
Legge 194 – da difendere?
Un approfondimento a cura del Dr. Roberto Algranati
Da alcuni anni si è fatta strada in ambiente pro-life e
cattolico l’idea di valorizzare quelle parti della legge
194/78 che, almeno formalmente, sembrano proteggere la vita umana
prenatale.
Si tratta del titolo della legge “Legge per la tutela sociale
della maternità e per l’interruzione volontaria della
gravidanza”, e di parte degli 1, 2 e 5.1
Il progetto di valorizzare certi “elementi positivi della
legge 194” per difendere le vite umane minacciate
dall’aborto è in sé certamente positivo e
merita di essere utilizzato e valorizzato. Tuttavia, se esso si
associa alla rinuncia a denunciare l’intrinseca ingiustizia
ed inaccettabilità della legge 194/78, diventa
disastroso.
Si dice che mancano le condizioni per modificare la legge; anzi si
aggiunge che continuare a contestare la legge creerebbe una
reazione di chiusura da parte dei suoi sostenitori e ostacolerebbe
la stessa applicazione delle sue parti positive. Si pensa di
“svuotare dall’interno” la legge 194, e di
ridurne fortemente l’impatto sociale, di “renderla
quasi inutile” potenziando gli aiuti e le alternative offerta
alla donna che vuole abortire perché, si dice, “se la
donna è veramente libera non abortisce”.
Questo modo di pensare è del tutto irrealistico. Non si
tengono in sufficiente considerazione l’origine e gli scopi
di questa legge, e i metodi che sono stati usati per giungere alla
sua approvazione.
La legge 194/78, infatti, non è un evento isolato, ma fa
parte di un processo storico che riguarda, non solo l’Italia,
ma tutto il mondo occidentale, con la sola esclusione
dell’Irlanda e dell’isola di Malta. Infatti, fra il
1967 e il 1980 tutte le altre nazioni del mondo occidentale hanno
introdotto leggi fortemente permissive in materia di aborto.
Perché ciò è avvenuto?
In tutti questi paesi, Italia compresa, esisteva già la
possibilità legale dell’aborto terapeutico per salvare
la vita della madre o per impedire gravissimi danni alla sua salute
fisica, non altrimenti evitabili.
Inoltre lo sviluppo della moderna medicina aveva quasi
completamente eliminato la drammatica necessità
dell’aborto come estremo mezzo terapeutico.
Anche la mortalità femminile per aborto clandestino,
contrariamente a quanto falsamente si è fatto credere, era
molto bassa e non superava in Italia lo 0,2% della mortalità
femminile in età feconda.
Per questi motivi i medici non avevano mai chiesto leggi più
permissive in materia di aborto terapeutico ma, al contrario, ne
avevano sempre più ristretto le indicazioni.
In realtà la legge 194, come le altre leggi simili del mondo
occidentale, è stata approvata con lo scopo prioritario di
legalizzare l’aborto a richiesta della donna nei primi 90
giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico fino alla 24°
settimana di gestazione. Questa legge non ha alcun fondamento nella
biologia scientifica, né nelle esigenze della medicina e
nemmeno nei principi generali del diritto, ma è soltanto il
frutto di una imposizione culturale tenacemente voluta da politici
cinici e conformisti e accettata da un’opinione pubblica
ingannata per anni da una sistematica propaganda menzognera sui
mezzi di informazione.
In un passato relativamente recente, le stesse caratteristiche sono
state proprie delle leggi razziali. Non esisteva alcuna base
scientifica né giuridica che giustificasse la presunta
superiorità della razza bianca su quella nera o degli ariani
sugli ebrei. Solo l’ideologia della “razza
superiore”, e il mito i della “purezza razziale”,
imposti da politici senza scrupoli, avevano portato alle leggi
razziali.
