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Bagnasco e l’approvazione di una legge sul “fine vita”

2008-09-27

Il commento di Francesco Mario Agnoli – pubblicato su La Voce
di Romagna del 26-09-2008

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Il cardinale Bagnasco ha scelto per il discorso di apertura dei
lavori della Conferenza episcopale italiana un argomento difficile,
auspicando l’approvazione di una legge sul “fine vita”,
sperabilmente sostenuta dal “consenso più
ampio”. Un auspicio immediatamente inteso come un’apertura
della Chiesa cattolica al cosiddetto “testamento
biologico”. Apertura che è stata favorevolmente
accolta dai politici cattolici di maggioranza e opposizione, ma ha
anche suscitato fortissime reazioni all’interno del mondo
cattolico. In particolare l’associazione Verità e Vita
(molti dei suoi componenti sono attivi anche nel Movimento per la
Vita) l’ha definita un clamoroso autogol, dettato da motivazioni
essenzialmente politiche, e in contrasto con la posizione assunta
in tutti questi anni dalla Chiesa cattolica sul testamento
biologico, strumento per la legalizzazione dell’eutanasia.

I cattolici di Verità e Vita ritengono, difatti, l’eutanasia
l’inevitabile approdo del testamento biologico, che presuppone il
riconoscimento dell’autodeterminazione e della
disponibilità del bene della vita, con una conseguente
profonda modificazione anche del rapporto paziente-medico, il cui
intervento non sarebbe più legittimato dal “bene del
paziente”, ma dalla “volontà del
paziente”. Oltre tutto nemmeno si evita l’accanimento
terapeutico, ma se ne rende il concetto del tutto soggettivo,
“slegato dalla condizione di malato terminale e (si) permette
ad altri di decidere se quel malato (l’anziano in stato di demenza
senile, il giovane in stato vegetativo persistente e così
via) è sottoposto a quello che essi ritengono essere
accanimento terapeutico”. In conclusione, “riconoscere
valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono
la cessazione di cure non ridurrà affatto l’accanimento
terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo
momento è illecito, l’omicidio del
consenziente”.

Fortemente critico anche il “Foglio” di Giuliano
Ferrara, che parla di “una risposta intimidita e confusa alle
istanze della cultura post-moderna, un’acquiescenza al relativismo
soggettivista, che affida alla volontà soggettiva delle
persone la scelta insindacabile su come si debba
morire”.

Un dissenso così deciso ha scatenato onde di tempesta
all’interno del mondo cattolico. A difesa di Bagnasco e della Cei
sono intervenuti, fra gli altri, il suo predecessore e due giuristi
di livello nazionale come Francesco D’Agostino e Alberto Gambino,
sostenendo che basta leggere le esatte parole di Bagnasco per
rendersi conto che “in nulla e per nulla avallano
l’interpretazione di Ferrara”. Il presule non avrebbe inteso
promuovere l’approvazione del testamento biologico (in effetti mai
nominato nel suo intervento), ma si sarebbe solo preoccupato di
porre riparo al vuoto legislativo che ha consentito la sciagurata
sentenza con la quale la Cassazione, ha condannato alla morte per
fame e per sete Eluana Englaro Una sentenza che, secondo
D’Agostino, “ha di fatto introdotto l’istituto del testamento
biologico (e per di più in forma anche verbale!), alterando
profondamente il principio etico e giuridico del rispetto assoluto
dovuto alla vita umana”.

Resta il fatto che, nonostante la tradizionale prudenza dei
principi della Chiesa (forse non più di moda) prudenza
l’intervento di Bagnasco non deve essere stato così chiaro
se non solo Ferrara, criticamente, ma, approvando, Talamo sul
“Messaggero”, Rodari sul “Riformista” e
molti altri vi hanno visto un’apertura al testamento biologico. Per
di più appare quanto meno discutibile la presenza di un
vuoto legislativo, L’art. 579 del codice penale punisce l’omicidio
del consenziente e l’art. 580 chi determina altri al suicidio o ne
rafforza il proposito o ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione.
Esiste invece, purtroppo (questa sì) la sciagurata sentenza
sul caso della povera Eluana Englaro, ma questa è sintomo ed
espressione della crescente tendenza del giudiziario a ritenersi di
fatto “legibus solutus” e ad assumersi compiti e poteri
propri del legislativo (si pensi alla recente condanna di un
professore per avere minacciato di bocciatura un alunno
indisciplinato o alla semi-autorizzazione ad imporre ai figli il
solo cognome della madre). Si tratta di un problema diverso e
più vasto, che per essere risolto esige un ripensamento
(magari in sede di riforma della giustizia) dei rapporti fra poteri
dello Stato. Fino ad allora è difficile pensare che
l’eventuale legge sul “fine vita” riesca più
vincolante del codice penale, tanto più che, come è
stato osservato, una volta lanciata la palla nell’agone
parlamentare è difficile prevedere cosa, fra compromessi
bipartisan ed emendamenti, ne uscirà. O forse è fin
troppo facile. Non per nulla i “laici” avvezzi a
strapparsi le vesti per le interferenze della Chiesa questa volta
hanno osservato un rispettoso silenzio.



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