
Obiezione di coscienza
Domanda
sono un medico da sempre obiettore. Come mi debbo comportare
con le continue richieste della “Pillola del giorno dopo” visto che
nella mia regione, quando sono di guardia, costituirebbe una
interruzione di pubblico servizio? Grazie
Risponde il Dr Giacomo
Rocchi
Risposta
Premesso che non esiste alcuna
differenza scientifica tra l’embrione prima e dopo l’annidamento,
siamo sempre di fronte ad un essere umano da difendere da
pillole occisive. Non si tratta di farmaci come vorrebbero
farci credere, questi preparati sono congeniati per uccidere. Non
curano. Coloro che le prescrivono, somministrano, vendono, non
svolgono la funzione di medici curanti e
farmacisti.
Rispondo sotto il profilo strettamente giuridico.
Come è noto la pillola del giorno dopo è stata
commercializzata sul presupposto che non si tratta di medicinale
abortivo, ma di cd. contraccezione di emergenza: il tutto si fonda,
dal punto di vista legislativo, sull’utilizzo da parte del
legislatore dell’espressione “interruzione di gravidanza” per
indicare il processo abortivo regolato dalla legge 194,
intendendosi così “gravidanza” solo il processo che ha
inizio al momento dell’annidamento in utero dell’embrione. In
sostanza la legge 194 sembra non occuparsi dell’embrione nella fase
precedente a tale annidamento e, così, i medicinali che lo
sopprimono o gli impediscono di annidarsi possono ritenersi non
compresi nelle procedure abortive regolate dalla legge. I giudici
amministrativi hanno purtroppo confermato questa interpretazione
rigettando i ricorsi che contestavano l’autorizzazione del Ministro
della Sanità alla commercializzazione dei medicinali.
Sappiamo, però che – anche se i fautori della pillola del
giorno dopo sono giunti a negare anche questo – che quel
“medicinale” (sic!) in realtà opera anche come abortivo,
producendo la morte dell’embrione già fecondato ma non
ancora annidato.
Il rifiuto del medico a prescrivere la pillola del giorno dopo
è quindi ampiamente motivato: non solo perché la
stessa legge 194 prevede – sia pure solo a parole – la tutela della
vita umana fin dal suo inizio (e successivamente la legge 40
riconosce il “concepito” – quindi l’embrione a prescindere dal suo
annidamento – come soggetto di diritto), ma perché la tutela
della vita dell’embrione è tutelata dal punto di vista
costituzionale, come ripetutamente affermato dalla Corte
Costituzionale.
Il Comitato Nazionale di Bioetica, nel 2004, sia pure evitando di
affrontare il tema dell’applicabilità dell’articolo 9 della
legge 194 sull’obiezione di coscienza al caso di specie, ha
affermato – all’unanimità! – che il medico può
invocare la “clausola di coscienza” prevista dall’ordinamento; la
Federazione Nazionale h confermato questa circostanza.
Quali sono state le riserve? Esse non hanno riguardato la
possibilità di sollevare la clausola di coscienza da parte
del singolo medico, ma piuttosto una sua “collaborazione”
perché l’utente possa ricorrere ad altro sanitario in grado
di prescrivere il “farmaco” (sic!) che egli non intende
prescrivere. Si tratta, quindi, di un problema di carattere
organizzativo che, in realtà. viene agitato dai fautori
dell’obbligo di prescrivere la pillola del giorno dopo ma che
riguarda le ASL e le Regioni.
D’altro canto non ricorre certamente il caso di “grave e immediato
nocumento alla persona assistita” (ipotesi che escluderebbe il
ricorso alla clausola di coscienza): la pillola deve essere assunta
entro 72 ore dal rapporto sessuale non protetto e, quindi, il lasso
di tempo utile per ricorrere ad altro sanitario esiste sicuramente;
e poi – ovviamente – una eventuale gravidanza non costituisce alcun
“nocumento” per la salute della donna (anche in base alla legge 194
non è la gravidanza ad essere considerato un pericolo per la
salute della donna, ma, al limite, la “prosecuzione della
gravidanza”).
Veniamo, allora, alla minaccia di invocare le ipotesi penali
dell’interruzione di pubblico servizio (articolo 340 codice penale)
o di omissioni di atto d’ufficio (articolo 328 codice penale).
Quanto all’omissione di atti d’ufficio, la norma prevede un
“indebito” rifiuto di un atto che “deve essere compiuto senza
ritardo”: come si è visto la prescrizione in questione non
è certo così urgente da ritenere che debba essere
compiuto senza ritardo. Per entrambe le norme, comunque, si applica
la scriminante dell’esercizio di un diritto (articolo 50 codice
penale): il medico, cioè, ha diritto ad esercitare la
clausola di coscienza e, quindi, non può affatto rispondere
del suo legittimo (e non indebito) rifiuto.
In conclusione: dal punto di vista
giuridico la posizione dell’obbiettore di coscienza che
invoca la clausola di coscienza e rifiuta di prescrivere la pillola
del giorno dopo è perfettamente
legittima; il medico, piuttosto, dovrebbe
limitare la sua azione al rifiuto alla prescrizione, non
ostacolando in altre maniere quello che (purtroppo) è il
diritto riconosciuto alla donna di vedersi prescrivere il
medicinale.
Allego un documento che contiene: a)
il parere della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici del
gennaio 2007; b)
uno scritto della d.ssa Claudia Navarini che dimostra l’effetto
abortivo del preparato; c)
il parere del Comitato Nazionale di Bioetica del maggio
2004.
Giacomo Rocchi
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