Allo stesso modo, l’ondata di leggi permissive in materia di
aborto, che ha interessato il mondo occidentale, è in
realtà causata da due ideologie, entrambe nate nel mondo
anglosassone. La prima è l’ideologia femminista
radicale, che considera un’ingiustizia, inaccettabile per la
donna, l’obbligo legale di portare a termine una gravidanza,
anche se indesiderata, e vede in ciò un grave ostacolo alla
sua affermazione nella società e al raggiungimento di una
piena parità con l’uomo. Perciò questa
ideologia vuole che alla donna sia riconosciuto il diritto di
scelta (choice) fra l’interruzione o il proseguimento della
gravidanza. La seconda è l’ideologia neomalthusiana,
antinatalista che ritiene la crescita della popolazione mondiale
causa prima della fame e del sottosviluppo del terzo mondo e la
considera una grave minaccia al benessere delle nazioni ricche.
L’arresto della crescita della popolazione mondiale è
lo scopo prioritario della IPPF (International Planned Parenthood
Federation), la potentissima organizzazione antinatalista, nata nel
1942 negli Stati Uniti con Margaret Sanger e poi estesasi a tutto
il mondo a partire dagli anni’50. Questa ideologia è
una filiazione diretta delle ideologia razzista ed eugenista della
prima metà del 20° secolo.
Nel 1967 l’ALRA (Abortion Law Repeal Association),
portabandiera delle femministe inglesi, ottenne in Inghilterra
l’approvazione dall’ Abortion Act (aborto praticamente
a richiesta fino alla 24a settimana di gravidanza).
Poco dopo la IPPF, che fino ad allora aveva propagandato solo la
contraccezione e la sterilizzazione, nel suo congresso mondiale a
Dacca (28/1/– 4/2/1969), decise di promuovere su scala
planetaria la legalizzazione permissiva dell’ aborto
(definito testualmente “il mezzo chirurgico della
contraccezione”) ritenendolo, come risulta dagli atti, la
soluzione più efficace per arrestare la crescita della
popolazione mondiale. Lo stesso orientamento venne ribadito ai
congressi della IPPF per l’Europa (Budapest 1969) e per
l’estremo oriente ed il Pacifico (Tokio 1970)
Per ottenere l’approvazione di leggi permissive in materia
d’aborto fu messo a punto un programma basato sulla menzogna
sistematica e studiato in modo da ingannare l’opinione pubblica
tramite i mezzi di comunicazione di massa, così da
convincerla che la legalizzazione dell’aborto in forma permissiva
era una necessità sociale ed una misura umanitaria e
progressista.
Questo programma è stato realizzato in modo uguale in tutto
il mondo occidentale, Italia compresa.
Il programma si articola nei seguenti punti: 1. Affermare che il
numero degli aborti clandestini è elevatissimo.
2. Affermare che la legalizzazione dell’aborto è
indispensabile per evitare un’ecatombe di giovani donne
causata dai numerosissimi aborti clandestini.
3. Negare, anche contro l’evidenza scientifica, la natura umana del
bambino non ancora nato e cercare di far dimenticare la sua
esistenza modificando opportunamente il linguaggio e trattando
l’argomento dell’aborto come un fatto che non lo riguarda.
4. Tenere rigorosamente nascoste le moderne conoscenze di
embriologia umana e la natura atroce delle tecniche abortive
screditando con l’accusa di ” terrorismo psicologico “chiunque
voglia farle conoscere.
5. Affermare che le leggi permissive in materia d’aborto
promuovono l’emancipazione, la libertà e la
dignità della donna e che, quindi, voler sostenere il
diritto alla vita del nascituro fin dal concepimento è
frutto di una mentalità arretrata, maschilista ed ostile
all’emancipazione femminile.
6. Sfruttare i processi per reati d’aborto clandestino e
tutte le possibili occasioni, anche le più drammatiche, per
promuovere la legalizzazione dell’aborto.
Ed ecco come in Italia, sulla falsariga di questo programma
internazionale, è stato promossa la legalizzazione
permissiva dell’aborto, poi conclusasi con la promulgazione
della legge 194 il 22 maggio 1978.
