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Chi ha scritto davvero il progetto Calabrò?

2010-02-8

Il testo permette ai sani di decidere della vita e della morte dei malati e degli incapaci… Preoccupa constatare che di queste previsioni il mondo pro-life e il mondo cattolico tace, ignorandole

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1. “Il progetto
Calabrò è una buona proposta”: così, abbiamo visto, il Presidente del Movimento
per la Vita giudica il progetto di legge approvato dal Senato della Repubblica
e attualmente in discussione alla Camera dei Deputati, auspicandone la rapida
approvazione senza alcuna modifica, per evitare la necessità di un ritorno
del testo al Senato.


 


Nel Manifesto Appello, il Comitato Verità e Vita, in modo puntuale,
indica quelle norme del progetto che, di fatto e di diritto, introducono –
almeno in parte – l’eutanasia nel nostro sistema giuridico; sottolinea,
soprattutto che – contrariamente a quanto viene fatto trasparire a livello di
mass media – il progetto non riguarda soltanto le dichiarazioni anticipate di trattamento,
ma tocca questioni del tutto diverse e, in definitiva, permette ai sani di
decidere della vita e della morte dei malati e degli incapaci, esattamente come
accadde quanto alla decisione del padre – tutore di Eluana Englaro.


Preoccupa constatare che di queste previsioni il mondo pro-life e il mondo cattolico tace,
ignorandole: come se l’unico punto su cui combattere fosse quello concernente
l’inserimento nel testamento biologico dell’interruzione della nutrizione e
idratazione artificiale; con il rischio di scoprire che si tratta poco più che
uno specchietto per le allodole, mentre i nemici della vita e fautori
dell’eutanasia ottengono il risultato sperato inserendo ben altre previsioni.


2. In
questo scritto ripercorriamo le norme che il Comitato stigmatizza nel Manifesto
Appello per scoprire, in primo luogo,
chi
le ha scritte davvero
.


 


Come è nato infatti il progetto Calabrò? Il sen. Calabrò era relatore
del progetto di legge alla Commissione Igiene e Sanità del Senato che ha per
prima esaminato il testo di numerose proposte di legge: la sua prima opera è
stata quella di collazionare il testo di tutte le proposte, verificarne le
coincidenze e le divergenze, proporre un testo base unitario su cui discutere
per giungere ad un progetto da proporre all’Assemblea.


Come si vede, quindi, proprio da come si è avviata la discussione
parlamentare – molti progetti di segno nettamente diverso di cui, in prima
battuta, doveva essere fatto una sorta di collage
– era del tutto prevedibile che nel progetto approvato definitivamente dal
Senato (e che ora si cerca di approvare senza modificazioni alla Camera) si
potessero rintracciare brani presenti nell’uno o nell’altro progetto.


 


Ma, siccome l’attività parlamentare non è semplice combinazione di
proposte diverse ma, piuttosto, contrapposizione – a volte accesa – tra
ideologie e opinioni politiche, morali e sociali del tutto diverse, sotto
questo collage sta un braccio di ferro: lo avrà vinto chi, a
progetto definitivo approvato, sarà riuscito a far transitare nel testo della
legge quelle previsioni che qualificavano il proprio disegno.






E allora: chi ha vinto il braccio di ferro conclusosi al Senato?


3. Analizziamo le norme che attribuiscono ai tutori degli incapaci,
agli amministratori di sostegno e ai genitori dei figli minori il potere di
decidere le terapie mediche da erogare o da non erogare – o da interrompere – agli
interdetti, agli assistiti e ai figli minori.


 


Parliamo dell’ipotesi “classica” di eutanasia: ad una persona viene
attribuito il potere di decidere la vita e la morte di un’altra persona che non
può farlo autonomamente e la decisione viene presa in ragione delle condizioni
di salute della vittima; o meglio: i motivi della decisione di uccidere – o di
lasciar morire mediante l’omissione di terapie o alimentazione – sono lasciati
a colui che deve decidere, cui viene attribuito lo ius vitae ac necis (il diritto di vita e di morte) che il mondo
antico attribuiva ai padroni sugli schivi e ai genitori sui neonati.


