Seleziona Pagina

Approfondimento in ordine alla relazione del Ministro della Salute


Approfondimento in ordine alla relazione del Ministro della Salute

 

1. Le polemiche dei giorni scorsi provocate dalla Relazione del Ministro della Salute si sono concentrate su una sola questione: la minore produttività delle tecniche di fecondazione in vitro in conseguenza del divieto di produrre più di tre embrioni e dell’obbligo di trasferirli tutti nel corpo materno. Il Ministro ha orientato la presentazione dei dati in modo tale da dimostrare che i divieti e gli obblighi della legge 40 hanno comportato minor successi, maggiore quantità di gravidanze gemellari e plurime, maggiori quantità di aborti spontanei o di problemi per i bambini giunti alla nascita; dalla parte opposta – la parte che ha vinto la battaglia dell’astensione al referendum – si sono contestati questi dati e si è sottolineato come la legge 40 riduca il numero degli embrioni perduti e come le nascite siano aumentate rispetto al 2003.

Gli ulteriori dati presenti nella Relazione sono stati in sostanza taciuti.

2. Qui si vuole, invece, provare ad andare più a fondo nell’analisi dei dati, per riuscire a proporre un giudizio sull’attuazione della legge 40 e, quindi, sulla legge stessa.

Occorrono, però, criteri di giudizio: i numeri (se sono esatti: e si vedrà che ciò non è affatto certo) sono sì, un dato oggettivo che non si può eludere, ma possono – debbono – essere interpretati sulla base delle opzioni di valore di chi li analizza. L’operazione di analisi e di contrapposizione delle diverse analisi è legittima e stimolante purché chi propone un giudizio esponga con chiarezza i criteri di valore che lo portano a formulare certe ipotesi.

Quali sono i criteri che muovono il Ministro della Salute? In un passo della Relazione si richiamano i principi della tutela della salute delle donne e la tutela degli embrioni. Ma che – letteralmente – degli embrioni al Ministro non importi nulla, si deduce dalla soluzione che la Relazione, quasi a chiare lettere, propone: ritornare a produrre più embrioni, trasferire solo quelli che hanno maggiori probabilità di successo nella gravidanza e congelare gli altri; salvo poi scoprire dagli stessi dati che la percentuale di sopravvivenza degli embrioni congelati che vengono reimmessi nel ciclo della fecondazione è di uno (1) a dieci (10), nel senso che nove embrioni scongelati su dieci muoiono.

Ma, d’altro canto, forse il Ministro non li vuole nemmeno scongelare, perché si tratta di embrioni inadatti; forse vuole farne qualcos’altro …

3. Per valutare correttamente i dati della Relazione occorre, quindi, tornare al giudizio sulle pratiche di fecondazione artificiale che la legge 40 regola: sono pratiche buone, perché aiutano le coppie che non riescono ad avere figli a coronare il loro legittimo desiderio, o sono pratiche cattive, e perché?

Chi scrive propone (con tremore, non essendo un esperto) una distinzione tra riserve di carattere strettamente etico-religioso – tutte le pratiche sono cattive perché inducono ad una separazione tra il concepimento e l’atto sessuale coniugale e costringono l’uomo e la donna a pratiche umilianti – e riserve che si fondano sulla tutela di valori universali che sono comuni a tutti gli uomini: la tutela di ogni vita umana, la dignità e la libertà di ogni essere umano in quanto tale, il divieto di discriminazione su base genetica, la tutela della razza umana così come è stata creata.

Questa distinzione permette un giudizio benevolo – potrei dire “compassionevole” – nei confronti delle pratiche di inseminazione artificiale, purché eseguite nell’ambito di una coppia eterosessuale stabile (fecondazione omologa), ma impone un giudizio recisamente negativo, senza alcun distinguo, per tutte le pratiche di fecondazione extracorporea, nelle quali l’embrione viene prodotto in vitro.

Si dirà: sono pur sempre tecniche artificiali.

In realtà la creazione in vitro dell’uomo produce un drammatico salto di qualità rispetto alle tecniche di inseminazione artificiale: l’embrione diventa un “prodotto” da analizzare, migliorare, scartare se difettoso, congelare; diventa materiale da utilizzare per esperimenti di ogni tipo; ne viene, in definitiva, negata l’appartenenza alla specie umana.

I tentativi di escludere dal novero degli embrioni una parte di essi sono ricorrenti: dal “preembrione” (nei primi 14 giorni), all’ootide (l’embrione prima della fusione dei due pronuclei), ma anche all’embrione congelato “non più impiantabile”, perché in quello stato da troppo tempo e quindi con minime possibilità di riuscita nella procedura di scongelamento e trasferimento. Insomma: per i pratici di queste tecniche vi sono sempre “entità” che non sono ancora embrioni oppure non sono più embrioni (qualcuno ha sostenuto che gli embrioni non più impiantabili sono “sostanzialmente morti”!).