Secondo questi promotori, negli anni ’70, in Italia gli
aborti clandestini sarebbero stati da 800 000 a tre milioni ( da 2
a 8 in media per ogni donna nel corso della sua vita !! ).
Le donne morte per aborto clandestino sarebbero state ben 20-25000
all’anno (tre volte le morti annuali per incidenti stradali
negli anni ’70). Queste cifre comparvero negli anni ‘70
su giornali e settimanali come La Stampa, il Corriere della Sera,
Panorama, l’Espresso e altri, e furono ritenute così
attendibili da alcuni politici da essere riportate in ben tre
disegni di legge regolarmente depositati in Parlamento (DDL Banfi,
Brizioli e Fortuna).
La legge italiana che proibiva l’aborto sarebbe stata
fascista perché contenuta nel codice Rocco del 1930, anche
se era perfettamente uguale a quella del precedente codice penale
Zanardelli del 1889.
Nel 1976 l’incidente di Seveso e l’inquinamento
ambientale da diossina fu l’occasione per spingere all’
aborto le donne incinte colpite dall’inquinamento (anche
contro la legge allora vigente) al fine di impedire la nascita di
eventuali bambini con malformazioni. “Non vogliamo
mostri” fu lo slogan delle femministe accorse prontamente a
Seveso. Vennero eseguiti, in deroga alla legge, 30 aborti.
Ma qual’era la verità?
Il numero annuale di aborti clandestini in Italia era compreso fra
100 e 200 000, e il numero di donne, morte per aborto clandestino,
all’incirca 30 all’anno: lo 0,2% della mortalità
femminile in età feconda che, nel 1972, è stata, per
tutte le cause di morte, di circa 15000 unità. Molto meno
delle 20- 25000 morti attribuite al solo aborto clandestino dai
promotori della legge abortista!
Queste stime obbiettive furono pubblicate dal prof. Colombo,
demografo dell’Università di Padova, nel 1977 e
risultarono esatte. L’approvazione della legge 194 non
produsse, infatti, alcuna modificazione apprezzabile della
mortalità femminile in età feconda, che
continuò a diminuire con la stessa velocità di prima
(circa il 2,5% all’anno), grazie al continuo progresso della
medicina e dell’assistenza sanitaria. Ciò dimostra che
la mortalità per aborto clandestino era statisticamente
insignificante.
Nessuno dei feti abortiti a Seveso risultò malformato; i
figli e le figlie delle donne che allora rifiutarono l’aborto
sono oggi giovani uomini e donne del tutto normali.
La natura ideologica della legge 194/78 è evidenziata non
solo dalla sua origine e dai metodi seguiti per la sua
approvazione, ma anche dall’accanimento irragionevole con cui
si continua ad affermare che gli aborti legali sono diminuiti per
merito di questa legge permissiva. E’ contro il semplice buon
senso sostenere che, trasformando l’aborto da reato in
diritto garantito dal Servizio Sanitario, la sua frequenza
diminuisca. Se essa di fatto si riduce, la causa deve,
necessariamente, essere diversa e risiede, in massima parte,
nell’uso massiccio della pillola del giorno dopo (300 000
confezioni vendute ogni anno in Italia). Questo prodotto
farmaceutico causa aborti precocissimi, che sfuggono alla
statistica. E’ comunque sconcertante e anche motivo di
preoccupazione che simili assurdità siano state
ripetutamente affermate da due Ministri della Sanità anche
recentemente siano state ribadite dal sottosegretario al Ministero
della Salute.
Tuttavia è logico. e in fondo inevitabile. che i sostenitori
della legge 194/78 facciano simili affermazioni, perché
questa legge, come quelle razziali del passato, è unicamente
di natura ideologica. Le ideologie sono sostenute, non
dall’amore per la verità, ma solo da una
“volontà di potenza” e perciò resistono
alla logica, alla scienza, al buon senso e persino alla
realtà dei fatti. In altri termini: certe affermazioni
vengono fatte non perché sono vere ma solo perché
servono a giustificare il contenuto dell’ideologia, nel caso
specifico, il diritto della donna all’aborto il mantenimento
in vigore della legge.