L’eutanasia (venuti meno, fortunatamente, i motivi che spingevano ad
eliminare individui in ragione della loro razza) è questa: non è soltanto
l’uccisione pietosa di colui che chiede di essere ucciso oppure l’aiuto
prestato allo stesso a suicidarsi; al contrario il suicidio assistito e l’omicidio
pietoso sono atti che si muovono già dentro una valutazione negativa di
determinate condizioni di vita: in fondo, se si permette ad un paziente
particolarmente grave e sofferente di farsi uccidere legalmente, si intende che
la sua morte non è un male per la società; anzi, forse è un bene che deve essere perseguito anche in mancanza di una
richiesta espressa.


 


La legalizzazione dell’eutanasia costituisce, in definitiva, una
eccezione al divieto di omicidio volontario, che la legge penale sanziona severamente,
così come la legalizzazione dell’aborto pone delle eccezioni al divieto di
uccidere i bambini prima della nascita (nel caso della legge 194, tale
eccezione è così ampia da permettere l’uccisione dei bambini fino al momento in
cui essi hanno possibilità di vita autonoma; nei paesi in cui è ammesso
l’aborto “a nascita parziale” si supera anche questa barriera).


Come raggiungere questo risultato? Per i limiti costituzionali e anche
per motivi di sensibilità generale non è (per il momento?) possibile porre
eccezioni esplicite al divieto di uccidere esseri umani (non è possibile, cioè,
riscrivere la norma sull’omicidio volontario, ad esempio, in questo modo:
“chiunque cagiona la morte di un uomo, salvo
che si tratti di soggetto in stato vegetativo o di neonato prematuro a rischio
di gravi disabilità
, è punito con la pena non inferiore a ventuno anni di
reclusione”).


Si deve, allora, passare attraverso la omissione di cura delle
malattie o addirittura attraverso la mancata nutrizione e idratazione a coloro
che non sono in grado di nutrirsi e idratarsi da soli; omissione che – per
coloro che perseguono l’obbiettivo dell’eutanasia – deve essere possibile far
decidere ad altri.


 


Occorre, però, far sì che la decisione di non curare o di non nutrire
un incapace o un minore – decisione che, di fatto, ne provoca la morte – sia giuridicamente efficace, in modo da far
venir meno l’obbligo giuridico di curare e di nutrire.


Spieghiamo questo passaggio cruciale con qualche esempio: se una madre
(magari per la depressione post partum
ben conosciuta) fa morire suo figlio non dandogli da mangiare, senza che
nessuno se ne accorga, sarà responsabile di omicidio del figlio perché ha
omesso un comportamento – quello di nutrire colui che non poteva farlo da solo
e che era affidato alla sua cura – che era doveroso;
ella sarà colpevole così come lo sarebbe se uccidesse il figlio con una
coltellata: omettere un comportamento
doveroso e provocare la morte mediante questa omissione equivale a provocare la
morte con un comportamento attivo.
Allo stesso modo la madre sarà colpevole
di omicidio del figlio se, avendo il bambino una qualche patologia (magari una
forte influenza) che può essere curata a casa con medicinali (ad esempio
antibiotici) che il dottore ha regolarmente prescritto, decide di non
somministrare il medicinale al bambino cosicché la malattia si aggrava e, non
curato, alla fine il bambino muore.


L’esempio della madre e del bambino può essere allargato ad ipotesi
simili: ad esempio al padre di un figlio che, in conseguenza di un trauma, ha
perso conoscenza; o al figlio di un padre anziano colto da demenza senile e
ormai incapace di provvedere alle proprie necessità anche minime; sono tutti
casi (se ne possono trovare altri) in cui c’è una persona debole (a volte
malata, altre volte in una condizione di incoscienza oppure affetta da forte
handicap fisico o mentale) che necessita di terapie e di sostegno vitale per
sopravvivere e non è in grado di curarsi o nutrirsi da solo per la sua età, per
il suo stato di incoscienza, per le sue condizioni fisiche e mentali.


