
I “nuovi pro-life” – Uno spettro abortista si aggira per il mondo cattolico.
Comunicato Stampa N. 31
Le tesi abortiste sostenute nelle scorse settimane da autorevoli personalità del mondo cattolico e pro-life, e le successive prese di posizione del Comitato Verità e Vita, hanno messo in risalto alcuni dati di fatto, che vogliamo sottolineare e porre al centro dell’attenzione.
1. Un errore diffuso. Come da tempo andiamo dicendo, abbiamo avuto in questi giorni la conferma che purtroppo la situazione è più grave di quanto si potesse immaginare. Non si è trattato di sortite individuali, di “infortuni” momentanei, di argomentazioni espresse male e interpretate peggio. I due casi stigmatizzati da Verità e Vita – entrambi ospitati dal settimanale Tempi – esprimono con efficacia una mutazione dell’anima più profonda del fronte “per la vita” che è in Italia.
2. Una nuova “cultura pro-life”. Una mutazione che si può riassumere in questi termini: tutto ciò che è ormai legge dello Stato, e che si alimenta su una cultura e un consenso diffusi nella società, deve essere accettato così com’è. Anzi: bisogna evitare di denunciare la sua ingiustizia per ragioni “strategiche”. Di più: bisogna cambiare il nostro sguardo, modificare il giudizio originario, e vedere in ciò che un tempo chiamavamo iniquo addirittura i segni del buono e del giusto.
a. Questa è una posizione ideologica, che non ha nulla a che vedere con il senso stesso di una presenza pro-life, e meno che meno con una presenza cattolica nella realtà. Tale nuova posizione, però, è oggi la più forte e la più visibile; è bene accolta anche in ambito cattolico – ad esempio sugli organi di informazione ufficiali cattolici – perché mette insieme questa sorta di “indulto etico” per ciò che ormai è legge dello Stato (divorzio, contraccezione, aborto chirurgico, fecondazione artificiale omologa) a una notevole combattività contro ciò che ancora non è diventato legge e prassi civile: aborto chimico, testamento biologico, eutanasia, sperimentazione sugli embrioni, fecondazione artificiale eterologa, legalizzazione delle coppie di fatto.
b. Questa nuova linea – impropriamente detta “pro-life” e che noi ribattezziamo d’ora in avanti “neo-pro-life” – si contraddistingue per un benemerito iperattivismo nelle battaglie che riguardano l’embrione, o nelle mobilitazioni contro i tentativi di uccidere nella culla i neonati handicappati.
c. Questa nuova dottrina ha anche il “vantaggio” di consentire di imbarcare nell’equipaggio quegli intellettuali che sono e rimangono abortisti, o divorzisti, ma che hanno l’indubbio merito di vivere un certo travaglio personale. E che volentieri si alleano per combattere contro le nuove minacce non ancora legalizzate. Intellettuali che dicono: l’aborto legale ci vuole, non si può metterlo in discussione; ma l’aborto con la RU486 mi ripugna, non lo voglio. A questi intellettuali il mondo cattolico ufficiale sta in alcuni casi offrendo posizioni di rilievo, ruoli di editorialisti stabili, compiti di speaker in manifestazioni pubbliche. Risultato: molti nel mondo cattolico non sono più nemmeno in grado – pur in perfetta buona fede – di riconoscere in che cosa consista un pensiero di stampo abortista.
3. La messa al bando dei “vecchi pro-life”. Questa “nuova cultura pro-life” – oggi predominante – guarda con fastidio a coloro che, invece, siano ancora convinti della necessità di proclamare la verità tutta intera su ciò che appartiene ormai al “paesaggio” della nostra civiltà: la legalizzazione del divorzio, dell’aborto, la legittimazione della contraccezione come stile e mentalità di vita. Ecco perchè Verità e Vita è finita nel tritacarne di questa poderosa macchina “neo-pro-life”, ed ecco perché chiunque condivide questa analisi finisce marginalizzato, escluso dal circuito dell’informazione ufficiale “neo-pro-life”.
4. La “laicità” del diritto alla vita. Verità e Vita è un’associazione aconfessionale, che rifiuta ogni tentativo di ridurre il tema della difesa della vita a una questione di fede religiosa, a un problema (solo) cattolico. E’ un presupposto identitario fortissimo e irrinunciabile, che dovrebbe servire anche a evitare la pericolosa “clericalizzazione” del dibattito sull’aborto. L’azione pro-life è certo coerente con ciò che il Magistero della Chiesa afferma da sempre su questi argomenti. Ma l’azione pro-life non può essere ridotta alla mera attuazione di (presunte) direttive che provengano da singoli esponenti della gerarchia cattolica.
