
Salvate i bambini dalla 194
(se cinque milioni vi sembrano pochi …)
Una “buona legge”? Una “delle migliori leggi
sull’aborto nel mondo”? Ma di quale legge parlava
Assuntina Morresi nell’articolo “Salvate la 194 dagli
abortisti” del 29 novembre scorso?
Sconvolge il miliardo di aborti nel mondo negli ultimi anni; e i
cinque milioni di bambini uccisi – fatti a pezzi, avvelenati,
colpiti al cuore con una puntura velenosa – negli ultimi 30
anni in base alla legge 194, ben 356 ogni giorno, quelli abortiti
prematuramente con la “pillola del giorno dopo” (quasi
1.000 confezioni vendute ogni giorno!), quelli uccisi
clandestinamente (come previsto, l’aborto clandestino esiste
ancora: i procedimenti penali sono quadruplicati dal 1980 al
2006)?
La legge non doveva “cancellare l’aborto dalla
realtà sociale”, come prometteva il Ministro della
Sanità nel 1980?
Vediamo, allora, cosa davvero permette la legge 194, senza fermarci
alle promesse non mantenute e ai principi non applicati.
“L’aborto non è un diritto, per la 194”:
infatti “non si parla mai di autodeterminazione della
donna”; l’aborto sarebbe visto “come un fatto
negativo, verso il quale assumere un atteggiamento dissuasivo e,
comunque, da tenere sotto stretto controllo”.
Ma nei primi novanta giorni di gravidanza la donna incinta
può rivolgersi al medico di fiducia, a una struttura
socio-sanitaria o a un consultorio e “accusare” motivi
che la inducono all’aborto; dopo il colloquio, a prescindere
dall’esistenza o meno dei motivi che ha riferito, le viene
rilasciato un certificato che attesta la richiesta e il colloquio.
Dopo sette giorni, con questo certificato, la donna può
recarsi ad abortire gratuitamente. Nient’altro.
Non è forse un diritto, questo? Qualcuno può impedire
alla donna di abortire, per qualunque motivo? Le Relazioni
Ministeriali non riferiscono i motivi per cui le donne hanno
abortito: i motivi sono irrilevanti!
Non si parla di autodeterminazione della donna? Un legislatore
ipocrita la realizza, non ne parla.
Allo stesso modo, mentre proclama che l’aborto “non
è mezzo per il controllo delle nascite”, permette che
si utilizzi come contraccettivo: nel 2005 il 25% delle donne che ha
abortito l’aveva già fatto in precedenza, l’8%
(quasi una donna su dieci) più di tre volte.
“La legge 194 non è eugenetica, non permette la
soppressione del feto in quanto malformato, ma solo se questo
provoca gravi problemi alla madre”.
L’articolo 6, sull’aborto dopo i 90 giorni, indica
esplicitamente le “anomalie o malformazioni del
nascituro”, come potenziale pericolo per la “salute
psichica” della donna, vale a dire – come
l’Organizzazione Mondiale della Sanità insegna –
per il suo “completo benessere psico-fisico”: e
così, quando l’esistenza o il timore di malattie del
bambino turbano l’equilibrio psicofisico della madre, si
può ricorrere all’aborto.
Il Ministro della Salute riferisce così che tutti –
tutti – gli aborti dopo i novanta giorni derivano da
“risultati sfavorevoli delle analisi prenatali”; aborti
enormemente aumentati nel corso degli anni (erano lo 0,7% del
totale nel 1983, sono ora il 2,7%, quattro volte tanto), di pari
passo con lo sviluppo delle diagnosi prenatali, ormai diventate una
sempre più raffinata caccia al bambino imperfetto.
La legge 194 non solo permette: istiga all’aborto
eugenetico.
La legge “non permette che i privati facciano
dell’aborto un mezzo di profitto”? L’articolo 8
prevede la possibilità di eseguire gli aborti volontari
presso case di cura private autorizzate e ciò avviene nel 9%
dei casi (circa un aborto ogni dieci, quasi 12.000 l’anno):
lo fanno per beneficenza?
E i padri: quelli indifferenti, che dicono: “decidi tu. E se
ne fregano, neanche accompagnano in ospedale, e poi ti sbattono in
faccia la scusa della tua libertà”: non è la
legge a lasciare sola la donna, stabilendo che il padre è
opzionale e comunque irrilevante?
