
Fecondazione assistita, Piccinni: «È un business. Belluno è solo la punta dell’iceberg»
Intervista a Orazio Piccinni, pioniere della Fecondazione in
vitro e oggi obiettore di coscienza Di Benedetta Frigerio
È stato uno dei pionieri della Fecondazione in vitro (Fiv), poi ha
scelto la strada dell’obiezione di coscienza. Orazio Piccinni commenta a Tempi.it
l’arresto di Carlo Cetera,
uno dei luminari della fecondazione assistita, che chiedeva
dai 2 mila ai 2.500 euro per accorciare i tempi d’attesa per
trattamenti di Pma
(procreazione medicalmente assistita): «Conosco bene questo mondo e il business che gira intorno a questa
tecnica». Piccinni nel 1996 ha deciso di non praticare
più la fecondazione dopo averla fatto per anni. Una scelta
che, ancora oggi, costa molto al medico: «Sarebbe più facile e vantaggioso fare
come la maggioranza dei medici, ma ora non potrei più vivere
tranquillo». Piccinni però non ha abbandonato la
clinica dove esercita la sua professione: «Sono obiettore e anche se ora è dura,
sono rimasto per curare la sterilità in altri modi. Forse
più faticosi per me, ma meno dispendiosi per la coppia e la
loro salute. Nonché più efficaci. Parlo di trattamenti
alternativi che pratico senza più dare
illusioni».
Su cosa fa leva il business della
fecondazione assistita?
«I medici promettono
successi, illudendo le coppie, per farle continuare a sottoporsi a
cicli di trattamento che dilaniano le persone e costano migliaia di
euro. Il guadagno può essere davvero importante. Pur essendo
tutti a conoscenza del fatto che la scienza non può risolvere
ogni cosa, ci si ostina a far credere il contrario a chi si rivolge
ai centri specializzati. I dati scientifici sono i primi a
rivelarlo. La verità è che dal 1978 siamo completamente
fermi: le percentuali di successo della procreazione medicalmente
assistita (Pma) restano sempre le stesse, dodici per cento
circa».
Nel 2005 parlò a Tempi di
«un’industria economica che fabbrica morte». Si riferiva
alla situazione esistente prima della legge 40/2004 sulla
fecondazione?
«Le poche coppie che sono
riuscite ad avere un bambino attraverso la Fiv hanno comunque
dovuto patire molto, a discapito di tanti embrioni scartati. Mentre
magari le vie naturali percorribili, e difficilmente proposte da
questi centri, sarebbero bastate. Oggi il giro di soldi non è
certo diminuito. E quello che è accaduto in provincia di
Belluno non è un caso isolato, come è comodo far
sembrare. Anzi. È solo la punta di un iceberg che gli addetti
ai lavori conoscono bene».
La legge quindi non
aiuta?
«A recarsi in queste
cliniche è gente disperata e c’è sempre qualcuno che si
approfitta della disperazione delle persone. Ora poi che le regole
avallano questa tecnica, non ci sono più freni alla
meschinità. Non solo, oggi che tutto sembra regolare è
ancora più evidente: nessuno viene a controllare quel che
accade nei centri di Pma, i quali non si pongono limiti. Il
disordine è sempre più grande. Penso anche ai molti
medici che prima della legge 40/2004 non facevano la Fiv, mentre
adesso che è permessa la praticano».
Lei, pur praticando obiezione di
coscienza, rimane nello stesso posto di lavoro nonostante le
difficoltà.
«Ho studiato e cercato altre
vie contro la sterilità che ripagano in termini di risultati.
È vero, l’obiezione è minacciata ma non significa che non
si possa più lavorare nelle cliniche o negli ospedali. Si
può agire secondo coscienza, basta essere prudenti e capaci.
Non è facile, ma serve a diventare più forti: molti
colleghi sono anche cambiati, proprio perché hanno visto
un’alternativa alla fecondazione assistita. Più dura forse, ma
molto più umana e convincente».