
194 – medici e laicità: alcune sconcertanti ambiguità.
Da anni assisto con sempre maggiore sgomento ad alcuni tragici
e vetusti abbinamenti.
Sono una donna impegnata da 30 anni nella società civile
in difesa dei più deboli ed in particolare di coloro che si
affacciano alla vita ed al suo tramonto.
Da anni assisto con sempre maggiore sgomento ad alcuni tragici e
vetusti abbinamenti.
Primo: laicità e morte. In nome della
laicità: sì all’aborto, alla contraccezione
d’emergenza, alla pillola del giorno dopo, alla RU486, al
suicidio assistito, all’eutanasia. Uccisioni nel caso
dell’aborto per lo più cruente, di un individuo
appartenente alla specie umana, alias persona. In nome della
laicità la donna rivendicherebbe il diritto a quella sottile
e tremenda forma di solitudine che si chiama autodeterminazione,
che suona come una vera e propria liberatoria per l’uomo,
ipocritamente solidale con la donna, perché esonerato da
ogni corresponsabilità. Una strana cultura che uccide in
nome dell’autodeterminazione ed infierisce sul più
debole.
Secondo: ‘no all’aborto’ uguale
‘sì alle mammane’. Sono passati invano
30 anni di storia della scienza e di storie di donne disperate per
aver abortito quello che hanno – dopo – scoperto essere un bimbo,
anzi un figlio; sono passati 30 anni in cui la scienza, non la
fede, ha realizzato e sta sviluppando il progetto genoma umano.
Oggi le moderne tecnologie ci permettono di sapere che quelle
cellule hanno inscritta la storia del “prodotto” fin
dal concepimento. Eppure l’occhio laico non riesce a vedere
il bambino, ma solo la donna. Combattere l’aborto non
equivale a ricacciare la donna in mano alle mammane, ma scoprire
che esiste un secondo soggetto oltre la donna, che si chiama
bambino, di cui la cultura laica non parla mai. Una cultura dunque
intrinsecamente sterile.
Terzo: linguaggio e manipolazione. Le donne hanno
diritto alla loro salute personale – si afferma -
perché la gravidanza sarebbe una malattia che inserisce un
corpo estraneo ed ostile, un morbo appunto, nel corpo della donna.
Così la classe medica, che considera la 194 legge moderna
(ma in 30 anni la medicina non ha portato nessun progresso per
esempio in neonatologia, in fetologia, in rianimazione?) inganna la
donna con un linguaggio ambiguo (interruzione della gravidanza
[IVG], raschiamento, aspirazione del materiale, con plateale,
sconcertante e sistematica violazione della normativa del consenso
informato.
Per la cultura laica dunque la gravidanza è un morbo da
espellere e la richiesta di consenso informato un’abile
manipolazione semantica che evita di informare su che
cos’è l’aborto e come avviene, sia quello
chirurgico che quello farmacologico.
L’aborto, sia esso definito raschiamento, Karman,
aspirazione, altro non è che la vivisezione per smembramento
a scopo di riduzione del materiale biologico di un corpo umano, che
soffre, reagisce e si difende. Una tecnica da aspirapolvere (o
frullatore) che le donne conoscono bene per i lavori casalinghi, ma
che nel caso dell’aborto è una condanna a morte con
annessa tortura da smembramento.
La RU486 procura la morte del “materiale biologico”
dopo due/tre giorni di agonia del feto staccato dal suo nido e ne
provoca l’espulsione come una mestruazione un po’
più dolorosa, una sorta di confetto falqui per umani, forse
meno traumatico per la donna, più tragico e cinico per il
bambino.
Ecco perché sono contraria all’aborto, perché
sono contraria a questa mattanza frutto di una falsa cultura
laicista ipocrita e cinica, incompatibile con una civiltà a
misura d’uomo e con le più elementari forme di
solidarietà umana e sociale.
I medici questo lo sanno bene: lo vedono il materiale biologico in
sala operatoria, vedono i bidoni di raccolta di materiale biologico
che ha la forma di un piedino, di una mano, di un pezzo di gamba;
ecco perché un numero sempre crescente respinge il ruolo di
esecutori pubblici di una condanna a morte su innocenti in nome del
diritto alla salute della donna.
Si può dire no alle mammane e dire sì alla vita, si
può e si deve: a cominciare dal sostegno e dal
riconoscimento pieno del diritto alla partecipazione ed alla
presenza nel mondo della sanità delle associazioni pro-life,
che non sono contro la donna, ma che sanno mettere insieme i
diritti della donna con i diritti del bambino, contro disumane
stragi, ipocriti cinismi, interessi economici da capogiro nel
settore della sanità e della ricerca.
Si può essere contro l’aborto e contro le mammane, si
può essere contro l’aborto e per la donna ed il
bambino insieme: non può esistere un conflitto mortale tra
madre a figli, ma perché ciò avvenga occorre cambiare
due nomi: donna con madre e materiale biologico con figlio.
Una voce a parte meriterebbe il devastante silenzio delle
associazioni che rappresentano portatori di handicap e/o di varie
patologie di fronte allo scenario di una ormai consolidata prassi
eugenetica e all’eutanasia neonatale dei feti prematuri o
malati sostenuta anche dall’Unione Europea.
Torino, 24 febbraio 2008
Prof. Maria Paola Tripoli
Membro del Direttivo regionale di FederVita Piemonte
e Valle d’Aosta, presidente del SEA servizio Emergenza
Anziani Italia, impegnata in educazione sulle tematiche di bioetica
e di educazione all’affettività.