5. Di più: dire la verità sulla 194 può essere considerato un pericoloso atto contro la possibilità di ottenere qualche cosa. Perché ormai la logica è che si possa rosicchiare qualcosa alla cultura della morte evitando di dire la verità.
6. In sintesi potremmo riassumere così la posizione di questa nuova “cultura della vita” (ma le virgolette sono d’obbligo): quello che è accaduto nel passato, accettiamolo e proviamo a leggerlo in chiave positiva; quello che deve ancora accadere, combattiamolo. Noi crediamo corretta l’affermazione di Monsignor Fisichella: “Le leggi creano cultura e comportamenti conseguenziali. Chi ha responsabilità politiche e legislative deve avere questa consapevolezza” (Avvenire 11/2/07 pag. 9).
7. Qual è il problema? Il problema è che questa dottrina si adatta come un guanto alla strategia rivoluzionaria tipica della cultura della morte: che consiste nel modificare continuamente “la linea del Piave morale”, obbligando chi prova a resistere a spostare continuamente la propria linea difensiva. Un tempo vi fu la battaglia contro il divorzio, e la combattemmo, avendo ben presente che o il matrimonio è indissolubile o non è. Per un po’ di tempo l’iniquità di quella legge è stata denunciata. Ma poi, il tempo ha attutito, e poi zittito ogni critica. Sono passati più di 40 anni, e oggi di questa verità non si parla più. Chissà: oggi forse qualcuno ci dirà che la legge Fortuna “è una buona legge, la migliore del mondo nel suo genere”. Poi è arrivata la legge sull’aborto: si fece la battaglia. In quel tempo era chiaro a tutto il fronte pro-life che quella era una legge mostruosa, frutto del femminismo becero di quegli anni, che per altro rivive anche in alcune affermazioni attuali dei “nuovi pro-life”. Una legge fondata sul principio di autodeterminazione della donna come legittimazione alla uccisione di un innocente. Per un po’ di tempo queste cose furono dette. Poi si è cominciato a tacere. Passarono gli anni, e anche quella posizione si è annacquata. Poi – nel linguaggio istituzionale del più importante movimento pro-life italiano – hanno fatto capolino “le parti buone della legge”. Che è come se un’associazione contro la pena di morte cominciasse a dire: “Beh, nella legge che regolamenta la pena di morte in California ci sono della parti positive da applicare: il giusto processo; la rapidità dell’iniezione letale; il diritto del detenuto a confessarsi prima di morire…”
8. Fra vent’anni difenderemo la legge sull’eutanasia? Il problema è anche questo: mettiamo caso che – nonostante la buona battaglia dei neo-prolife (e nostra) – nel 2010 venga legalizzata in Italia l’eutanasia. Passano gli anni, e nella mentalità comune si diffonde la convinzione che uccidere gli ammalati in certi casi è cosa buona e giusta. Inoltre, la legge sull’eutanasia – mettiamo che sia la legge 48 del 2010 – conterrà pure delle parti buone, tipo consentire ai Neo-CAV (Centri di Aiuto al Vecchietto) di provare a dissuadere qualcuno dal farsi ammazzare. Bene: a quel punto, mutatis mutandis, che cosa avverrà nel 2040? E’ molto probabile che qualcuno fra i neo-prolife dica: “salviamo la legge 48 dagli eutanasisti”. Che cosa impedisce di prevedere un simile epilogo grottesco, visto il metodo che si sta applicando in questi giorni alla 194?
9. Insomma, per farla breve: il risultato è che oggi Verità e Vita si è ritrovata nella sua casella di posta elettronica molte mail di brava gente, cattolici seri e impegnati, che si affannano a spiegarci che la legge 194 “è una buona legge”. Abbiamo letto cose turche: testi che citano la sentenza della Corte costituzionale del 1975 a favore della vita. Ignorando (forse?) che l’aborto è legale in Italia proprio a partire da quella sciagurata sentenza. Per tacere dei messaggi che recitavano testualmente: “Non ho letto che cosa abbia scritto Assuntina Morresi, ma conoscendola, certamente avete torto voi”. (Sic)
10. Il silenzio per gli innocenti. Qui si segnala un ulteriore gravissimo sintomo del male presente: lo stato confusionale di intere fette del nostro fronte. Perciò suona terribile l’assordante silenzio delle associazioni – ben più forti, autorevoli e diffuse di noi – che dovrebbero aiutare a fare chiarezza. Parliamo sia di movimenti ecclesiali che in questa storia erano in via indiretta “parte in causa”, sia di realtà come Scienza e Vita, il cui imbarazzato silenzio pesa come un macigno.
