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Le derive proporzionaliste e la sindrome del “male minore”.

2012-11-21

Il dibattito sulla fecondazione artificiale.

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di Mario Palmaro[1]


Maurizio Mori ha avuto il merito di sollevare un caso esemplare. Ha
“sorpreso” il quotidiano cattolico Avvenire mentre elogiava il
congelamento di ovociti, congelamento esplicitamente funzionale
alla realizzazione della fecondazione artificiale
extracorporea.


Un infortunio isolato? Un equivoco? Un forzatura interpretativa da
parte di un filosofo del diritto? No. Si tratta piuttosto di uno
dei numerosi episodi che in questi anni si sono susseguiti,
all’interno del circuito informativo e formativo del mondo
cattolico italiano, nell’ambito del dibattito sulla
fecondazione artificiale.


Com’è noto, nel 2004 l’Italia si è dotata
di una legge, la numero 40, che ha regolamentato la materia della
riproduzione artificiale. Una legge di compromesso, caratterizzata
da una insanabile ambivalenza giuridica e culturale: da un lato,
infatti, la legge 40 aveva stabilito alcuni divieti, per altro di
dubbia effettività e non del tutto chiari sotto il profilo
formale, divieti che la collocavano almeno sotto il profilo
quantitativo tra le normative meno permissive in Europa.
Dall’altro lato, però, la legge 40 sanciva in modo
ufficiale e attraverso la veste autorevole del Parlamento, organo
legislativo per antonomasia, la giuridicità delle tecniche
di fecondazione artificiale, le inseriva all’interno di un
quadro normativo che riconosceva un valore pubblico meritevole di
tutela ai problemi di infertilità, e individuava
nell’uso delle tecniche extracorporee una legittima soluzione
a tale “desiderio di maternità”.


Va subito ricordato che i divieti contenuti nella legge 40 subivano
un primo tentativo di smantellamento nel 2005, con la promozione di
alcuni referendum abrogativi, che fallivano però in modo
piuttosto clamoroso il loro obiettivo, a causa della bassissima
affluenza alle urne, frutto di una motivata astensione promossa
dagli ambienti pro life. Ma i divieti contenuti nella legge 40
subivano comunque un significativo ridimensionamento a seguito
dell’intervento della Corte Costituzionale, che con la
sentenza n. 151 del 2009 aboliva la limitazione della produzione di
tre embrioni per ogni ciclo di fecondazione artificiale, ed
ampliava il ricorso (per altro già previsto dalla legge al
c. 3 dell’art. 14) alla crioconservazione di embrioni.


Com’è noto, la legge 40 è costantemente
sottoposta alle critiche serrate di quegli ambienti che sono
favorevoli alla fecondazione artificiale, e che considerano la
normativa italiana troppo restrittiva. Questo clima di
“battaglia” ha prodotto un effetto singolare: una parte
importante del mondo cattolico ufficiale ha assunto in Italia un
atteggiamento fortemente apologetico della legge 40, definendola
una “buona legge”, e promuovendo una costante campagna
di stampa tesa a dimostrare la efficacia e la funzionalità
della normativa. Con un risultato paradossale: e cioè che
gli organi della comunicazione di questa “area” hanno
via via eliminato ogni accenno agli aspetti negativi di carattere
etico e morale che sono proprio – e intrinsecamente –
della fecondazione artificiale omologa.