Negli anni ‘70 c’era però ancora un serio
ostacolo alla legalizzazione permissiva dell’aborto in
Italia: La sentenza della Corte Costituzionale n° 27 de 12/ 2/
1975. Questa sentenza affermava la liceità costituzionale
del solo aborto terapeutico diretto a proteggere, non solo la vita,
ma anche la salute della madre. La sentenza però precisava
“…… ritiene anche la Corte che sia obbligo del
legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che
l’aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla
realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe
derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e
perciò la liceità dell’aborto deve essere ancorata ad
una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a
giustificarla. “
Per cercare di conformarsi (solo a parole) alla sentenza della
Corte Costituzionale, la legge 194 venne impostata come una
regolamentazione dell’aborto terapeutico, in cui però,
nei primi 90 giorni, è la sola donna che decide, a suo
insindacabile giudizio, se l’aborto è necessario per
la sua piena salute fisica e psichica “….in relazione
o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o
sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il
concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del
concepito….” (Art.4). Poi, fino alla 24a settimana di
gravidanza, l’aborto terapeutico è legalmente permesso
“…..quando siano accertati processi patologici, tra
cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del
nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o
psichica della donna” (Art. 6) L’accertamento deve
essere effettuato e documentato da un medico del servizio
ginecologico dove avverrà l’intervento, che
può, ma non è obbligato, a servirsi di un consulente
specialistico.
Da notare: L’aborto è legalmente lecito anche se i
processi patologici o le malformazioni potrebbero essere guariti o
corretti prima o dopo la nascita.
Inoltre il ginecologo, non essendo obbligato alla consulenza
specialistica, può valutare e documentare anche da solo la
sussistenza di un grave pericolo per la salute psichica della
donna.
E’ evidente che così il legislatore ha voluto
legalizzare sia l’aborto a richiesta nei primi 90 giorni, sia
l’aborto eugenetico fino alla 24° settimana gravidanza,
mascherandoli entrambi da aborti terapeutici per tutelare la salute
fisica e psichica della donna. La valutazione del grave pericolo
per la salute psichica, dopo i 90° giorno di gravidanza,
è a affetta inevitabilmente da un giudizio molto soggettivo
da parte del medico ed è difficilmente contestabile.
Per di più, nei primi 90 giorni di gravidanza, non soltanto
è la donna che da sola valuta, a suo insindacabile giudizio,
se l’aborto è necessario per tutelare la sua salute
fisica o psichica, come previsto dall’articolo 4, ma nessuno
può impedirle di attuare la sua decisione. Neppure il padre
del nascituro, anche se legittimo marito della donna, e nemmeno i
genitori di una minorenne che, per la legge 194, può
abortire anche a loro insaputa. Infine la legge obbliga gli enti
ospedalieri (oggi le ASL) ad eseguire le interruzioni legali di
gravidanza, e prevede che la Regione ne controlli e garantisca
l’attuazione (art. 9). Il direttore di una ASL, che si rifiuti di
garantire il servizio di aborto legale, è passibile di
condanna per omissione di atti d’ufficio e per lui non
è ammessa l’obbiezione di coscienza.
Dunque, nei primi 90 giorni di gravidanza è la donna che
decide di abortire e le ASL sono obbligate ad eseguire. Nessun
altro intervento può essere imposto ad una struttura
sanitaria, se i medici non lo ritengono giustificato; ma
l’aborto sì, può essere imposto e ciò in
forza della legge 194/78.
Così il legislatore ha implicitamente riconosciuto anche
l’autodeterminazione della donna e il suo diritto
all’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza in contrasto con
la sentenza n° 27 / 75 della Corte Costituzionale.
Al contrario, tutte le parti della legge che parlano di aiuto alla
donna per evitare l’aborto sono configurate non già
come “obblighi” ma come “compiti” del
Consultorio o della struttura socio sanitaria e pertanto, nella
stessa legge, non è prevista alcuna sanzione per chi non li
rispetti.