Ma si tratta di tentativi che rispecchiano una ideologia di fondo: i tecnici della fecondazione in vitro hanno sempre prodotto un surplus di embrioni, li hanno selezionati (la diagnosi genetica preimpianto è stata creata a questo scopo), hanno trasferito solo quelli ritenuti più adatti e hanno soppresso o utilizzato tutti gli altri per scopi diversi, se del caso congelandoli; pratiche incompatibili con il riconoscimento di qualsiasi dignità a ciascun embrione in sé.

Che si tratti di pratiche che non tengono conto della vita degli embrioni è dimostrato dalle statistiche che indicano la sopravvivenza di quelli prodotti nel rapporto di 1 a 10 e, in certi casi, ancora inferiore. Le pratiche di fecondazione extracorporea sono quindi pratiche occisive, che presuppongono la morte della stragrande maggioranza degli embrioni prodotti.

Non basta: si tratta di pratiche che portano in sé il gene del razzismo e della discriminazione, poiché l’opera di selezione cerca di impedire la nascita di bambini “imperfetti”, o malati.

Si tratta, poi, di tecniche che, pur create per soddisfare il desiderio di genitorialità, non sono affatto conformi all’interesse delle coppie che vi ricorrono: uomo e donna diventano niente di più che produttori di gameti, sottoposti a pratiche umilianti, dolorose e anche pericolose; la donna diventa, poi, davvero un “contenitore” di embrioni da monitorare e – nella visione delirante di qualche pratico di queste tecniche – da sostituire con un utero artificiale (ectogenesi).

In realtà sul desiderio delle coppie di avere un figlio ha la netta prevalenza l’interesse degli “scienziati” a sperimentare e manipolare un “materiale” vivo e umano “interessantissimo” e ottenibile a basso prezzo (al contrario degli embrioni animali, rarissimi e costosissimi): si pensi alla clonazione e alla tematica delle cellule staminali embrionali e si capirà come i distinguo sull’essere alcuni embrioni o meno, così come l’interesse – meglio: l’appetito – nei confronti degli embrioni congelati in stato di abbandono sono finalizzati allo scopo di impossessarsene e utilizzarli per le sperimentazioni e le ricerche.

La negazione della dignità umana agli embrioni fa sì, infine, che questi esperimenti e queste ricerche si incamminino anche verso orizzonti sconosciuti e di cui non si può non avere timore: basta qui ricordare i numerosi tentativi di mischiare il patrimonio genetico di uomini e animali, o di realizzare gravidanze di embrioni umani impiantati in animali …

4. Dopo avere affermato a chiare lettere il giudizio sulle tecniche di fecondazione artificiale, analizziamo, allora, i dati della Relazione del Ministro, limitandosi a quelli relativi alla fecondazione extracorporea (fecondazione in vitro).

La prima osservazione preliminare è che manca qualsiasi controllo sulla esattezza dei dati forniti dai centri autorizzati, così come sono mancati controlli o ispezioni sui centri e sulle pratiche da questi poste in essere, per verificare se sono conformi al dettato legislativo.

Il dato è insieme sorprendente e sconfortante: dopo tre anni dall’entrata in vigore della legge 40 il Ministro riferisce che, su 198 centri che praticano queste tecniche, 19 non hanno trasmesso i dati richiesti, così come obbligati per legge; ci si chiede: sono stati chiusi? Sono stati mandati i NAS a controllare cosa stessero facendo? Sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria? Il Ministro non fa cenno a niente di tutto questo, e passa oltre.

In sostanza, come negli anni precedenti, il Ministro espone dati forniti dagli stessi centri, sia pure, quest’anno, in maniera più ampia e dettagliata: ma non “garantisce”, nemmeno in parte, che i dati siano esatti. Per fare un esempio: dobbiamo credere ai centri quando riferiscono di non avere mai prodotto più di tre embrioni per volta, oppure quando assicurano di avere ammesso alle tecniche solo coppie infertili, o solo coppie di conviventi; oppure, ancora, quando indicano i dati delle perdite di embrioni? Dobbiamo crederci?

In realtà, non fidarsi sarebbe meglio: peraltro, nell’ottica di chi scrive, i risultati reali non possono che essere peggiori di quelli esposti dai centri, e non certo migliori.

5. Il ricorso alle tecniche di fecondazione in vitro è aumentato dopo l’entrata in vigore della legge 40: i centri che praticavano quelle tecniche nel 2003 erano 120, quelli autorizzati nel 2005 ben 198 (un numero che lo stesso Ministro definisce “molto più elevato che in altri paesi europei”); le coppie “assistite” nel 2003 (limitandosi alle tecniche a fresco, FIVET e ICSI) erano 17.125, mentre nei 169 centri che hanno fornito i dati al Registro nel 2005 sono state 27.254 (il numero si aggira, quindi, a 30.000 tenendo conto dei centri che non hanno risposto); le gravidanze ottenute nel 2003 ammontavano a 4.807, mentre nel 2005 sono state 6.235 (il dato reale si avvicina a 7.000).