A riprova lampante di questa tendenza si consideri il fatto che
ormai da alcuni anni lo stesso quotidiano Avvenire “celebra” con toni
entusiastici i dati diffusi dal Ministero della Salute, dati che
confermerebbero un significativo ricorso alle tecniche di
fecondazione artificiale extracorporea in applicazione della legge
40, documentato dal fatto che il numero di bambini nati dalla
provetta in Italia sarebbe in crescita. Ora, a prescindere
dall’analisi nel merito di questi dati e di questa tesi,
è evidente che esiste una contraddizione insanabile fra
questo atteggiamento e una contrarietà di principio alla
Fivet. Infatti, delle due l’una: o si è convinti che
fare figli in provetta sia una conquista di civiltà, un
progresso della scienza e della morale, un fatto del tutto lecito e
anzi da incoraggiare; e allora è del tutto coerente che si
saluti come un evento positivo un trend di crescita del ricorso
alla provetta. Oppure, si è convinti che produrre esseri
umani attraverso le tecniche artificiali sia un atto moralmente
illecito (lasciamo qui da parte la questione della illiceità
giuridica, per semplificare il concetto); e allora non si
può certo esultare se i “figli della provetta”
aumentano.


I cattolici di Avvenire (e con loro molti altri) si sono infilati
in una strettoia davvero poco invidiabile, che li obbliga da una
parte a difendere a spada tratta la legge 40, a mettere in luce le
magnifiche sorti e progressive della Fivet omologa, a esaltare chi
opera il congelamento di ovociti; e, dall’altra, li vincola
ogni tanto, come ad esempio quando ricevono una lettera da Mori, a
ribadire che comunque conoscono la dottrina cattolica e che non
l’hanno mai tradita o taciuta.


Nel dibattito pubblico italiano si è in altri termini
consolidata una nuova, imprevista “polarità”: da
una parte, i fautori della fecondazione artificiale libera e senza
limitazioni, che vorrebbero eliminare i divieti contenuti nella
legge 40; dall’altro lato, i difensori della fecondazione
artificiale praticata nelle forme e nei limiti stabiliti dal
legislatore nel 2004. Questa polarizzazione anomala ha portata una
fetta prevalente della pubblicistica cattolica a contrapporre la
fivet omologa – giudicata sostanzialmente buona, lecita e
accettabile – alla fivet eterologa, ritenuta al contrario
illecita sia sotto il profilo etico che giuridico.


Questo conflitto dialettico ha comportato l’espulsione dal
dibattito di quei pensatori che invece contestano in radice la
legalizzazione della fecondazione artificiale, motivandola
innanzitutto con la imponente quantità di embrioni che viene
sacrificata allo scopo di ottenere il c.d. bambino in
braccio[2]. Paradossalmente, chi sostiene la legalizzazione
della fivet omologa e il divieto della fivet eterologa mette
l’accento sulle conseguenze morali e civilistiche
post-nascita, enfatizzando i problemi (che certo esistono) in
merito alla relazione genitori-figli prodotti con gameti esterni
alla coppia.


Viceversa, chi contesta la legalizzazione della fivet in blocco
(omologa ed eterologa) mette al centro la questione del diritto
alla vita del concepito, argomentando che nessuna fecondazione
artificiale extracorporea rispetta tale diritto. Vi è
infatti una “uccisività
intrinseca alle tecniche, che non può essere considerata
involontaria e non colpevole, dato che il trasferimento plurimo di
embrioni nel corpo della donna ha proprio l’obiettivo che
soltanto uno sopravviva fino alla nascita, con evidente riduzione a
oggetto dell’embrione. Kantianamente, diremmo che nella Fivet
ogni embrione è usato come mezzo per raggiungere un fine
diverso dall’embrione stesso. Consapevolmente, infatti, il
tecnico di laboratorio produce e trasferisce una pluralità
di embrioni per ottenere un risultato che non è la nascita
di tutti gli embrioni prodotti, ma la nascita di uno solo fra essi,
ben sapendo dunque che è altamente probabile e perfino
auspicabile la morte degli embrioni stessi, tranne uno.[3] Questo atteggiamento non
è poi così sorprendente, se si pensa che lo scopo che
anima un centro per la fecondazione artificiale non è
già la “tutela
del diritto alla vita dell’embrione
”, ma la
soddisfazione del cliente che chiede un “bambino in braccio”.
Lacustomer
satisfaction
 impone in questo caso di
tentare di dare alla coppia un figlio piuttosto che certificare di
aver agito nell’assoluto rispetto di ogni embrione.


