Seleziona Pagina

ABORTO E LEGGE 194: La corte costituzionale se ne lava le mani

Comunicato Stampa N. 129

I silenzi e i compromessi del mondo pro life italiano hanno fatto da humus a 30 anni di sentenze pilatesche della Consulta
 
La Corte Costituzionale ha per l’ennesima volta rispedito al mittente un’eccezione di incostituzionalità alla legge 194. Legge che in 30 anni ha fatto 5 milioni di morti innocenti, abortiti a spese dello Stato negli ospedali pubblici.
Dai giudici della Consulta, chiamati a pronunciarsi dal giudice di Spoleto sulla costituzionalità della legge 194, ci aspettavamo un colpo d’ala che li riscattasse finalmente da un trentennio di ignavia. Un lungo periodo durante il quale, sollecitati più volte ad esprimersi nel merito, i giudici costituzionali si sono sempre lavati le mani, sostenendo che la Corte non può pronunziare alcuna decisione dalla quale derivi la creazione di una nuova fattispecie penale.
A dare qualche motivo di speranza era la sentenza n.35 del 1997 con la quale la Consulta dichiarava illegittimo il referendum radicale volto a far cadere le poche fragili barriere che la 194 conserva a difesa del concepito il quale – dichiarava proprio la Consulta – ha diritto alla vita.
Neppure il pronunciamento della Corte Europea di Giustizia che nell’ottobre scorso ha dichiarato l’embrione umano non brevettabile, è servito a dare un po’ di coraggio ai nostri “tutori della Costituzione” i quali, ancora una volta, hanno fatto quadrato a difesa di una legge che è un capolavoro quanto a violazione dei diritti fondamentali della persona.
Una legge che calpesta il diritto del figlio, consegnato alla volontà insindacabile della madre in una sorta di ius vitae ac necis di romana memoria; e che calpesta il diritto del padre del concepito a pronunciarsi sulla sorte del figlio, e quello dei genitori, la cui figlia in minore età può abortire a loro insaputa.
Una legge che dimostra, come da manuale, che quando il diritto naturale non sta più alla base del diritto positum la convivenza civile viene minata nei suoi fondamenti più sacri e violenza e sopruso divengono triste quotidiana consuetudine.
L’aborto libero, il comodo rifiuto del figlio scomodo, grazie alla legge “integralmente iniqua”, è ormai una triste realtà di costume.
Ma la pavidità della Corte Costituzionale è anche il frutto del progressivo processo di omologazione e di annacquamento del movimento pro life in Italia; tutti sanno, infatti, che la Consulta è esposta a molteplici forme di pressione politica e culturale che ne orientano le decisioni.
Ora, da molti anni autorevoli esponenti del mondo cattolico e del mondo pro life hanno smesso di attaccare la legge 194, sostenendo che essa è una legge “che contiene parti buone”; che “va applicata tutta”;
che “è stata applicata male”; che “non vogliamo cambiare o abolire la 194”. Questo festival del compromesso politico ha generato un clima surreale, nel quale gli oppositori della legge sono rimasti un’esigua minoranza, censurata dagli stessi organi di informazione di area cattolica.
Dobbiamo dire con molta chiarezza che, per paradosso, i più preoccupati del ricorso del Giudice di Spoleto erano proprio gli ambienti cattolici compromissori: infatti, se la Corte costituzionale avesse dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 della 194, ne sarebbe scaturito un terremoto politico e giuridico.
Sarebbe sorto il problema di come riscrivere la legge sull’aborto, vietando almeno in parte ciò che oggi è permesso; ma per vietare occorre minacciare sanzioni per chi contravviene alla norma; e dunque sarebbe stato necessario riprendere in mano il tema della punibilità dell’aborto; ma una fetta importante del mondo cattolico e del mondo pro life non vuole nemmeno sentir parlare di “punibilità dell’aborto”.
Questa è, purtroppo, la sconcertante conclusione cui dobbiamo giungere oggi: il mondo pro life ufficiale vuole che lo status quo non sia modificato, vuole proseguire con le azioni – meritorie – di aiuto socio-economico-psicologico alla maternità; ma non vuole promuovere uno scontro pubblico culturale e
politico intorno al principio di autodeterminazione della donna. La “scelta” è diventato il paradigma fondamentale di non pochi operatori pro life, seppure declinata nella versione della “scelta per la vita”.
Ecco perché, per paradosso, la non-decisione della Corte Costituzionale ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quegli ambienti che, teoricamente, dovevano tifare per la dichiarazione di incostituzionalità.
Una piccola prova del nove: i giornali laici e abortisti hanno dedicato alla decisione della Corte moltissimo spazio, mentre Avvenire – il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana – ha trattato il ricorso del Giudice di Spoleto con imbarazzata discrezione. E all’indomani della sentenza, sempre sul giornale della Cei si poteva leggere una rassicurante intervista al Ministro della Salute Renato Balduzzi – in “quota cattolica” al Governo tecnico Monti – che diceva: “La legge 194 è una legge dello Stato, e quindi va applicata in tutte le sue parti”. Titolo dell’articolo: “Balduzzi: applicare tutta la 194”. Ecco: questa è diventata la “linea” da tenere. E chi non la rispetta – come i 15.000 scesi in piazza a Roma per la Marcia nazionale per la vita – semplicemente non esiste.
In uno scenario del genere, nessun giudice della Consulta alzerà la mano per dire “io non ci sto”.
L’ultimo in ordine di tempo a farlo fu Antonio Baldassarre. Significativamente, non si trattava di un giurista cattolico, ma di un laico in quota alla sinistra.

Circa l'autore