Tutto ciò dimostra che è completamente falsa
l’affermazione, anche oggi ripetuta, che la legge 194
permetterebbe l’aborto solo per casi estremi, o come
“ultima spiaggia. Chi fa queste affermazioni o non conosce la
legge o è in malafede.
La legge 194 fu approvata dal Parlamento con solo 14 voti di
maggioranza e furono determinanti i voti dei cosiddetti
“cattolici per il socialismo”, quegli stessi che
avevano inserito nel titolo della legge l’espressione “
tutela della maternità” e all’ Art. 1
l’affermazione “la legge tutela la vita umana fin dal
suo inizio”; un’affermazione destinata a rimanere
lettera morta perché, volutamente, si era evitato di
specificare quando, per la legge, iniziava la “vita
umana”
Allora i sostenitori della legge 194 non si preoccuparono affatto
di “lacerare il paese”, di “di creare
steccati” e di innalzare “muro contro muro”,
slogan che ora vengono lanciati immediatamente contro chi propone
qualsiasi modifica restrittiva della legge 194. L’auspicio
che spesso oggi si sente ripetere di trovare “soluzioni
ampiamente condivise” fu allora completamente
disatteso.
L’ultimo atto dell’iter legislativo della legge 194 si
compì il 22 maggio 1978.
Ben sei democristiani firmarono la legge 194/78:
il Presidente della Repubblica Leone, il Presidente del Consiglio
Andreotti e quattro ministri: Anselmi (Sanità), Bonifacio
(Giustizia), Pandolfi (Finanze ) e Morlino (Tesoro).
Il Presidente della Repubblica, come garante della Costituzione
avrebbe dovuto riconoscere almeno la dubbia costituzionalità
della legge e rimandarla perciò al Parlamento per
un’adeguata modifica. Invece la firmò lo stesso.
Ancora più sconcertante fu la firma dell’allora
ministro della giustizia on. Bonifacio, lo stesso che tre anni
prima, come Presidente della Corte Costituzionale, aveva firmato
proprio la già citata sentenza n° 27 del febbraio 1975
in cui si affermava che è “….obbligo del
legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che
l’aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla
realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe
derivare alla madre dal proseguire della gestazione.” Non si era
accorto, l’on. Bonifacio, che all’art. 4 la legge non
prevedeva alcun accertamento sulla realtà e gravità
del danno o pericolo..?
La ragione profonda e inconfessata di queste contraddizioni era, in
realtà, di natura politica: tre anni prima, il 21/ 4/ 1975,
al congresso nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro aveva
detto testualmente:
“La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere
nel riserbo della coscienza certe valutazioni rigorose, certe
impostazioni di principio che erano proprie della nostra formazione
in una diversa stagione della vita sociale, ma che ora fanno
ostacolo alla comunicazione con le masse e alla collaborazione di
governo. Prevarranno dunque la duttilità e la
tolleranza.”
Questa frase, detta pubblicamente mentre era in corso una massiccia
campagna mediatica per ottenere una legge permissiva in materia di
aborto, era il segnale che la DC non si sarebbe opposta ad oltranza
ad una simile legge. Il contenuto della frase è anche
sufficiente per ritenere che questo atteggiamento della DC facesse
parte degli accordi per il “compromesso storico” con i
comunisti.
Da quanto sopra detto si può dare il seguente giudizio
oggettivo sulla legge 194/78:
1. Non ha giustificazioni mediche né giuridiche.
2. E stata voluta solo per ragioni ideologiche e di convenienza
politica
3. Contraddice i dati certi della moderna biologia
scientifica.
4. Si è affermata con l’uso massiccio e sistematico
della menzogna sui mezzi di comunicazione di massa al fine di
ingannare l’opinione pubblica.