11. La posizione del Movimento per la Vita. Una citazione a parte merita la posizione del Movimento per la Vita Italiano, riassunta dal Presidente Carlo Casini in un sofferto articolo apparso su Avvenire del 6 dicembre scorso. Da un lato, Casini – che ha dedicato e continua a dedicare tutta la sua vita a questa buona battaglia – riconosce la necessità di porre sul tavolo la “riformabilità” della legge 194. Quindi, in questo senso “rompe” con quei “neo-pro-life” che dicono: la legge 194 non va toccata. Casini li definisce “Minimalisti”. Ma – nello stesso tempo – il Presidente dei pro-life italiani prende le distanze anche da coloro che “chiedono di agire per «cancellare» o «capovolgere» la legge senza prendere in considerazione le grandi oggettive difficoltà che si frappongono tra la giusta aspirazione e l’obiettivo da raggiungere”. Tesi “massimale” che – secondo Casini – “impedisce, così sembra, correzioni di rotta, magari modeste, ma possibili”. Che tradotto significa: se dici che la 194 è una legge ingiusta, stai impedendo che venga modificata in meglio.
12. Se l’uomo di Neanderthal era un pro-life. Ora, si noterà nel giudizio espresso da Carlo Casini la tendenza a una raffigurazione davvero caricaturale di quelli che – come Verità e Vita – dicono ogni giorno che la legge 194 è intrinsecamente ingiusta. Quasi si trattasse di trogloditi armati di clava, capaci solo di ripetere come un mantra “abbasso la legge 194”. E del tutto avulsi dalla realtà in cui vivono. Così non è: noi abbiamo sempre sostenuto, e sempre lo sosterremo, che si possono e si debbono fare entrambe le cose: denunciare con forza e verità che la 194 non è una legge ma una “corruzione della legge” (nel senso tomistico dell’affermazione); e tentare le vie possibili di reformatio della legge in senso migliorativo. Ma non è pensabile di arrivare alla seconda fase, se qualcuno non si prende la briga nel nostro Paese di proclamare incessantemente l’iniquità della legge 194. Se diciamo infatti che “è buona”; o che “va solo applicata bene”, chi mai potrà pensare di cambiarla, anche un pochino?
13. Apprezziamo però come un segnale importante ciò che Carlo Casini afferma più oltre nel suo articolo: e cioè che le posizioni “minimali” (la legge 194 non va toccata, è buona eccetera) comportano “il rischio che anche le coscienze più sensibili al valore della vita finiscano per ritenere sostanzialmente «giusta» la legge e adeguino il loro modo di pensare all’essenza della norma che, in definitiva, legittima l’uccisione dei figli.” Questo è proprio ciò che sta accadendo nel nostro “accampamento”. E farà bene a tutti noi – e anche al Movimento per la vita – fare un bell’esame di coscienza per capire se parole e gesti degli ultimi anni non abbiano involontariamente alimentato questo tragico risultato.
14. I parlamentari e i pro-life: probabilmente qualcuno si sta dimenticando una sostanziale differenza tra un parlamentare – che deve puntare al miglior possibile – ed un pro-life – che non può mai rinunciare a difendere tutta la verità sulla vita e denunciare ogni abominio, anche se tale comportamento non porta ad un risultato immediato.
15. Alla fine – ma noi lo sapevamo dal principio che sarebbe andata a finire così – merita essere segnalata una curiosa sindrome che attanaglia il mondo cattolico. La sindrome in base alla quale un errore pubblico va corretto (in certi casi) in sede privata. Il risultato di questa sindrome è che, in tutta questa storia, per alcuni il problema vero è uno solo: Verità e Vita. Siamo noi i colpevoli. Noi che abbiamo richiamato una verità più grande, quella che ci è stata insegnata dai padri nobili della cultura per la vita e per la famiglia di questo Paese. La verità che ci è stata testimoniata da personalità del calibro di Gabrio Lombardi, di Emanuele Samek Lodovici, di Francesco Migliori. A noi basta questo: essere certi che loro non avrebbero mai scritto un articolo in cui si fa l’apologia della 194. E non avrebbero mai scritto lettere di sostegno a chi scrive un articolo simile. E non avrebbero mai taciuto per paura che “sennò i cattolici litigano fra di loro”. Noi, piccoli nani sulle spalle di questi giganti, godiamo di un bellissimo panorama. Hic manebimus optime.
Per il Comitato Verità e Vita
Il Presidente
Mario Palmaro