Le cifre diffuse dal Ministero della salute confermano, del resto,
il numero esorbitante di embrione trasferiti in un anno, a fronte
del modesto contingente di bambini che giungono alla nascita: nel
2009 sono stati prodotti 121.866 embrioni d’uomo; i nati vivi
sono 8452. C’è un saldo negativo di 113.414 embrioni
umani. Un prezzo altissimo pagato sull’altare della
fecondazione artificiale, sebbene rigorosamente omologa. Riesce
difficile capire come, di fronte a questi numeri, Scienza e Vita
possa scrivere che la legge 40 “assicura ad ogni figlio le garanzie di
una vita umana e la protezione di una vera
famiglia
”.[4]


Ricapitolando: se ogni essere umano ha diritto alla vita fin dal
concepimento, il giudizio negativo sulla fecondazione artificiale
extracorporea riguarda tanto le pratiche omologhe che le pratiche
eterologhe. Infatti, i rischi cui viene esposto il nascituro in
relazione alla sua sopravvivenza sono statisticamente identici sia
che egli sia prodotto con gameti della coppia richiedente, sia che
egli sia prodotto con gameti esterni alla coppia. Va da sé
che non intendo disconoscere gli elementi negativi che rendono
più grave sul piano morale il ricorso alla Fivet
eterologa[5]. Ma dovrebbe essere chiaro che l’elevata
abortività della fecondazione artificiale extracorporea
è fenomeno trasversale alla pratica omologa ed eterologa: se
lo si considera negativamente, il giudizio negativo deve colpire
entrambe le modalità di Fivet.


Ora, i difensori della legge 40 sostengono che essa rappresenta il
miglior compromesso possibile in materia di Fecondazione
artificiale. Dunque, chi considera la 40 una legge
gravemente
ingiusta
” (nel senso che questa espressione ha nel
linguaggio della filosofia del diritto classica di ispirazione
tomistica) peccherebbe di mancanza di realismo e disconoscerebbe il
valore positivo di questa norma, che comunque impedisce o limita il
campo d’azione di chi fa fecondazione artificiale. Provo a
rispondere a questa critica, mettendo in fila, in modo sintetico e
non del tutto organico, una serie di osservazioni.

  1. Un
    primo nodo riguarda la genesi di questa legge. Infatti, con
    un’operazione indubbiamente controversa sotto il profilo
    morale, gli ideatori di questa iniziativa legislativa furono un
    gruppo importante di studiosi e di politici cattolici, che in nome
    del “male
    minore
    ” redassero innanzitutto un Manifesto Appello, cui
    fece da coerente conseguenza la predisposizione di un testo
    legislativo basato su alcuni “paletti”, secondo una
    formula divenuta molto cara al mondo cattolico stesso. La legge 40
    rappresenterebbe “il
    male minore
    ” e garantirebbe una serie di paletti,
    meritevoli tutti di essere difesi dal tentativo di scardinamento.
    Concordo sulla opportunità di impegnarsi per
    limitare i
    danni
    ” e per conservare quelle porzioni di legge che
    limitano il ricorso alla Fivet. Ma questa linea d’azione non
    può giustificare l’apologia della fecondazione
    artificiale omologa, del congelamento di ovociti, e di ogni altro
    aspetto consentito dalla legge 40. Purtroppo, questo è il
    problema: un mondo cattolico appiattito sulla difesa della legge
    vigente in Italia, e sostanzialmente afono quando si tratti di
    prendere posizione contro ogni forma di fecondazione artificiale
    extracorporea.
  2. La
    legge 40 del 2004 prevede, all’articolo 16, il diritto
    all’obiezione di coscienza. Per analogia con quanto avvenuto
    all’indomani dell’approvazione della legge 194 del
    1978, si sarebbe dovuta registrare una presa di posizione pubblica
    dell’episcopato che invitasse i fedeli coinvolti a esercitare
    tale diritto. Questo non è avvenuto, a l’obiezione di
    coscienza alla Fivet è rimasto sostanzialmente lettera
    morta.

