
Degna sepoltura per i bimbi non nati
di Francesco Agnoli su La Bussola Quotidiana
La notizia non è nuova, ma ha ora un certo rilievo sui
grandi media: a Caserta, l’associazione Difendere la vita con
Maria, fondata e presieduta da don Maurizio Gagliardini, ha siglato
un protocollo di intesa, approvato con delibera del 22 luglio 2011,
con l’Azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano, per promuove
il seppellimento dei «bambini non nati».
Il sindaco della città ha
dato la propria disponibilità a concedere un apposito
spazio nel cimitero cittadino, ma, come sempe in questi
casi, si è levata, violenta e intollerante, la voce di
alcuni protestatari – rappresentati dal sindacato medico Fp-Cgil
Medici – che sono divenuti, per il Corriere della Sera, “i medici”
tout court. Il che non dovrebbe essere, dal momento che nel nostro
Paese la maggioranza dei ginecologi sono obiettori e quindi
ritengono l’aborto quantomeno qualcosa di negativo. Secondo
il sindacato di sinistra, si tratterebbe di «violenza
psicologica sulle donne da fermare».
A queste lamentazioni, si è
unito, puntuale e immancabile, l’anatema dei Radicali,
con un comunicato di Maria Antonietta Farina Coscioni, che comincia
così: «Apripista è stata la regione Lombardia
di Formigoni, che ha varato provvedimenti che vanno ben oltre le
sue competenze disponendo la sepoltura dei feti come fossero esseri
umani e mettendo in essere una vergognosa speculazione».
Perché tanta rabbia, tanto ingiustificato livore?
A Caserta, infatti, non è
successo nulla di nuovo, sia perché la sepoltura dei feti,
morti per aborto spontaneo, o uccisi tramite ivg, è
già realtà in varie zone del nostro paese, come,
appunto, la Lombardia, sia perché nulla cambia, dal punto di
vista della legge 194, in quanto l’aborto procurato rimane
libero e gratuito, esattamente come prima. Cerchiamo di capire come
stanno i fatti.
Nel nostro Paese è previsto
il seppellimento dei feti superiori alle 20 settimane, le
cui fattezze umane così evidenti e visibili impediscono
anche ai più cinici di gettare questi resti umani
nell’inceneritore. Un dpr del 21 ottobre 1975, n. 803,
stabilisce, all’articolo 7, «su richiesta dei genitori
il seppellimento anche dei prodotti di concepimento abortivi di
presunta età inferiore alle 20 settimane». Proprio
sulla base di questo dpr, l’allora ministro alla
Sanità Donat Cattin emanò la circolare telegrafica
n.500/2/4 del 13 marzo 1988, tutt’ora in vigore, in cui si
stabiliva la sepoltura di feti anche in assenza di richiesta dei
genitori, e si ricordava che «lo smaltimento attraverso rete
fognante o i rifiuti urbani ordinari costituisce violazione del
Regolamento di polizia mortuaria e del Regolamento di
igiene», mentre lo «smaltimento attraverso la linea dei
rifiuti speciali, seppur legittimo, urta contro i principi
dell’etica comune».
Il dpr n. 285 del 1990 prevede
ugualmente che i bambini, definiti «prodotti
abortivi», di età gestazionale dalle 20 alle 28
settimane vengano sepolti a cura della struttura ospedaliera. A
richiesta dei genitori possono essere raccolti nel cimitero, con la
stessa procedura, i resti di «prodotti del
concepimento» di età inferiore alle 20 settimane. In
questo caso i genitori, a titolo proprio, o associazioni come
quella fondata da don Gagliardini, attraverso convenzioni mirate,
possono raccogliere i resti dei bambini non nati e chiedere
all’unità sanitaria locale i relativi permessi del
trasporto e del seppellimento. Infine dovranno accordarsi con i
servizi cimiteriali, per l’atto di pietà
dell’inumazione.
Riassumendo: i feti oltre le 20
settimane hanno automatico diritto alla sepoltura, anche se
sovente questo avviene con ben poca cura (in modo anonimo,
cumulativo, senza possibilità di conoscere il luogo), mentre
per quelli più piccoli sarebbe richiesta un’analoga pietas,
trattandosi pur sempre di resti umani, ma nella realtà dei
fatti essi finiscono spesso bruciati nell’inceneritore
insieme ai “rifiuti speciali”, quando non buttati, come un tempo
avveniva sicuramente più spesso, nelle fogne.