Allora: la legge “tutela la vita umana fin dal suo
inizio”? Assolutamente no, è un’ipocrisia,
“utile” solo ad ingannare sulla volontà di
difendere la vita dei bambini e delle bambine non ancora nati, non
certo “sana” se dimostra che una legge dello Stato
può iniziare con una menzogna.
“La legge 194 è il frutto di un compromesso, come
avviene spesso in politica”: il compromesso sarebbe
permettere sempre l’aborto (anche alle minorenni
all’insaputa dei genitori) fino al quinto – sesto mese?
Far sì che sia possibile usare l’aborto come mezzo di
controllo delle nascite?
“C’è una parte consistente sulla prevenzione,
tutta da applicare”: dopo 30 anni si crede ancora che
esistono “parti buone” della legge 194?
La legge non permette affatto di prevenire l’aborto
volontario: in primo luogo lo riconosce come diritto e non lo
punisce e così rinuncia allo strumento più forte di
prevenzione: perché mai le donne dovrebbero rinunciare ad
esercitare un loro diritto?
Quanto ai consultori pubblici, la legge li vuole inefficaci nella
prevenzione: la donna non è obbligata ad utilizzarli (lo fa
solo nel 35% dei casi) e, comunque, il rapporto che si instaura
è viziato fin dall’origine, perché, al termine
del colloquio, il consultorio deve rilasciare il certificato che
permetterà l’aborto.
Del resto la “prevenzione” che il legislatore riesce ad
immaginare è una sola: contraccettivi per tutti, soprattutto
per le minorenni! I risultati? Un esempio: la Liguria, regione
“avanzata”, con un numero di consultori superiore al
dato nazionale, già nel 1982 menzionata per l’ampia
diffusione dei contraccettivi, ha un rapporto e un tasso di
abortività nettamente superiori al dato nazionale, quasi
doppio quanto alle minorenni.
E il volontariato? La legge (articolo 2) è ben attenta a
prevedere come facoltative – e non obbligatorie – le
convenzioni da parte dei consultori e delle A.S.L. e a subordinarle
addirittura ad un giudizio di idoneità: e così
è possibile che un ente pubblico possa legittimamente
rifiutare convenzioni anche gratuite con i Centri di Aiuto alla
Vita sul sospetto di un’opera eccessiva di dissuasione
dall’aborto …
Come mai i “pro-choice” “sostengono come possono
i centri di aiuto alla vita” e solo “a volte ne
favoriscono la presenza dentro gli ospedali”? Perché
è così difficile e raro il sostegno ai centri o il
permesso alla loro presenza in ospedale?
La vera prevenzione la fa il volontariato per la vita nonostante la
legge e, spesso, contro coloro che legittimamente la
applicano.
Una legge “integralmente iniqua”, dunque: un giudizio
che si rafforza col tempo. “Necessaria … perché
non si può mandare in galera una donna che ha
abortito”? L’articolo 19 della legge punisce con sei
mesi di reclusione la donna che ha abortito fuori dei casi
previsti.
Quali sono, allora, i “fatti concreti”? Sono solo le
azioni di coloro che hanno aiutato le donne, che di esse si sono
fatte carico?
Il “parlare di leggi” è un esercizio astratto,
qualcosa che “non interessa”?
Quanto è concreta la legge 194! Permette di uccidere a spese
dello Stato 130.000 bambini e bambine all’anno, lasciando
tante donne sole nella loro disperazione; permette ad alcuni uomini
di spingerle all’aborto, lavandosene le mani (e agli
sfruttatori di prostitute straniere minorenni di costringerle ad
abortire per riprendere il loro lavoro…); dopo
l’aborto sa offrire solo contraccettivi perché non
succeda più (si veda la relazione del Ministro della Salute
di quest’anno); nasconde, occulta, tace, copre il bambino;
rinomina l’aborto “interruzione della gravidanza”
(anzi: IVG); impedisce di aiutare davvero le madri in
difficoltà a scegliere per la vita; impone socialmente
l’aborto eugenetico, aprendo la strada all’eutanasia
eugenetica dei neonati.
La legge 194 “ha fatto mentalità” ed impedisce
– sempre di più – di “parlare
dell’esperienza del materno”.
Chi combatte per rovesciare la legge 194 si fa carico di tutte le
donne e di tutti i bambini. Solo dicendo tutta la verità su
questa legge possiamo davvero combattere l’aborto e salvare
le madri e i loro bambini.
Giacomo Rocchi
Magistrato