
Viaggio curioso nel Mondo Nuovo, dove è “tutto concepibile”
Un libro inchiesta racconta la provetta Americana
Come includere nella cerimonia battesimale, oltre ai genitori,
ai padrini e alle madrine, la donatrice di ovuli che ha permesso ai
tre gemelli Ramirez di nascere? Se lo domanda il reverendo Beth
Parab dopo la richiesta di Laura, madre legale dei bambini, che
vuole mostrare riconoscenza alla donna che le ha permesso la
maternità. Comincia così “Everything conceivable. How
assisted reproduction is changing men, women, and the world”
(Knopf, 406 pagine, 26,45 dollari), il libro di Liza Mundy,
giornalista del Washington Post.
E’ un viaggio nel Mondo Nuovo, nato quando, per la prima
volta, una vita umana è stata concepita fuori dal corpo di
una donna. Un mondo in cui è possibile che la madre che ti
ha partorito non sia quella genetica (nei soli Stati Uniti il 12
per cento delle fecondazioni in vitro avviene con ovociti donati);
un mondo in cui sono sempre più numerose le donne che fanno
figli a più di quarant’anni; un mondo in cui
l’82 per cento dei figli nati da donatore vorrebbe conoscere
il “biodad”; un mondo in cui nuove famiglie sono disegnate fin
dall’inizio con un solo genitore o anche con tre, di cui uno
“sociale”,
legato al bambino legalmente, e due biologici, uno dei quali si
occuperà del figlio e l’altro che sparirà
nell’anonimato; un mondo in cui con la tecnica Icsi gli
spermatozoi meno vitali possono essere iniettati nell’ovocita
e fecondarlo, anche se i maschi nati da quella tecnica sono
destinati a essere sterili.
Qualcuno ha calcolato che, se l’1 per cento degli uomini di
ogni generazione è infertile e se tutti useranno
l’Icsi, fra diecimila anni la specie umana non potrà
più riprodursi.
Un mondo in cui stiamo assistendo a un importante “esperimento
sociale mediato dalla tecnologia”, scrive Mundy. Il libro raccoglie
storie vere raccontate dai protagonisti.
Come quella di Eric e Doug, due gay, e delle loro due gemelle,
Sophia e Elizabeth. Prima c’è stata la scelta della
donatrice di ovociti, per metà fecondati con lo sperma di
Eric e per metà con quello di Doug (si chiama “equità
riproduttiva”). Poi l’incontro con la donna, già madre
di quattro figli, che presterà l’utero (lo
perderà per un’emorragia durante il parto delle
gemelle), infine la decisione
sugli embrioni da trasferire. “Abbiamo sempre voluto gemelli.
Talvolta abbiamo sognato gemelli con la stessa madre biologica e
due padri biologici”, confessano Eric e Doug, e il sogno si avvera:
Sophia ed Elizabeth sono gemelle, con due padri diversi e senza
madre. O forse con due: una biologica, la donatrice anonima di
ovuli, e la donna che le ha partorite, con cui si è
consolidata un’amicizia.
E’ la “riproduzione collaborativa”: il senso usuale di parole
come padre e madre non esiste più.
Mundy racconta con empatia un mondo nel quale “le persone vogliono
avere bambini; se possono, con la persona che amano”. E a qualsiasi
costo, aggiungiamo noi, nonostante infertilità e malattie,
mancanza di un compagno, età e sesso. Ma le pagine del libro
trasudano di immensi problemi.
“Essere voluti, sfortunatamente, non è sufficiente”, si
legge su un sito dove figli nati da donatori cercano chi li ha
generati. Le famiglie in cui la fecondazione è avvenuta con
donazione di gameti spesso formano associazioni che riuniscono i
discendenti dello stesso donatore, come il “1.476 group”, che
comprende i nati dallo sperma donato alla Fairfax Cryobank
dall’anonimo 1.476.
Sono le donne a organizzare siti web, gruppi e riunioni, ma agli
incontri fra donatori di sperma e bambini i padri “sociali” non
vanno mai.
Questo è il messaggio: la genetica è la cosa
più importante al momento della scelta del donatore, quando
il figlio deve nascere, ma diventa – o meglio, deve diventare
– niente quando nasce la relazione con il bambino.
“I bambini nati da fecondazione in vitro sono diversi da quelli
concepiti da genitori senza problemi di fertilità. La gente
che soffre di infertilità, o subfertilità, sembra
essere geneticamente differente da chi non ha problemi a metter su
famiglia come vuole”: lo dice Arthur Leader, già presidente
della Canadian Fertility and Andrology Society e padre di un bimbo
nato da fecondazione in vitro.
Prematuri e sottopeso anche se nati da un singolo embrione, con
maggiori complicanze in gravidanza e più disabilità
alla nascita.
Negli Usa aumenta il numero dei prematuri e dei parti gemellari,
con le complicanze che ne derivano, compresa la morte. Per evitare
pericolose gravidanze multiple si può ricorrere alla
“riduzione fetale”, all’aborto di alcuni feti, per permettere
agli altri di svilupparsi. Non esistono dati ufficiali. E’
uno dei
capitoli più crudi del libro. Il dottor Evans guarda il
monitor dell’ecografo, inietta il cloruro di potassio nel
cuore dei feti selezionati e mostra alla madre quelli rimasti.
C’è chi, se gli embrioni sono troppi, li congela.
Anime nel ghiaccio: mezzo milione in America, con organizzazioni
che si occupano del loro inventario, e compagnie commerciali per lo
stoccaggio di embrioni congelati. Quelli chi vi lavorano “spesso
sono gli unici a discutere con i genitori questioni fondamentali
sulla nascita, la vita, la morte e la riproduzione, tutte le
questioni essenziali dell’umanità”.
Assuntina Morresi
ANNO XII NUMERO 187 – PAG 2
IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 9 AGOSTO 2007