 


Il principio generale vigente è che è obbligatorio curare e nutrire queste persone: un medico di un
ospedale che si accorge che un anziano demente è affetto da broncopolmonite, lo
deve curare adeguatamente e non può omettere di prescrivergli gli antibiotici
sulla considerazione che, vista la condizione in cui si trova, davvero non vale
la pena prolungare una vita di quel genere (che, fra l’altro, fa soffrire i
congiunti e “blocca” un letto in corsia che costa molto al servizio sanitario);
e un neonatologo che ha in cura un neonato prematuro che, se sottoposto a cure
intensive, ha buone possibilità di sopravvivere, anche se rischia di riportare
qualche handicap, non può dire: “non lo mettiamo nell’incubatrice! Tanto, se
riusciamo a salvarlo, sarà un infelice!”; o l’infermiera o la badante che ha la
cura di un soggetto in stato di incoscienza irreversibile, non può decidere di
smettere di nutrirlo, pensando: “intanto, cosa cambia? Non tornerà mai alla
coscienza!”.


 


L’infermiera non può farlo … ma il tutore sì! Il caso Englaro, per la
prima volta in Italia (in altri paesi era già successo), ha creato una breccia
al principio generale che è obbligatorio curare e nutrire gli esseri umani che
non sono in grado di provvedere da soli alle proprie necessità: in forza dei
provvedimenti dei Giudici civili è stato, invece, attribuito ad un’altra
persona (appunto: il padre – tutore) il potere di rendere non più obbligatoria la nutrizione e l’idratazione del soggetto
incosciente: e se non erano più obbligatorie, la loro sospensione – che, di
fatto, ha provocato la morte di Eluana Englaro – non integra più il reato di
omicidio volontario, perché è stata una condotta autorizzata e lecita.


 






Ma, se il caso Englaro si basava su sentenze civili del tutto
inaspettate e decisamente discusse, dobbiamo attenderci il tentativo di
stabilire lo stesso principio per legge:
se il potere di decidere sulla vita e la morte dei loro assistiti viene
attribuita dalla legge ai genitori dei minori, ai tutori, agli amministratori
di sostegno, non ci sarà più bisogno di cause giudiziarie per ottenere il
risultato sperato e tutto rientrerà nella normalità


4. C’è un altro argomento che spinge i fautori dell’eutanasia a non
accontentarsi di sentenze e cercare di fare approvare una legge: la posizione
dei sanitari (medici e infermieri).


Per diffondere la pratica eutanasica occorre far sì che i medici e gli
infermieri non abbiano il potere di
erogare terapie necessarie agli incapaci o di fornire loro il sostegno vitale
nel caso i genitori o i tutori siano contrari e, contemporaneamente, che essi non corrano nessun rischio penale per la
morte dell’incapace non curato o non nutrito.


Solo così i sanitari non
potranno impedire l’eutanasia
e (almeno la maggioranza di loro) non vorranno impedirla: le morte dei
pazienti saranno eventi da cui usciranno con le mani pulite, eventi non attribuibili alla loro condotta (non
si deve tacere, d’altro canto, che è proprio parte del mondo medico ad essere
favorevole all’eutanasia degli incurabili o dei soggetti colpiti da handicap
fisici e psichici).


 






Questo obbiettivo era esplicitato, ad esempio, nel progetto di legge
Poretti e Perduca (radicali), uno di quelli su cui il sen. Calabrò doveva
lavorare: si prevedeva, in quel progetto, che “il mancato rispetto delle
volontà espresse (dal tutore o dall’amministratore di sostegno) è perseguibile
penalmente e civilmente a tutti gli effetti” (quindi la minaccia contro i medici riottosi), ma si assicurava ai sanitari
che rispettano le volontà “anche qualora ne derivi un pericolo per la salute o
per la vita del dichiarante” che essi sarebbero stati “esenti da ogni responsabilità, anche in deroga a contrarie
disposizioni di legge vigenti prima dell’entrata in vigore della presente
legge” (la tranquillità garantita al
medico che fa quello che deve fare …).


5. Come regolamenta il progetto Calabrò questo tema?


In particolare: quali limiti pone al potere dei rappresentanti legali
degli incapaci? Permette loro di rifiutare cure o nutrizione ai loro assistiti
così da provocarne la morte?


