
L’autonomia di Verità e Vita – Lettera a Carlo Casini
Al centro il diritto del figlio alla vita e il conseguente
dovere della madre di non abortire
Alessandria, 22/4/2008
Caro Casini,
impossibilitata quest’anno a partecipare all’assemblea
nazionale del Movimento per la Vita a motivo di un viaggio a
Cracovia organizzato per gli stessi giorni dall’associazione
Difendere la Vita con Maria, esprimo per iscritto alcune
riflessioni suscitate in me dalla lettura della relazione che hai
tenuto a Chianciano e che ho ricevuto recentemente per posta
assieme alla tua ultima pubblicazione “A trenta anni dalle
legge 194” per la quale ti ringrazio.
Non entro nel merito delle molte e interessanti cose che scrivi
circa l’attività del MpV in quest’ultimo anno e
dei progetti da portare avanti in un prossimo futuro. Mi sento
invece interpellata dall’affermazione che fai nella penultima
pagina: “Infine continuo a sentire come una ferita
l’autonomia di Verità e Vita che ormai si sente
estranea al MpV. Non mi pare che sulla legge 194 vi sia una
disparità di vedute. Forse un colloquio di chiarimento non
sarebbe inutile”.
Mi domando perchè sarebbe per te una ferita
l’autonomia di Verità e Vita.
Non sono poche le associazioni che popolano l’attuale
panorama pro life e ciascuna si muove e opera secondo un suo
particolare carisma.
Se poi la ferita di cui parli è causata dalla consapevolezza
che il nucleo fondante di Verità e Vita è uscito da
una costola del Movimento per la Vita – ma oggi, grazie al
cielo, essa ha trovato, per la sua linea d’azione, ampi
consensi e numerosi aderenti anche tra persone estranee al MpV – tu
sai bene che ai fondatori di Verità e Vita non è
stata lasciata altra possibilità per poter esprimere senza
censure le proprie opinioni.
Ripercorro con una certa amarezza la lunga, sofferta vigilia
dell’approvazione della legge 40 sulla fecondazione
artificiale, quando a noi, minoranza neanche tanto esigua, era
preclusa ogni possibilità di mettere in discussione la linea
assunta dal presidente perchè “avremmo diviso il
Movimento”. Nessuno spazio per dibattere, nessuna
sostanziale disamina delle nostre proposte, nessuna occasione di
discussione della nostra posizione. Solo l’accusa
continuamente reiterata di voler dividere.
Eppure la nostra posizione era lineare: il MpV, non avrebbe potuto
farsi promotore – perchè proprio questo è
accaduto con il progetto Baggio/Casini – di un progetto di legge
che consentisse la fivet, mirando solo a escludere le manipolazioni
più gravi e partendo da una posizione nella quale
l’embrione era già posto a grave rischio in quanto si
dava per scontata la legalizzazione della fivet stessa con il suo
tragico corollario di morte.
E’ certo che anche se in parlamento si fosse accesa la
discussione su quei disegni di legge e quegli emendamenti che
proibivano la fivet in toto e che invece non sono neppure stati
presi in considerazione, non avremmo alla fine ottenuto una legge
più rispettosa dell’embrione, data la temperie
culturale. Ma almeno chiarezza sarebbe stata fatta. Il MpV avrebbe
dovuto cedere ad una maggioranza parlamentare che legalizzava la
fivet, a seguito però di un ampio dibattito che avrebbe
messo in luce i termini della posta in gioco, svelando il vero
volto della fivet stessa.
Non varrebbe neppure la pena di riandare con la memoria a quei
giorni se quell’equivoco di fondo non inducesse oggi in
errore tanti tra coloro che vorrebbero collocarsi nel solco
rispettoso della vita di ogni embrione. La fivet, regolamentata da
una legge definita con qualche acrobazia linguistica buona, non
cattolica, imperfetta etc. e difesa a spada tratta contro le
richieste referendarie del 2005 – ma si sarebbe potuto fare
altrimenti? – è considerata universalmente lecita se attuata
entro i limiti posti dalla stessa legge 40.
E il MpV assieme a coloro che hanno sposato la sua linea deve
continuare a difendere questa legge a causa della quale, già
nel primo anno della sua attuazione il ricorso alla fivet è
aumentato del 63%, come risulta dalla relazione in tema del
ministro Turco.
Verità e Vita ha invece le carte in regola per dire la
verità, appunto.
Un cenno anche alla legge 194 riguardo la quale, a tuo dire, non vi
sarebbe una disparità di vedute tra MpV e Verità e
Vita.
Francamente non mi sentirei di sottoscrivere questa affermazione.
Vedo invece tra le due associazioni una diversità di
linguaggio che porta a una divaricazione direi sostanziale.
Ho letto attentamente il tuo libro “ A trenta anni dalla
legge 194 “. La linea che ne emerge con chiarezza si
può sintetizzare nell’affermazione ricorrente
“dobbiamo restituire alla donna il diritto/la
libertà di non abortire”. Verità e Vita
parte invece da un altro assunto: “dobbiamo restituire al
figlio il diritto alla vita”. Sembrano la stessa cosa,
ma non è così. La prima proposizione presuppone la
possibilità dell’aborto. Magari nei casi gravi,
estremi, ma in fondo la contempla. Pur facendo leva su una
prevenzione forte, su una dissuasione efficace ad opera di
consultori da rinnovarsi, alla fine evidentemente prevede anche la
libertà di scelta. Gratta, gratta, viene fuori la posizione
pro choice.
La seconda proposizione mette chiaramente al centro il diritto del
figlio alla vita e il conseguente dovere della madre di non
abortire. E’ decisamente una posizione pro life.
Certo, nella cultura odierna così deteriorata da
trent’anni di legge abortista, occorre coraggio a non
lasciarsi tentare dall’uso di espressioni soft più
accattivanti, ma io credo che dobbiamo dire la verità tutta
intera, se vogliamo risalire la china e ricostruire
la”civiltà della vita e dell’amore” come
dice Giovanni Paolo II nella preghiera conclusiva
dell’Evangelium vitae.
Ti saluto cordialmente
Marisa Orecchia
Vice presidente di Verità e Vita