
Amnesty International promomuove l’aborto
Amnesty rivela ulteriormente la propria anima abortista. Il
Nicaragua nel mirino del rapporto di A.I. con dati manipolati e
falsificati.
Amnesty International ha messo nel mirino un altro paese
latino-americano per le sue leggi a favore della tutela della vita.
In un recente rapporto, Amnesty si scaglia contro il divieto totale
di aborto in Nicaragua, bollandolo come “una vergogna crudele
e disumana”, e sostiene che la nuova legge ha provocato un
aumento della mortalità materna.
Così come nei casi del Messico, della Repubblica Dominicana e
del Perù, l’ultimo rapporto di Amnesty sul Nicaragua
sostiene erroneamente che il diritto internazionale obbliga gli
stati a permettere l’aborto e – secondo i critici
– falsifica i dati che invece mostrano che il tasso di
mortalità materna è in calo.
La legge del Nicaragua che impedisce l’aborto per qualsiasi
motivo è stata approvata dall’Assemblea Nazionale
all’unanimità nel 2006 ed ha immediatamente attirato una
miriade di attacchi da parte sei sostenitori dell’aborto in
tutto il mondo. Il rapporto di Amnesty, intitolato “Il bando totale
dell’aborto in Nicaragua: salute e vita delle donne in
pericolo, personale sanitario criminalizzato”, accusa il
governo di Managua di attuare una legge
“discriminatoria” che provocherà l’aumento
della mortalità materna. Amnesty se la prende anche con le
sanzioni penali previste dalla legge, affermando che mettono il
personale sanitario a “rischio legale”.
Avanzando la pretesa che il Nicaragua sta violando il diritto
internazionale, Amnesty cita le raccomandazioni non vincolanti
fatte dalle commissioni di supervisione dei trattati delle Nazioni
Unite – la Commissione per l’Eliminazione di tutte le
Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW), la Commissione
sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, la Commissione contro
la Tortura – come prova della obbligatorietà per il
paese di permettere l’aborto.
In realtà, sostengono i critici, non c’è alcun
trattato dell’ONU che neanche citi l’aborto e
sono invece I membri di queste commissioni chiamate a visionare
l’applicazione dei trattati che si sono ritagliati
arbitrariamente il compito di applicare un “diritto
all’aborto” come parte di diritti già riconosciuti
come il diritto al miglior trattamento sanitario, il diritto alla
riservatezza e il diritto di essere liberi dalla
discriminazione.
Amnesty afferma che il divieto di aborto in Nicaragua è
discriminatorio a causa delle conseguenze negative che ha sulle
donne e sulle ragazze, in quanto solo “le donne e le ragazze
sono obbligate a continuare gravidanze non volute o sanitariamente
pericolose pena il carcere” o “patire l’angoscia
mentale e il dolore fisico di un aborto non sicuro, rischiando
inoltre la loro salute e la vita”.
Una delle principali affermazioni di Amnesty è che il divieto
farà sì che il personale medico si asterrà dal
trattare le donne in alcuni casi per paura di essere incriminato,
in quanto la loro azione medica potrebbe essere considerata come un
aiuto a interrompere la gravidanza. In realtà il governo
nicaraguense ha più volte chiarito che l’attuale codice
sanitario sarà rispettato, anche là dove permette dei
trattamenti salvavita che potrebbeero causare indirettamente un
aborto.
Anche se Amnesty ammette che il divieto non ha causato alcuna
incriminazione, accusa comunque il governo nicaraguense paventando
la possibilità che la legge provochi “ritardi nella
diagnosi e nella terapia, a detrimento delle donne e delle giovani
nicaraguensi che chiedono un trattamento sanitario”.
Da quando ha pubblicato il rapporto, ad Amnesty è stato
più volte richiesto di rendere ragione delle proprie
affermazioni. Matthew Hoffman, inviato del sito pro-life
LifeSiteNews.com, in una inchiesta per verificare le
affermazioni di Amnesty, ha trovato che l’organizzazione
aveva falsificato i dati “nell’evidente tentativo di coprire
il fatto che la mortalità materna in realtà era diminuita
nel 2007, l’anno dopo che nel codice penale erano state
eliminate le eccezioni che permettevano gli aborti
terapeutici”. Il Rapporto di Amnesty sostiene infatti che la
riforma è entrata in vigore il 9 luglio del 2008, perciò
confronta l’attuale tasso di mortalità materna con quello del
primo semestre del 2008, ottenendo così un aumento del 10%.
Peccato però l’aborto terapeutico era reato già dal 2006:
nel 2007 si è registrato un calo del tasso di mortalità
del 10%, fatto che Amnesty ovviamente ignora.
Ma non è l’unica manipolazione. Pur sostenendo che la riforma
del codice penale non è entrata in vigore prima del 2008,
Amnesty cita il caso di 12 donne morte e che si sarebbe potuto
salvare soltanto se l’aborto fosse stato permesso. Amnesty riprende
il caso dal rapporto del gruppo abortista IPAS, che però
è stato pubblicato prima di quella che Amnesty considera
l’entrata in vigore della riforma. Inoltre il rapporto Ipas non
afferma affatto che sarebbe stato possibile salvare le 12 donne con
la legalizzazione dell’aborto: specula invece sul fatto che “almeno
12 (morti materne) possono essere collegate a precedenti patologie
aggravate dalla gravidanza, cosa che avendo la possibilità di
un aborto terapeutico, la loro possibilità di migliorare o
guarire sarebbe stata molto più elevata”.
La verità è che Amnesty non è stata in grado di
fornire il nome anche di una sola donna che sarebbe morta per cause
collegate alla nuova legge, né il nome di una sola persona che
sia stata incriminata per procurato aborto.
Da ultimo, Amnesty cita diverse associazioni mediche del Nicaragua
che hanno denunciato la nuova legislazione, ma curiosamente non
cita il presidente dell’Associazione dei Medici del Nicaragua, che
invece la difende.
Articolo di Samantha Singson
pubblicato da Svipop il 24/08/2009