Quali poteri attribuisce ai sanitari rispetto al rifiuto delle cure
espresse dai rappresentanti? I medici potranno agire anche contro la loro
volontà per salvare la vita degli incapaci loro pazienti? Potranno agire anche senza il consenso espresso dai
rappresentanti? Quali rischi correranno?


Il progetto approvato al Senato contiene queste norme:


art. 2 comma VI: “In caso di
interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il
documento. In caso di inabilitato o di minore emancipato, il consenso informato
è prestato congiuntamente dal soggetto interessato e dal curatore. Qualora sia
stato nominato un amministratore di sostegno e il decreto di nomina preveda
l’assistenza o la rappresentanza in ordine alle situazioni di carattere
sanitario, il consenso informato è prestato anche dall’amministratore di
sostegno ovvero solo dall’amministratore. La decisione di tali soggetti
riguarda anche quanto consentito dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo
la salvaguardia della salute dell’incapace”


art. 2 comma VII: “Il consenso
informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli
esercenti la potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i
desideri e le richieste del minore. La decisione di tali soggetti riguarda
quanto consentito anche dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo
la salvaguardia della salute psicofisica del minore”


art. 2 comma VIII: “Qualora il
soggetto sia minore o legalmente incapace o incapace di intendere e di volere e
l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato così
come indicato nei commi precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza,
conformemente ai principi della deontologia medica nonché della presente legge.


Art. 2 comma IX: “Il consenso informato
al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona incapace
di intendere o di volere sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto”


art. 8 comma II: “L’autorizzazione
giudiziaria (da parte del giudice tutelare) è necessaria anche in caso di
inadempimento o di inerzia da parte dei soggetti legittimati ad esprimere il
consenso al trattamento sanitario”.


 


Come si vede, nel caso del tutore, egli si sostituisce ad ogni decisione
medica all’interdetto; lo stesso avviene per i genitori dei figli minori che
hanno solo l’obbligo di ascoltarne i desideri (senza essere in alcun modo
vincolati ad essi), ovviamente se il minore è in grado di esprimerli in ragione
dell’età. Tornando all’interdetto, dobbiamo ricordare che gli adulti vengono
interdetti non solo quando – come Eluana Englaro – hanno perso del tutto la
coscienza, ma anche se, in forza di infermità mentale, sono “incapaci di
provvedere ai propri interessi”: quindi può darsi che la persona anziana che
cammina accanto a noi per strada sia stata interdetta; circa le terapie, sarà
il tutore a decidere per lui.


Sia chiaro: ciò è del tutto ragionevole nell’ottica dell’aiuto
prestato al minore o all’anziano. Il problema non è quello di stabilire se un
genitore, dopo avere parlato con il dentista del figlio, possa decidere se
fargli mettere o meno l’apparecchio consigliato; piuttosto il problema sorge se
attribuiamo al genitore di un bambino malato di tumore il potere di decidere di
non fargli il ciclo di chemioterapia prescritto dai sanitari, oppure di non
sottoporlo a terapia intensiva neonatale se è nato prematuramente.


 


Quali poteri, allora? “La
decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’art. 3”
e quindi permette ai
tutori e ai genitori “la rinuncia … ad
ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di
carattere sproporzionato o sperimentale”
(art. 3 comma III) e ancora “la non attivazione di trattamenti sanitari,
purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di
deontologia medica”
(art. 3 comma II).






Quindi i rappresentanti possono rifiutare o rinunciare a terapie per
conto degli assistiti, se essi ritengono che si tratti di trattamenti sanitari sproporzionati.


6. Questo rifiuto può portare anche alla morte degli assistiti?

Purtroppo si: sono infatti vietate indicazioni dirette all’uccisione diretta
dei rappresentati (il tutore non potrà imporre ai medici di somministrare
all’interdetto una dose massiccia di tranquillanti per provocarne la morte), ma
nessuna norma nel progetto di legge dichiara inefficace il rifiuto di terapie
salvavita da parte del rappresentante legale.


