
uccisione di Eluana Englaro deve considerarsi attività
lecita?
Ovviamente la risposta è negativa: in realtà la Corte
d’Appello legittima il solo tutore a staccare il sondino
naso-gastrico, consegnandogli una sorta di lasciapassare ad
personam, appunto sulla base della finzione giuridica che ad agire
sia, in realtà, la figlia.
E del resto – occorre sottolineare – il provvedimento
della Corte d’Appello civile è un decreto che ha quindi
efficacia tra le parti e, quindi, solo tra il tutore,
l’interdetta e la curatrice speciale.
Questo significa che l’anomalo diritto personale del tutore a
staccare il sondino naso-gastrico non è in alcun modo
opponibile ad altre persone, che non sono state parti nel giudizio
e che non hanno alcun obbligo di ossequio a tale provvedimento:
tali persone, quindi, avranno il diritto – e, secondo questo
esponente, codesto Procuratore della Repubblica ha l’obbligo
giuridico – di difendere la vita di Eluana Englaro contro un
comportamento che si pretende di porre in essere in forza di un
provvedimento che sovverte le radici del nostro sistema giuridico.
6. Per comprendere quanto poco rilievo avrebbero gli atti del
procedimento civile per giudicare della condotta di uccisione di
Eluana Englaro, è opportuno, infine, richiamare le norme degli
artt. 2 e 3 del codice di procedura penale, da cui si evince con
chiarezza che i provvedimenti giurisdizionali emessi nel corso del
procedimento civile non farebbero stato in un eventuale
procedimento penale instaurato per il reato di omicidio volontario;
non solo: ai sensi degli artt. 236 e 238 bis del codice di
procedura penale il decreto della Corte d’Appello di Milano
non potrebbe essere prodotto, sia perché non ha la natura di
sentenza, sia perché si tratta di provvedimento revocabile;
ancora: ai sensi dell’articolo 238 comma II del codice di
procedura penale i verbali di prova assunta davanti alla Corte
d’Appello civile non potrebbero essere acquisiti agli atti
del procedimento penale, poiché il giudizio civile non è
stato definito “con sentenza che abbia acquistato
autorità di cosa giudicata”.
E, del resto: quale attendibilità hanno queste prove su cui il
decreto della Corte d’Appello si dilunga?
Si tratta di prove assunte in un procedimento di volontaria
giurisdizione, in cui è mancato addirittura il minimo
contraddittorio tra il tutore e la curatrice speciale (la cui
nomina era stata imposta da una precedente sentenza della S.C.),
curatrice che, nominata per difendere gli interessi di Eluana
Englaro, si è associata alla richiesta di autorizzazione alla
sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione
avanzata dal tutore!
Come sono stati scelti i testimoni? Sono state eseguite
investigazioni – come quelle che si svolgono nelle indagini
preliminari – per verificare se Eluana avesse anche espresso
sentimenti e opinioni difformi? Chi doveva cercare queste
testimonianze, se il processo è stato un processo di parti,
con le parti private concordi nel risultato da raggiungere?
E poi: Eluana aveva acconsentito a morire di fame e di sete dopo
una lunga agonia? Sapeva che sarebbe stata amorosamente accudita
nell’ospedale dove era nata? Sapeva che la sua vicenda
avrebbe commosso milioni di persone e indotto tanti a scoprire il
valore della vita anche nella malattia? Cosa penserebbe ora, di
fronte alla prospettiva di una morte imminente?
Risulta evidente che le lunghe dissertazioni della Corte
d’Appello sullo “stile di vita” di Eluana
verrebbero – verranno, se Beppino Englaro darà corso
alla pratica che è stata autorizzata – spazzate via in
un dibattimento penale pubblico in cui si giudicherà della
morte di una giovane donna innocente.
7. Queste considerazioni – cui potrebbero aggiungersi altre,
prima fra tutte l’inammissibilità di un provvedimento
del Giudice civile che consenta di porre fine alla vita di una
donna innocente con un “decreto” pronunciato nel
contraddittorio di quattro soggetti, sovvertendo i fondamenti dello
Stato democratico e repubblicano e, fa l’altro, invadendo
anche lo spazio riservato al legislatore – ordinario e
costituzionale – vengono qui esposte sommariamente in ragione
della estrema urgenza a provvedere.
Come si è già premesso Beppino Englaro ha annunciato
pubblicamente di voler dare attuazione al decreto della Corte
d’Appello di Milano non appena le norme del codice di
procedura civile glielo permetteranno.
L’esponente sottolinea a codesto Ill.mo Procuratore della
Repubblica la sussistenza di due profili:
in primo luogo occorre intervenire per impedire che un’aporia
del sistema processualcivilistico permetta di porre fine alla vita
di Eluana Englaro addirittura prima che i provvedimenti emessi nei
confronti del tutore siano divenuti definitivi. In effetti, se la
previsione del codice di procedura civile che prevede
l’immediata efficacia dei decreti emessi in sede di
volontaria giurisdizione ha un senso tenuto conto che si tratta di
provvedimenti revocabili, altrettanto non può ovviamente dirsi
rispetto ad un provvedimento (che il legislatore non aveva
previsto) che conduce alla morte dell’interdetta e che,
quindi, ha effetti irreparabili. Codesto Procuratore può
certamente intervenire quanto meno per impedire che la causazione
della morte di Eluana Englaro venga messa in atto addirittura prima
che la giurisdizione civile si sia pronunciata in via definitiva,
quindi anche con la pronuncia della S.C., che si auspica travolga
il decreto della Corte d’Appello di Milano.
Occorre, poi, più in generale impedire la messa in atto dei
propositi di Beppino Englaro, impedendogli, con gli strumenti
più opportuni, di porre in essere la sua volontà. Si
segnala, sotto questo profilo, che – poiché la direzione
dell’ospedale di Lecco dove Eluana Englaro è ricoverata
ha ripetutamente e pubblicamente escluso che la uccisione della
donna possa avvenire in detto nosocomio – un provvedimento
sufficiente consisterebbe nell’impedire che Eluana Englaro
venga trasferita in altro luogo: provvedimento che, d’altro
canto permetterebbe alla donna di godere
dell’assistenza e della cura amorevoli che in questi anni le
sono state fornite.
Ossequi,
Mario Palmaro