
Una ripresa non solo Biopolitica
2011-01-22
Brutto segnale se a decidere sulle questioni eticamente
La ripresa dell’inizio del nuovo anno, è
all’insegna della biopolitica. Lo scontro politico è
ora tutto su contenuti “bioetici” riguardanti
l’inizio vita – la decisione del TAR di bocciare le
Linee Guida lombarde sulla 194 – (Atto di indirizzo della
Regione Lombardia; “Non ci servono giudici in corsia”
di B. Frigerio, Tempi 12/01/2011) e del fine vita. “Brutto
segnale se a decidere sulle questioni eticamente sensibili
–quelle su vita e morte – sono i tribunali”.
Così Avvenire il 4/01 (194 due pesi due misure). E noi
aggiungiamo: lo stesso se a occuparsene sono i legislatori,
cioè il Parlamento. Non vogliamo con questo ribadire con
altri quella che ormai è una evidenza, cioè che i
temi etici – con contenuti limati e patteggiati ad hoc – sono
divenuti pretesto e “collante” per alleanze politiche,
per mettere insieme una maggioranza altrimenti non recuperabile su
progetti politici reali, di pertinenza prettamente politica (le
riforme). La politica è l’arte della mediazione.
Regolamentare la vita e la morte “patteggiandole”
significa averne già accettata la relativizzazione rispetto
a quell’epoca storica in cui se ne discute. Certo fa specie
che sia un Parlamento a dover dissertare di temi che esulano
totalmente dalla sua competenza, come quando si discute di quale
assistenza sia dovuta a un uomo malato, alla fine della sua vita.
Chi cura e assiste i malati sa bene che solo la condizione clinica
di ciascun paziente può determinare la scelta del medico che
lo assiste. Dopo l’approvazione della norma di legge
l’agire del medico sarà inevitabilmente condizionato
da essa, da un foglio di carta o dal parere di
“fiduciari”, presi a sicuri interpreti della
volontà del malato. Il testo di legge attuale – pur nel
tentativo di difendere la dignità della vita
(“idratazione e alimentazione sono sostegno vitale e non si
possono sospendere”) -, è inevitabilmente a rischio di
legittimazione dell’abbandono terapeutico (cioè di
eutanasia passiva) nei punti in cui prevede la loro sospensione in
caso di assistenza a un “malato terminale” (oggi non
c’è in letteratura una definizione univoca su chi
è malato terminale, Eluana non lo era eppure è stata
diagnosticata tale) e nei casi in cui il medico dissente dalle
volontà anticipate del paziente, venendo così
sostituito da una commissione di “esperti”. Accadrebbe
per legge quello che si è verificato nei giorni scorsi a
Firenze (Biotestamento, sì
del Tribunale – Il Corriere della Sera 13/01/2011).
In America la spesa sanitaria per pazienti che hanno scelto la
gestione del proprio fine vita con le direttive anticipate è
di molto inferiore a quella di chi non ha dato disposizioni:
“Patients without advance
directives have significantly higher terminal hospitalization
charges than those with advance directives. Our investigation
suggests that the preferences of patients with advance directives
are to limit care and these preferences influence the cost of
terminal hospitalization”.
(Arch Intern Med.
1994;154:2077-2083). La differenza di spesa è un dato
indiretto circa il tipo di non trattamento che i primi possono aver
ricevuto, pur in un paese ricco come l’America, che tuttavia
da sempre non considera l’assistenza sanitaria tra i diritti
fondamentali.
E’ questo il difetto delle leggi di oggi. Si vogliono
regolamentare materie che non sono proprie del livello legislativo,
ma della responsabilità di ognuno nella vita quotidiana, ad
esempio della medicina e della professionalità di ogni
medico. Questa responsabilità non la supplisce una legge,
occorre altro. Si cura un paziente non perché lo dice una
legge, ma perché questo è lo scopo della medicina.
Oggi serve una nuova medicina, che affronti i bisogni emergenti;
necessita la formazione di medici ancora motivati allo scopo della
loro professione, è necessario lo sviluppo delle cure
palliative. I malati cronici e fragili diverranno sempre più
numerosi e una nuova modalità di accoglienza con nuove
strutture, a più basso livello tecnologico e maggior carico
assistenziale saranno l’unica soluzione di rispetto della
vita e quindi anche del fine vita. Come dice Papa Benedetto XVI:
“La volontà politica
in definitiva non può divenire efficace sin tanto che non
nascerà nell’intera umanità una nuova e
più profonda coscienza morale, una concreta
disponibilità alla rinuncia che per il singolo diventi
criterio morale che decida del proprio stile di vita. […]
Sin tanto che questo non accadrà, la politica sarà
impotente” (da Luce del mondo)
Buona ripresa a tutti.