5. Ha legalizzato di fatto l’aborto a richiesta nei primi 90
giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico nel 2°
trimestre di gravidanza mascherandoli entrambi come “aborti
terapeutici”,
6. Ha istituito di fatto un diritto della donna all’aborto
nei primi 90 giorni di gravidanza.
7. Per i motivi di cui ai punti 5 e 6 è in contrasto con la
sentenza 27 / 75 della Corte Costituzionale.
8. Le affermazioni e le disposizione a favore della vita del
nascituro o sono puramente declamatorie o sono volutamente di
scarsa efficacia perché qualificate solo come
“compiti” e non come “obblighi”, per la cui
inadempienza la legge non prevede alcuna sanzione.
Sono passati più di trent’ anni dalla promulgazione
della legge 194/78 e si può fare un bilancio.
La gestione della legge 194/78 è stata, e continua ad
essere, pesantemente abortista, come del resto era inevitabile,dato
il suo spirito e la sua struttura.
I consultori familiari che, teoricamente, avrebbero dovuto aiutare
la donna a rimuovere le cause che la spingevano all’aborto,
hanno provveduto, quasi sempre, solo a distribuire certificati per
l’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza.
Gli aborti legali sono stati circa 5 milioni (in media 160 000
all’anno) per il 98% eseguiti a semplice richiesta della
madre nei primi 90 giorni di gravidanza secondo l’art. 4
della legge. Formalmente sono stati tutti aborti
“terapeutici”, in un’epoca in cui il vero aborto
terapeutico, grazie ai progressi delle scienze mediche, è
divenuto rarissimo. Gli aborti eugenetici nel secondo trimestre di
gravidanza sono stati almeno 100 000 e sono stati eseguiti anche
quando i processi patologici o le rilevanti anomalie o
malformazioni che li giustificavano avrebbero potuto essere guariti
o corretti prima o dopo la nascita.
La legge ha aperto una breccia devastante nell’argine che per
secoli il diritto aveva eretto a difesa della vita umana innocente,
provocando una grave perdita di valore della vita umana prenatale,
soprattutto nei primi 90 giorni di gravidanza. Attraverso questa
breccia, oltre a milioni di vittime innocenti, sono passate anche
la pillola del giorno dopo, la fecondazione in vitro con
embrio-transfer (FIVET), che causa una mortalità del 90%
degli embrioni così concepiti, e la Ru 486, cioè
l’aborto chimico.
Non c’è da meravigliarsi, perché le leggi hanno
un potente effetto educativo. Se lo Stato permette, garantisce e
finanzia l’aborto a richiesta della donna nei primi 90 giorni
di gravidanza, o fino alla 24a settimana se il feto è malato
o malformato, ciò significa che, per lo Stato, la vita di
questi esseri umani innocenti non vale nulla e che la loro
soppressione è considerata dallo stesso Stato un fatto
indifferente o addirittura positivo, degno di tutela legale.
Dopo queste considerazioni, tutte rigorosamente documentabili, si
può concludere che è sicuramente perdente la
strategia di puntare solo sulla prevenzione dell’aborto,
valorizzando i deboli elementi favorevoli presenti nella legge
194/78, senza contestare in radice la gravissima ingiustizia della
legge stessa, ma anzi tacendo sul suo vero significato.
Perché questa strategia rinforza il concetto perverso che la
donna ha il diritto di scegliere se uccidere o lasciar vivere il
proprio figlio e si limita soltanto ad aiutarla a scegliere a
favore della vita del nascituro. Si dimentica, o si vuole
dimenticare, l’ideologia, la cultura, l’atmosfera di
menzogna, di ipocrisia, di cinismo e di opportunismo politico che
hanno portato all’approvazione della legge 194 e che
continuano a mantenerla in vigore. L’ultima smentita alle
utopiche speranze di certi pro-life è l’autorizzazione
al commercio, anche in Italia, del RU 486, la pillola
dell’aborto chimico. Con questo veleno embrionale,
l’aborto nei primi 50 giorni di gravidanza diventa più
semplice ed economico per il Servizio Sanitario, è meno
ostacolato dall’obbiezione di coscienza degli operatori
sanitari, e permette alla donna di simulare facilmente un aborto
spontaneo, evitando così la riprovazione sociale ed
eventuali conflitti con il partner e i famigliari.