  3. Avvenire e gli ambienti ad esso
    allineati scrivono e dicono spesso che “la 40 non è una legge
    cattolica
    ”. Ora, questa affermazione è, in senso
    lato, indicativa del fatto che le norme approvate dallo Stato
    italiano si discostano dal Magistero della Chiesa  in materia.
    Ma in senso stretto, tale affermazione è del tutto priva di
    significato in una sana prospettiva filosofico giuridica. Infatti,
    non consta – anche da un’attenta lettura dei testi del
    Magistero recente e passato – che il compito dello stato
    consista nel fare “leggi cattoliche”, dal
    momento che lo stesso Tommaso insegnava in modo molto netto che non
    deve esservi una totale sovrapposizione fra norma morale e norma
    giuridica. Le leggi positive devono casomai essere giuste,
    cioè conformi al diritto naturale. Ovviamente, sappiamo bene
    che il positivismo giuridico ha attaccato in modo radicale questa
    costruzione logica. Non è questa la sede per
    incrociare le
    lame
    ” con tali dottrine; qui si vuole solo far notare
    che la legge 40, come ogni altra legge, secondo il Magistero della
    Chiesa deve essere vagliata in relazione alla sua giustizia,
    cioè alla conformità al bene comune e alla legge
    naturale. Dire che essa “non è una legge
    cattolica
    ” non ha alcun senso, non ci dice nulla di
    significativo. E quali sarebbero, verrebbe da dire,
    le leggi
    cattoliche
    ”? E quelle “non cattoliche”? E’
    davvero incredibile che, in un contesto in cui da decenni si fa a
    tratti rovente la discussione intorno alla laicità dello
    stato, si possa pensare di affrontare un tema come quello della
    fecondazione artificiale invocando come parametro la
    “cattolicità” della legge. Invece che chiedersi
    se quella norma tuteli davvero i diritti di tutti i soggetti
    coinvolti, compreso il diritto alla vita del concepito.
  4. Il
    giudizio politico intorno a una legge non dovrebbe mai trascinare
    verso il
    basso
    ” il giudizio teoretico e filosofico giuridico di
    quella stessa legge. Può darsi che il Parlamento abbia fatto
    del suo meglio varando la legge 40; ma ciò non esime
    ciascuno di noi dal formulare un giudizio secondo retta coscienza
    che valuti la norma per quello che è. Altrimenti si entra in
    un tunnel dialettico nel quale, paradossalmente, il relativismo
    tanto criticato extra moeniadiventa un metodo di
    ragionamento da adottare per difendere il male minore. Male minore
    che, com’è noto, non può mai essere promosso e
    scelto deliberatamente, ma esclusivamente subito in mancanza di
    un’alternativa di bene. Il male, foss’anche
    minore”,
    non può mai essere scelto.

  5. Questo modo di agire e di pensare tradisce una (anche
    inconsapevole) deriva proporzionalista. Si tende cioè a
    sostituire la categoria del buono e del cattivo con i nuovi
    paradigmi del “migliore” del
    peggiore”,
    in un orizzonte nel quale evapora per sempre la speranza di poter
    definire azioni intrinsecamente malvagie e sempre inaccettabili sul
    piano etico, per accontentarsi di scegliere di volta in volta
    l’azione che promette di produrre contemporaneamente il
    maggior bene possibile e il minor bene possibile. Un paradigma che
    non può che piacere a ogni forma di utilitarismo e di
    relativismo, ma che nulla ha a che spartire con l’etica
    classica aristotelico-tomista.[6]