 


Un parlamentare che, nel corso della discussione al Senato della Repubblica,
aveva ben presente questo tema, è la sen. Laura Bianconi, autrice del progetto
n. 1188 e che, in sede di discussione in Assemblea del progetto Calabrò, aveva
proposto alcuni emendamenti. Molto chiara era la portata di quelli relativi al
potere dei rappresentanti legali:


8-ter. Il consenso di cui ai
commi precedenti non può contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili
alla vita e alla salute del paziente.


8-quater. Il medico, ove ritenga
che il consenso contenga indicazioni in contrasto con il comma 8-bis, le disattende
indicando per iscritto i motivi nella cartella clinica.


 




Era una specie di
sfida all’Aula: “volete
aiutare i
minori e gli adulti incapaci oppure vi interessa soltanto permettere che altri
decidano di farli morire?” Nella seduta del 24/3/2009 la sen. Bianconi spiegava
che “
vorrei si
potesse fugare ogni possibile sospetto sul fatto che chi decide per altri non
sia tenuto a garantire sempre e comunque la salute del suo amministrato … Il
rischio che mi sembra possibile è, ad esempio, che un padre amorevole possa
disporre della vita del figlio così come potrà disporre della propria: questa
dilatazione potrebbe consentire facili interpretazioni su situazioni che
purtroppo abbiamo già visto in quest’Aula
”.

Ebbene: il relatore sen. Calabrò espresse parere contrario su questo
emendamento (così come il rappresentante del Governo, on. Giovanardi) e l’Aula respinse l’emendamento, di cui, infatti,
non vi è traccia nel testo finale del progetto di legge approvato.






Davvero non si può avere dubbi su quale fosse la volontà del Senato …











7. Qualcuno può sindacare la decisione del tutore o del genitore di

non attivare terapie salvavita? I medici possono fare a meno del loro consenso
e curare ugualmente il bambino o l’interdetto per salvare loro la vita?

Come si è visto, l’emendamento della sen. Bianconi proponeva che il
medico potesse disattendere le indicazioni dei rappresentanti legali, con
l’unico onere di darne conto nella cartella clinica: “questo intervento era
necessario per salvare la vita al paziente, il tutore o il genitore ha
rifiutato il consenso ma io, in forza della mia professionalità e della
missione che mi è affidata, mi prendo la responsabilità di curare ugualmente il
mio paziente”; quindi un medico preparato, coraggioso, capace di iniziativa
autonoma e, soprattutto, pronto a prendersi le proprie responsabilità.

Il quadro disegnato dalla sen. Bianconi comprendeva, fra l’altro, il
divieto di eutanasia “anche attraverso condotte omissive” e prevedeva
espressamente che “il medico non è responsabile se ha agito nell’interesse
della vita e della salute del paziente e nel rispetto dei criteri elaborati
dalla scienza medica”: ma anche questi emendamenti sono stati respinti
dall’Aula del Senato.

La lettura del testo del progetto Calabrò permette una facile risposta:
nessuno può sindacare i motivi per
cui il rappresentante legale rifiuta terapie salvavita per l’incapace e il
medico non può curare l’incapace in
presenza del rifiuto
.


Cosa può fare il medico? Egli può chiedere l’autorizzazione di curare
al giudice tutelare.

Può: non deve chiedere l’autorizzazione. E se non
la chiede e lascia morire il paziente non
rischia nulla
: la mancanza del consenso del tutore o del genitore, infatti,
fa venire meno l’obbligo di curare e, quindi, la eventuale morte del paziente non sarà conseguenza della sua omissione.

L’unica eccezione? Il pericolo di vita della persona incapace di
intendere e di volere, ma solo se essa consegue al “verificarsi di un evento acuto” (ad esempio: un incidente stradale,
con conseguente tentativo di rianimazione effettuato sul posto dal medico
dell’autoambulanza); se invece il pericolo di vita non consegue ad un “evento acuto” (ad esempio: un soggetto
in stato vegetativo affetto da una malattia polmonare che è in fase di
peggioramento), il consenso del rappresentante legale sarà necessario e il rifiuto di curare sarà efficace e dovrà
essere rispettato
.

