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Linee Guida, si paga l’ambiguità della Legge 40

2011-11-25

tratto da La Bussola Quotidiana – Mario Palmaro

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Qual è la verità sulle nuove Linee Guida in materia
di fecondazione artificiale? I radicali strillano sostenendo che si
tratta di un ultimo colpo di coda del Governo Berlusconi, e
contestano alcune restrizioni contenute nel documento. Dal mondo
cattolico si risponde difendendo l’operato dell’ex
sottosegretario Eugenia Roccella, la quale avrebbe semplicemente
rispettato i canoni imposti dalla legge 40 del 2004.



Ragioniamo. Un giudizio
obiettivo sulle Linee Guida deve mettere insieme, con
onestà, luci ed ombre. Luci ed ombre che sono il riflesso
della stessa legge sulla fecondazione artificiale, frutto di un
compromesso politico e dunque ben lontana dall’essere una
legge giusta.



Cominciamo dalle luci. Sul
piano giuridico, il Governo uscente aveva tutto il diritto di
emanare il documento contestato. Nel merito, le linee guida
confermano il divieto della diagnosi reimpianto; e inoltre,
ribadiscono che l’accesso alle tecniche di fecondazione
artificiale non è consentito alle coppie fertili, anche se
queste sono portatrici di malattie genetiche. I fautori della
provetta libera avrebbero voluto che le Linee Guida si allineassero
ad alcune decisioni dei giudici che in questi anni hanno invece
autorizzato le coppie a derogare da tali divieti. Così non
è stato, e la scelta è legittima, poiché
– come spiega l’ordinario di Diritto Costituzionale
Filippo Vari – in Italia una sentenza non può cambiare le
leggi vigenti, ma produce i suoi effetti limitatamente ai casi
specifici.



Verità che, fra
l’altro, alcuni cattolici tendono a dimenticare
quando
sostengono che, dopo le sentenze sul caso Englaro, la legge sarebbe
stata modificata, rendendo necessaria una nuova normativa sulle
Dat. Delle due l’una: o le sentenze cambiano le leggi, e
allora le Linee Guida avrebbero dovuto adeguarsi alle sentenze
“libertarie” sulla provetta; o le sentenze non cambiano
le leggi, e allora la legge sulle Dat non sarebbe più
necessaria.



Ma le Linee Guida portano con
sé anche delle ombre.
Innanzitutto, la natura
giuridica di questo strumento normativo è ambigua: si tratta
di un documento amministrativo, certamente sottoposto al primato
della legge ordinaria cui si riferisce; tuttavia, proprio per
questo carattere amministrativo, i giudici potrebbero in futuro
ignorarle, e ritenere di applicare alla legge 40 una differente
interpretazione.



Ma, soprattutto, le Linee Guida
2011 evidenziano un vistoso arretramento
rispetto alla linea
difensiva della vita umana concepita. Un arretramento che è
stato poco o nulla evidenziato dalla stampa cattolica. Mi
riferisco, in particolare, al fondamentale divieto di trasferire
più di tre embrioni: divieto che è stato cassato
dalla Corte costituzionale con la sentenza 151 del 2009. E’
ovvio che le Linee Guida siano state costrette a recepire un tale
autorevole orientamento; ma è altrettanto ovvio che questo
fatto debba essere detto pubblicamente, sottolineandone la
negatività. Quella sentenza della Corte, fra l’altro,
si poggia purtroppo su un ragionamento logico inappuntabile: e
cioè che la legge 40, nel momento in cui legalizza il
trasferimento multiplo di embrioni – che implica la morte
programmata di almeno alcuni di loro – dimostra di non considerare
la vita del concepito un bene meritevole di tutela incondizionata.
Dunque, dicono i giudici della Corte, il legislatore deve ammettere
anche un trasferimento superiore a tre embrioni, se questo risponde
all’interesse al figlio della coppia e alla salute della
donna. E l’argomento della Corte diventa ancora più
forte se si aggiunge che tutte le tecniche di fecondazione
extracorporea presuppongono l’accettazione programmata della
morte della maggior parte degli embrioni prodotti in
provetta.



Non solo. Le Linee Guida del
2011
non stabiliscono più l’obbligo di
trasferire gli embrioni soprannumerari nella Biobanca di Milano. A
oggi gli embrioni crioconservati, abbandonati e non, risultano
ufficialmente essere alcune migliaia: il che è molto
istruttivo, se si pensa che la legge 40 venne presentata come
contraria alla produzione di embrioni in sovrannumero. Purtroppo,
una volta ammessa l’idea che l’accesso alla provetta
sia un diritto, seppure limitatamente al possesso di alcuni
requisiti, diventa impossibile sfuggire a quel piano inclinato che
porta, rapidamente, dal male minore al male maggiore.





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