  6. Questa “strategia del
    compromesso
    ” risulta anche perdente sotto il profilo
    tattico e strategico. Chi infatti preme per rendere sempre
    più libera la provetta non può che giovarsi di questo
    progressivo slittamento in senso permissivo delle posizioni
    cattoliche, che comportano al più un rallentamento, ma non
    certo un’opposizione al processo rivoluzionario in
    bioetica.[7] Risulta infatti del tutto
    evidente che questa strategia tende a “digerire” ogni cambiamento
    già codificato dal diritto (ad esempio il divorzio,
    l’aborto chirurgico, la fivet omologa) e a contrastare
    soltanto le condotte che non siano ancora legalizzate (come ad
    esempio la fivet eterologa o l’eutanasia), in un processo che
    appare agli avversari debole in sé stesso e in ogni caso
    provvisorio e negoziante. Insomma: si combatte il relativismo
    facendo i relativisti. Il contrappasso dantesco di questo maldestro
    cinismo si materializza quando le “certezze” agganciate
    alla c.d. “legge
    imperfetta
    ” di turno vengono sbriciolate
    dall’intervento demolitivo degli organi giurisdizionali.
    C’è infatti da chiedersi che cosa direbbero gli
    apologeti della legge 40, all’indomani di una decisione della
    Corte costituzionale che dovesse spazzare via il divieto di Fivet
    eterologa.

  7. Spesso per giustificare la legge 40 si fa appello a quanto
    stabilito da Giovanni Paolo II al numero 73 della Evangelium Vitae. Snodo cruciale
    nel quale la Chiesa affronta il problema morale del parlamentare
    che si trovi di fronte a una legge gravemente ingiusta messa in
    votazione, ma tale da migliorare una legge peggiore già in
    vigore. Ad esempio: si mette ai voti una legge che restringe la
    finestra
    del periodo di gestazione in cui è permesso l’aborto
    volontario. Non sfuggirà a nessuno che, fra le condizioni
    indicate da Giovanni Paolo II per rendere moralmente accettabile un
    simile voto, spicca quella che impone al parlamentare di rendere
    noto a tutti la sua opposizione ferma e senza eccezioni alla legge
    iniqua, in modo che sia per chiunque chiaro che il voto non esprime
    l’assenso al male, ma l’appoggio a quello spicchio di
    bene che una porzione della nuova norma promette di realizzare. Ho
    molti dubbi circa il fatto che questa condizione sia stata
    soddisfatta nell’operazione-legge 40. Ma la questione
    è, in un certo senso, ormai di pertinenza degli storici. Qui
    e ora c’è da chiedersi se anche dopo l’approvazione della
    legge sia proseguita quella forma di opposizione culturale pubblica
    a ogni forma di Fivet, e anche a quella legalizzata. Non paiono in
    linea con questa esigenza le ambiguità, i tentennamenti, i
    silenzi, le censure e addirittura gli slanci apologetici che una
    parte importante della stampa cattolica offre all’attuazione
    della Fivet nella sua forma omologa.
  8. Non
    è estraneo a questo quadro anche il diffondersi di prassi
    eterodosse in ospedali cattolici o di ispirazione cattolica. Per
    anni ha destato scalpore il caso del San Raffaele di Milano, nel
    quale dal 1996 si pratica la Fivet omologa con protocolli del tutto
    simili a quelli poi divenuti legge dello Stato italiano. Fu lo
    stesso Comitato etico di quell’ospedale a produrre un parere
    in base al quale la Fivet omologa, compiuta con le modalità
    definite dai medici del San Raffaele, sarebbe stata pienamente
    coerente con la dottrina della Chiesa cattolica sulla procreazione
    umana. Tesi smentita seccamente in un parere riservato emesso della
    Congregazione per la dottrina della fede.