«La nostra associazione -
spiegano Maria Luisa e Francesca, dell’associazione
Life di Ospedaletto Euganeo, che si occupa proprio della
sepoltura dei feti – è cominciata agli inizi del 2000 in
seguito alla richiesta di una madre, che aveva perso il proprio
bambino nelle prime settimane di gestazione. Questa madre
desiderava sapere se poteva salutare il suo bambino attraverso un
rito religioso. Da allora abbiamo capito l’importanza di
venire in aiuto al dolore di alcune madri, e nello stesso tempo di
compiere un atto dovuto a creature umane. Proprio in questi giorni
una famiglia che si trova nel dolore per la perdita del proprio
figlio, ha richiesto di poter seppellire il proprio bambino, morto
a 18 settimane di gestazione, e ha richiesto il nostro aiuto. Il
rito ha avuto luogo giovedì 12 maggio alle ore 8.30 presso
l’ospedale di Monselice», che è uno dei tanti,
oltre a quello di Caserta, ad aver riconosciuto questa
possibilità.
La sepoltura dei feti non è
però, come si potrebbe pensare, un sollievo solo per le
madri che hanno visto morire un bambino desiderato, e che
per questo sentono il dovere di tributargli un ultimo gesto di
affetto. Può esserlo anche per quelle che, essendosi
sottoposte all’aborto procurato (spesso spinte da qualcuno,
dalla solitudine, dalle circostanze, da una cultura
disumana…), sono poi cadute, come spesso accade, in un
profondo stato di desolazione, e cercano quantomeno un luogo in cui
piangere, per non essere del tutto impotenti di fronte al fantasma
del loro bambino, rimpianto e perduto, ma non scomparso dal loro
cuore.
Rimangono a questo punto da proporre alcune considerazioni.
La prima: gli abortisti aborrono
la sepoltura dei feti, tirando in ballo contro di essa ora
“i costi”, ora la “violenza psicologica sulle donne”, perché
seppellire un feto significa riconoscergli una dignità.
Significa riconoscere che è un essere umano.
Invece la mentalità abortista, ben esemplificata nella frase
menzognera della Coscioni («…feti come fossero esseri
umani…»), vuole che questo non avvenga: lotta
perché nell’immaginario collettivo, nonostante le
evidenze scientifiche, accessibili con qualsiasi ecografia, un feto
rimanga un “grumo di cellule”, un qualcosa di indistinto, di
inumano; lotta perché abortire o partorire siano due
decisioni esattamente equivalenti, in ogni circostanza. Per questo
gli abortisti devono negare completamente la realtà del
bambino nell’utero materno, ad ogni stadio, e anche dopo la
morte.
La seconda considerazione porta un
po’ più lontano, al senso stesso della vita e
della morte, e quindi anche della sepoltura. Un poeta ateo come Ugo
Foscolo notava che «dal dì che nozze tribunali ed are
dier alle umane belve esser pietose di se stesse e
d’altrui», gli uomini provvidero a seppellire i loro
morti, sottraendoli alle ingiurie degli animali e degli agenti
atmosferici. Foscolo riteneva che gli uomini fossero solo materia:
eppure, dimostrando una lodevole e significativa incoerenza, negava
potesse essere “civile” una società che sottrae ai suoi
morti un ultimo tributo. La sepoltura è infatti un segno
chiaro della dignità umana.
Solo gli uomini, infatti,
seppelliscono i loro simili, dalla notte dei tempi. Le
bestie mortali non lo fanno. Uno scienziato contemporaneo,
anch’egli ateo, come Edoardo Boncinelli sostiene che tutto
ciò che esiste, in un universo, anche umano, solo materiale,
è sempre in vista di qualche utilità concreta.
Eppure, nota in un suo libro, il fatto che gli uomini abbiano
sempre seppellito i loro defunti, è, da un punto di vista
puramente naturalistico e materialistico, ingiustificabile,
incomprensibile. A meno che, diciamo noi, non si riconosca che
l’uomo, da sempre, ha visto nei suoi cari qualcosa di
più della loro carne, della loro materia: cioè una
vita spirituale, un destino eterno, immortale.
Ecco, coloro che seppelliscono
oggi i feti abortiti, spontaneamente o in modo procurato,
saranno un giorno ricordati per la loro coraggiosa testimonianza:
si dirà che in un’epoca di disumanità – che ha
partorito lager e gulag, guerre mondiali e sperimentazioni sugli
uomini, tentativi di clonazione e pompe Karman per fare a pezzi i
bambini -, qualcuno ha lottato, con gesti simbolici e umanizzanti,
per affermare la dignità di ogni singolo uomo, piccolo o
grande, di 20 settimane o di 25, sano o malato che fosse. Si
dirà che in tempi di feroce ateismo, quando la legge di Dio
è stata sostituita dal capriccio e dall’arbitrio di
ogni singolo uomo, cioè dalla legge del più forte,
qualcuno ha voluto tener viva la sacra pietas e, con essa, la
differenza che corre tra le cose e le persone, tra un tumore
strappato dalla carne, e gettato nel water o tra i “rifiuti
speciali”, e un bimbo, strappato, suo malgrado, dal grembo di
sua madre e dal cuore di suo padre.