Si afferma che questo tipo di aborto non è conforme alla
legge 194/78. Non si coltivino illusioni: lo spirito di questa
legge è il diritto incontestabile della donna
all’aborto, su richiesta, nei primi 90 giorni di gravidanza;
il RU486 rende ancora più semplice il soddisfacimento di
questo diritto. Perciò sarà trovato il modo di
rendere del tutto legale l’aborto chimico, se necessario
“ritoccando la forma” della legge 194/78, per
adeguarla, in conformità al suo spirito e ai suoi scopi,
alle “ conquiste del progresso scientifico” in questo
campo, sconosciute nel 1978.
Un’ultima considerazione deve essere fatta sul ruolo
fondamentale che la scristianizzazione dell’Europa ha avuto
nella affermazione dell’ideologia abortista, nell’
approvazione e nel mantenimento in vigore delle leggi permissive in
materia di aborto.
Solo l’Irlanda e l’isola di Malta non hanno mai
introdotto simili leggi e solo la Polonia ha cambiato in senso
molto restrittivo la precedente legge permissiva del regime
comunista, riducendo così drasticamente gli aborti legali da
più di 100 000 a poche centinaia all’anno. Sono
nazioni in cui la fede e i valori cristiani hanno ancor oggi una
grande importanza nelle decisioni dei laici impegnati in
politica.
Una situazione culturale simile c’era in Italia nel 1948,
quando l’impegno massiccio dei cattolici salvò
l’Italia dal regime comunista e gettò le basi
politiche del grande sviluppo economico dei successivi
decenni.
Ma trent’ anni dopo, nel 1978, la situazione era già
molto cambiata. Una parte dei cattolici era diventata
“adulta”, erano nati i “cattolici
democratici” e i “cattolici per il socialismo”.
L’orientamento prevalente dei politici DC era per il
“compromesso storico” con i comunisti, nei cui accordi,
come più sopra ricordato, c’era anche la non
resistenza ad oltranza della DC ad una legge permissiva
sull’aborto. Nel campo politico la cultura cristiana era
stata sostituita dalla cultura del compromesso, beninteso “a
fin di bene”, “per evitare un male maggiore” per
“ridurre il danno” ecc…., ma in realtà
espressione di debolezza, di mediocrità culturale e di
opportunismo.
Così, anche in Italia, si è giunti
all’approvazione di una legge abortista, la legge 194/78,
salutata con entusiasmo dai giornali laicisti come vittoria delle
donne e conquista di civiltà.
Se si considera, nel suo complesso, il fenomeno storico delle leggi
abortiste nelle società democratiche contemporanee, si
rimane impressionati sia dal disprezzo della dignità umana,
e dalla violenza verso esseri umani innocenti che queste leggi
realizzano nella strutture sanitarie, sia dalla menzogna,
dall’ipocrisia, e dall’ arroganza culturale con cui
queste leggi sono sostenute sulla maggior parte dei mezzi di
comunicazione di massa, fino a causare nell’opinione pubblica
un’ eclissi della ragione e del naturale senso di
giustizia.
Insieme a una piccola minoranza di laici coraggiosi, i cattolici,
in Italia, sono rimasti quasi soli a difendere la verità e
la giustizia in questo campo.
Di qui la loro particolare responsabilità, quale “luce
del mondo e sale della terra”. Il maggiore pericolo sono i
compromessi con l’errore, reali od anche solo apparenti,
perché essi compromettono gravemente l’identità
dei cattolici e influenzano in senso negativo l’opinione
pubblica e le convinzioni degli stessi fedeli.
“Se il sale perde il sapore con che cosa gli si
renderà il sapore?. Non vale più nulla se non ad
essere gettato fuori e calpestato dagli uomini” (Mt. 5,
13)
Dr. Roberto Algranati