In conclusione, qualcuno potrebbe chiedersi: ma a noi bioeticisti
cosiddetti laici, a noi non cattolici, questo “conflitto” che cosa
interessa? Io credo interessi molto. Sono infatti convinto che
l’aver obliterato dal dibattito la posizione di chi contrasta
ogni forma di produzione della vita umana fuori dal corpo della
donna rappresenti un ostacolo al dibattito e un impoverimento della
discussione. Questa situazione rende infatti meno chiara la tesi di
uno degli attori della discussione, che sembra inseguire
affannosamente una posizione di mediazione in grado di allargare il
consenso e di indebolire le opposizioni. Una strategia del tutto
legittima (anche se eticamente discutibile) in un’aula
parlamentare. Ma inaccettabile in un confronto fra studiosi e fra
persone della società civile. Quando discuto di bioetica e
di filosofia del diritto, anche con la persona più lontana,
vorrei portarle il meglio di me, vorrei mettere nelle sue mani la
vera soluzione a un problema, non il prodotto posticcio di una
mediazione politica. Anche se non può pretendere di essere
accolta, la verità esige di essere presentata in modo
integrale e razionalmente argomentato. Se tradisco questo mandato,
inganno il mio interlocutore. Non dialogo con lui, non lo rispetto
come uomo.




[1] Docente di Filosofia del
diritto, di Etica e Bioetica e di Filosofia Teoretica
nell’Università Europea di Roma. Ricercatore
confermato in Filosofia del diritto. Docente presso la
Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum in Roma. Membro di Comitati etici per la
sperimentazione del farmaco.


[2] Per una serrata critica alla
legalizzazione della fecondazione artificiale, anche nella sua
forma omologa, si vedano: G. ROCCHI, Il legislatore distratto, La legge
sulla fecondazione artificiale: la norma smentisce i principi
,
ESD, Bologna 2006; G.M. CARBONE, La fecondazione extracorporea,
ESD, Bologna 2005. Tra i miei scritti sull’argomento,
segnalo:  La
fecondazione extracorporea tra diritto naturale e diritto
positivo.
 In:
AA.VV. Fecondazione extracorporea: pro o contro l’uomo?,
Milano, Gribaudi 2001; La dignità dell’embrione
umano
, in Quaderni di San Raffaele, 2011, n.
6, pp. 20-29; Le cellule staminali. Un simbolo della
post modernità in crisi
, inQuaderni di San Raffaele, 2009, n.
2, pp. 52-59; La procreazione artificiale, Studi
cattolici, 1998, n. 451; Ogni legalizzazione della Fivet
è ingiusta
, Studi cattolici, 2005, n. 530; Fivet &
altro. I cattolici & la legge, Studi cattolici, 2003, n.
511.


[3] Si
veda in proposito quanto affermato dalla Istruzione della
Congregazione per la dottrina della fede Dignitas Personae, pubblicato nel
2008: “(…) il numero di embrioni sacrificati è
altissimo. Queste perdite sono accettate dagli specialisti delle
tecniche di fecondazione in vitro come prezzo da pagare per
ottenere risultati positivi. (…) E’ vero che non tutte
le perdite di embrioni nell’ambito  della procreazione
in vitro hanno lo stesso rapporto con la volontò dei
soggetti interessati. Ma è anche vero che in molti casi
l’abbandono, la distruzione o le perdite di embrioni sono
previsti e voluti”.


[4] Manifesto del Comitato Scienza
e Vita, marzo 2005.


[5] M.
PALMARO, Fecondazione artificiale eterologa. Le
ragioni etico giuridiche di un divieto
, 2012.


[6] Si
veda in proposito JOHN FINNIS, Gli assoluti morali, Edizioni
Ares, Milano 1993.


[7] Uso in questo caso il concetto
di rivoluzione nel suo senso teoretico e morale, cioè come
processo di continuo scardinamento delle verità morali, come
costante cambiamento dell’esistente a favore del nuovo per il
nuovo, dentro il mito fondativo secondo il quale ciò che
viene dopo è sempre migliore di ciò che vi era prima.
Si veda, per una più approfondita analisi: G. SAMEK
LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, Ares,
Milano 1980.






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