
Discussione sul fine-vita, si allarga il fronte dei critici
Marco Respinti – La Bussola Quotidiana – 06-04-2011
Editoriale tratto da La Bussola quotidiana
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-discussione-sul-fine-vita-si-allarga-il-fronte-dei-critici-1495.htm
Affermando che nei casi in cui il malato
non è in grado di esprimere la propria volontà
comunque le Dat, cioè le “Dichiarazioni Anticipate di
Trattamento”, non vincolano i medici, il professor Rodolfo
Proietti, ordinario di Anestesia e rianimazione
all’Università Cattolica di Roma, prende posizione
(Avvenire, 24 marzo, inserto è vita) a
favore del dibattuto progetto di legge in discussione alla Camera
che, sostenuto dalla quasi totalità della
maggioranza di governo, in primis il sottosegretario alla
Salute
Eugenia Roccella, gode del plauso dei
vescovi italiani e di
Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita
(MpV).
Ma sul tema la voce del mondo
cattolico non è univoca. Il ddl in discussione
conterrebbe infatti pericolose aperture eutanasiche per esempio per
il Comitato
Verità e Vita, la militanza nelle cui fila è
stata per questo motivo dichiarata incompatibile con
l’impegno nelle realtà locali e attivistiche
dell’MpV dal testo che il 19 marzo, a Firenze, ha chiuso
l’assemblea nazionale appunto di MpV.
Articolate critiche alle Dat
sono del
resto state di recente esposte sulla pagine de Il
Foglio -
parte in causa del dibattito, nel fronte dei contrari al ddl – e
de Il
Timone dal
presidente del CCV Mario Palmaro e da Alessandro
Gnocchi, nonché, sempre su Il Foglio da
Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano.
«A nessuno sfugge»,
osserva Pessina, «che in fondo questa legge consente
ciò che già è consentito e vieta quanto
è già vietato, lasciando l’ultima parola al
medico». Infatti, «il nodo teorico che rende
difficilmente praticabile l’auspicata alleanza
terapeutica» sta per il bioeticista della Cattolica proprio
«nella questione del peso giuridico da attribuire a una
volontà non attuale e al venire meno di un quadro generale
di fiducia nella medicina e nell’assistenza, minata da
un’enfasi irrealistica posta sul principio dell’autonomia e
della libertà, che rischia di trovare indiretta conferma in
questa legge». Così, «facendo una legge che,
come questa, riferendosi alla Costituzione e al principio del
consenso informato conferma in modo autorevole il peso della
volontà pregressa del cittadino, si apre facilmente una
strada che può portare a stabilire almeno due situazioni non
previste, ma prevedibili».
La prima «è che, in nome
di questo riconoscimento della volontà
del cittadino, presente in questa legge, si tenti, ricorrendo ad
ulteriore sede giuridica, di togliere i vincoli attualmente
presenti e si aprano le porte sia all’eutanasia, sia al suicidio
assistito».
La seconda è «che, una
volta poste delle limitazioni alle scelte del
cittadino, non avrebbe senso lasciare l’ultima parola al
medico: se, infatti, ciò che si può chiedere è
conforme alle legge, non determina alcun reato, risponde al
principio per cui ogni trattamento medico richiede il consenso
informato, allora non si capisce perché il medico possa poi
decidere di seguire o no delle indicazioni scritte e certificate.
Detto in altro modo, si potrebbe chiedere di trasformare le
“dichiarazioni” in “direttive anticipate”,
vincolanti l’operato del medico».
Di parere non diverso è
l’ex Sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano,
noto, e non da oggi, per l’impegno a favore del diritto alla
vita.
Sempre dalle colonne del
Il Foglio, e con riferimento al testo di legge
approvato al Senato nella primavera 2009 dopo il “caso
Englaro”, cioè quando «Eluana è stata
uccisa», Mantovano osserva: «Non sono certo che quella
parte di magistratura ostile alla vita non trovi anche nel testo
del Senato margini per riprodurre sentenze di morte. È
invece certo che gli argini cadrebbero se passassero le modifiche
introdotte nei mesi scorsi dalla commissione Affari speciali della
Camera». In specifico tre.
La prima è «la
vincolatività del “testamento biologico”»
in base al quale «se il medico curante non intende
determinare la morte del paziente, il fiduciario può
rivolgersi a un collegio medico, il cui parere diventa
vincolante», così però che se «sorgeranno
contrasti, la sanità sarà materia sempre meno di
competenza dei medici e sempre più di competenza degli
avvocati e dei giudici».
La seconda è «l’estensione
dei soggetti destinatari del “testamento”», non
più solo, com’era al Senato, i soggetti in
“stato vegetativo permanente”, bensì quelli i
condizione di “incapacità permanente”, fra cui
finisce inevitabilmente pure «chi versa nei primi stadi del
coma»: «ma quante persone escono dal coma e ritrovano
una condizione di vita normale?».
La terza è la
«puntualizzazione inutile» relativa alla
possibilità di sospendere idratazione e alimentazione del
malato quando queste risultino oramai inefficaci al sostentamento
dal momento che «in simili situazioni nessun medico si
accanisce a iniettare sostanze che non giovano più».
Tuttavia, aggiunge Mantovano, «l’esperienza insegna la
pericolosità delle proposizioni inutili, in quanto mettono
l’esegeta capzioso nelle condizioni di poter sostenere che
“se il legislatore lo ha scritto, qualcosa dovrà pur
significare!”».
Insomma, nonostante le argomentazioni
non banali espresse dal partito
dei favorevoli al ddl – e relative soprattutto alla
discrezionalità sempre filoeutanasica mostrata costantemente
e impunitamente dai giudici chiamati a decidere in tutti i casi
specifici fin qui presentatisi – il fronte dei critici si allarga
quotidianamente. «Avallare le modifiche della commissione
della Camera», sintetizza Mantovano, «pone seri
problemi di coscienza a chi è chiamato a esprimere il suo
voto». Per questo il dibattito è ancora
apertissimo.