Editoriale a cura di C. Isimbaldi
Brutto segnale se a decidere sulle questioni eticamente
sensibili –quelle su vita e morte – sono i tribunali -
lo stesso se a occuparsene sono i legislatori
Pubblichiamo un recente editoriale di Clementina Isimbaldi di
Medicina e Persona.
La ripresa dell’inizio del nuovo anno, è
all’insegna della biopolitica. Lo scontro politico è
ora tutto su contenuti “bioetici” riguardanti
l’inizio vita – la decisione del TAR di bocciare le
Linee Guida lombarde sulla 194 – (Atto di indirizzo della
Regione Lombardia; “Non ci servono giudici in corsia”
di B. Frigerio, Tempi 12/01/2011) e del fine vita. “Brutto
segnale se a decidere sulle questioni eticamente sensibili
–quelle su vita e morte – sono i tribunali”.
Così Avvenire il 4/01 (194 due pesi due misure). E noi
aggiungiamo: lo stesso se a occuparsene sono i legislatori,
cioè il Parlamento. Non vogliamo con questo ribadire con
altri quella che ormai è una evidenza, cioè che i
temi etici – con contenuti limati e patteggiati ad hoc – sono
divenuti pretesto e “collante” per alleanze politiche,
per mettere insieme una maggioranza altrimenti non recuperabile su
progetti politici reali, di pertinenza prettamente politica (le
riforme). La politica è l’arte della mediazione.
Regolamentare la vita e la morte “patteggiandole”
significa averne già accettata la relativizzazione rispetto
a quell’epoca storica in cui se ne discute. Certo fa specie
che sia un Parlamento a dover dissertare di temi che esulano
totalmente dalla sua competenza, come quando si discute di quale
assistenza sia dovuta a un uomo malato, alla fine della sua vita.
Chi cura e assiste i malati sa bene che solo la condizione clinica
di ciascun paziente può determinare la scelta del medico che
lo assiste. Dopo l’approvazione della norma di legge
l’agire del medico sarà inevitabilmente condizionato
da essa, da un foglio di carta o dal parere di
“fiduciari”, presi a sicuri interpreti della
volontà del malato. Il testo di legge attuale – pur nel
tentativo di difendere la dignità della vita
(“idratazione e alimentazione sono sostegno vitale e non si
possono sospendere”) -, è inevitabilmente a rischio di
legittimazione dell’abbandono terapeutico (cioè di
eutanasia passiva) nei punti in cui prevede la loro sospensione in
caso di assistenza a un “malato terminale” (oggi non
c’è in letteratura una definizione univoca su chi
è malato terminale, Eluana non lo era eppure è stata
diagnosticata tale) e nei casi in cui il medico dissente dalle
volontà anticipate del paziente, venendo così
sostituito da una commissione di “esperti”. Accadrebbe
per legge quello che si è verificato nei giorni scorsi a
Firenze (Biotestamento, sì
del Tribunale – Il Corriere della Sera 13/01/2011).
In America la spesa sanitaria per pazienti che hanno scelto la
gestione del proprio fine vita con le direttive anticipate è
di molto inferiore a quella di chi non ha dato disposizioni:
“Patients without advance
directives have significantly higher terminal hospitalization
charges than those with advance directives. Our investigation
suggests that the preferences of patients with advance directives
are to limit care and these preferences influence the cost of
terminal hospitalization”.
(Arch Intern Med.
1994;154:2077-2083). La differenza di spesa è un dato
indiretto circa il tipo di non trattamento che i primi possono aver
ricevuto, pur in un paese ricco come l’America, che tuttavia
da sempre non considera l’assistenza sanitaria tra i diritti
fondamentali.
E’ questo il difetto delle leggi di oggi. Si vogliono
regolamentare materie che non sono proprie del livello legislativo,
ma della responsabilità di ognuno nella vita quotidiana, ad
esempio della medicina e della professionalità di ogni
medico. Questa responsabilità non la supplisce una legge,
occorre altro. Si cura un paziente non perché lo dice una
legge, ma perché questo è lo scopo della medicina.
Oggi serve una nuova medicina, che affronti i bisogni emergenti;
necessita la formazione di medici ancora motivati allo scopo della
loro professione, è necessario lo sviluppo delle cure
palliative. I malati cronici e fragili diverranno sempre più
numerosi e una nuova modalità di accoglienza con nuove
strutture, a più basso livello tecnologico e maggior carico
assistenziale saranno l’unica soluzione di rispetto della
vita e quindi anche del fine vita. Come dice Papa Benedetto XVI:
“La volontà politica
in definitiva non può divenire efficace sin tanto che non
nascerà nell’intera umanità una nuova e
più profonda coscienza morale, una concreta
disponibilità alla rinuncia che per il singolo diventi
criterio morale che decida del proprio stile di vita. […]
Sin tanto che questo non accadrà, la politica sarà
impotente” (da Luce del mondo)
Buona ripresa a tutti.
Editoriale a cura di C. Isimbaldi