E la nutrizione e idratazione artificiale? Il tutore non potrà
ordinarne la sospensione: potrà, però,
impedire ai sanitari di attivarla
, vietando l’inserimento del sondino
nasogastrico o della PEG.


8. Ciascuno può comprendere come questa regolamentazione altro non è
che la legalizzazione dell’eutanasia. Chi ne sono i padri?


Senza dubbio il testo segue quello contenuto della proposta di legge
del sen. Ignazio Marino che prevedeva:


“1. Il consenso al trattamento sanitario del minore è accordato o
rifiutato dagli esercenti la potestà parentale, la tutela o l’amministrazione
di sostegno; la decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo
la salvaguardia della salute psicofisica del minore.

2. Il consenso al trattamento sanitario del minore non è richiesto
quando il minore stesso versi in pericolo di vita a causa del verificarsi di un
evento acuto….

4. Il consenso al trattamento sanitario del soggetto maggiore di età,
interdetto o inabilitato, legalmente rappresentato o assistito, ai sensi di
quanto disposto dal codice civile, è espresso dallo stesso interessato
unitamente al tutore o curatore”


e, quanto
all’impossibilità per il medico di curare il minore o l’interdetto nonostante
il rifiuto dei rappresentanti legali, prevedeva:

“L’autorizzazione giudiziaria è necessaria in caso di inadempimento o
di rifiuto ingiustificato di prestazione del consenso o del dissenso ad un
trattamento sanitario da parte di soggetti legittimati ad esprimerlo nei
confronti di incapaci”
.

Il sen. Marino, nella
relazione esplicativa, dimostrava chiaramente di considerare determinate
condizioni di vita “inaccettabili”, degne di essere fatte cessare: “Ogni giorno i medici sono posti di fronte a
scelte drammatiche quando per un paziente non c’è più una ragionevole speranza
di recuperare l’integrità intellettiva ed una vita indipendente dalle
apparecchiature e dalle terapie che la sostengono. La tecnologia attuale è in
grado di mantenere in vita malati per i quali in passato non c’era nulla da
fare, permettendo di prolungare artificialmente la vita di una persona che ha
perso ogni risorsa, che non ritroverà mai più una condizione accettabile di
salute, e tutto questo rende sempre più drammatico il problema
dell’interruzione volontaria delle terapie al fine di evitare l’accanimento
terapeutico”.

Come si vede se una
persona “non ritroverà mai più una condizione accettabile di salute”, la sua
vita viene “prolungata artificialmente”. Ciò non deve accadere se già in altri
paesi “evoluti”


“interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di
riportare il paziente ad una condizione di vita accettabile non solo è una
prassi comune nelle strutture sanitarie, ma è una possibilità prevista da
regole precise, rispettate dagli operatori sanitari senza suscitare alcun
clamore”
.

Senza clamore lasciamo
che siano fatti morire: questo auspicava il sen. Marino.

Ma il principio per cui
il medico non può operare di sua iniziativa e deve – sempre – rispettare la
volontà del paziente, non appartiene solo al sen. Marino: si è già visto come
il progetto di legge radicale della sen. Poretti minacciasse addirittura
sanzioni penali per il medico che agisse secondo la propria coscienza e la
propria professionalità; come dimenticare, poi, la proposta del sen. Veronesi
su questo punto (il progetto, peraltro, non toccava il punto dei rappresentanti
legali degli incapaci):






Medici e operatori sanitari sono tenuti a rispettare le volontà
espresse anticipatamente dalla persona. Qualora il medico non condivida il
principio del diritto al rifiuto delle cure, si astiene dal curare il malato,
lasciando il compito assistenziale ad altri


Il medico deve eseguire
le decisioni altrui; se non è d’accordo, si faccia da parte …


9. Ecco che su questo
primo punto essenziale – ma nascosto all’opinione pubblica – il progetto di
legge Calabrò mostra di essere figlio di concezioni assai diverse – anzi:
contrapposte – a chi proclama di essere un difensore della vita.




Davvero quel progetto è
una “buona proposta”?


Cosa scopriremo
esaminando gli altri punti di quella che rischia di diventare legge dello
Stato?


 


Giacomo Rocchi

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