Un aumento così vistoso – ci si avvicina al raddoppio in due anni – non dipende ovviamente dall’aumento dell’infertilità ma – secondo chi scrive – a due fattori: lo “sdoganamento” psicologico e sociale delle pratiche di fecondazione in vitro in conseguenza dell’approvazione della legge 40 (non più pratiche misteriose e pericolose, ma “terapie” riconosciute dallo Stato in relazione a determinate patologie), e il sostanzioso contributo finanziario dello Stato e delle Regioni.

Quest’ultimo dato è piuttosto preciso: il Ministero della Salute ha, in primo luogo erogato alle Regioni la somma di euro 6.800.000 tratta da un apposito fondo; inoltre il Servizio Sanitario Nazionale ha pagato (limitandosi alle tecniche a fresco) il 62,5% dei cicli, pari a 20.677 cicli; se si pensa che la Regione Toscana, in quell’anno, ha rimborsato per ogni ciclo di fecondazione in vitro la somma di euro 1.825,00, si ricava un importo di euro 37.735.000.

Lo sforzo finanziario complessivo degli enti pubblici si aggira quindi sui 44 milioni di euro.

6. Quale è stato il risultato complessivo di questo sforzo?

Osservando i risultati dal punto di vista delle coppie che hanno chiesto ed ottenuto di accedere alle tecniche, abbiamo circa 30.000 coppie che sono ricorse alla FIVET e all’ICSI cui devono essere aggiunte circa 4.000 coppie che sono ricorse al trasferimento di embrioni scongelati o alla creazione di embrioni con l’utilizzo di ovociti scongelati; il numero dei bambini nati si aggira complessivamente sui 6.800, corrispondenti a circa 6.500 parti (alcuni sono gemellari o trigemini).

In definitive: delle 34.000 coppie solo 6.500 hanno visto il “bambino in braccio”, l’unico risultato che, in realtà, interessa agli utenti delle tecniche; 27.500 coppie sono state deluse, l’80%, quattro coppie su cinque, quattro donne su cinque.

Se poi si guarda alle coppie nelle quali le donne hanno più di 40 anni (il 20,7% dei cicli iniziati, 1 su 5) i risultati sono assolutamente disastrosi: limitandosi alla classe di età 40-44 anni (in quella relativa alla classe di età superiore i risultati sono ancora peggiori) nel 15,4% dei casi i cicli di stimolazione ormonale della donna vengono sospesi prima ancora di procedere al prelievo degli ovociti; le percentuali di gravidanze instaurate variano dall’8,4% (ICSI) al 9% (FIVET) dei cicli contro la media generale del 18,6% e del 19,2% (meno della metà); la percentuali di aborti spontanei, poi, aumenta enormemente con l’aumentare dell’età della donna: il Ministro non fornisce dati, ma ricorda questo dato, osservando così che “è probabile che le sette gravidanze ottenute su pazienti con età superiore o uguale a 45 anni … siano in gran parte esitate in aborti spontanei”.

Se, quindi, quattro coppie su cinque non riescono a vedere il “bambino in braccio”, se la donna ha 40 anni o più questo rapporto si dimezza o forse diminuisce ancora di più: forse una coppia su dieci; da 45 anni in su si tratta di probabilità praticamente nulla.

Ma il problema si aggrava in conseguenza del fatto – che allarma lo stesso Ministro della Salute – che le coppie si avvicinano alle tecniche in età avanzata.

7. Letto invece nell’ottica degli embrioni, si ricavano i seguenti dati: gli embrioni prodotti con le tecniche FIVET e ICSI sono circa 63.000, cui devono essere aggiunti circa 5.000 embrioni prodotti con l’utilizzo di ovociti congelati e 3.400 embrioni già congelati che, scongelati, sono stati immessi nelle procedure: quindi complessivamente circa 71.400 embrioni vivi (la somma tende a circa 78.000 embrioni tenendo conto dei centri che non hanno comunicato i risultati).

Se i bambini nati sono stati, come si è visto, circa 6.800, la sottrazione, purtroppo, è facile: 71.200 embrioni che non sono nati e, quindi, o sono morti o sono stati congelati: il 91%, nove su dieci.

In un anno 71.200 embrioni, fra dieci anni …

8. Già: gli embrioni congelati.

La legge vieta esplicitamente il congelamento degli embrioni, salvo casi eccezionali. Il Ministro mostra di non conoscere quanti sono gli embrioni congelati nel 2005, limitandosi a riferire en passant che in 197 casi è comparsa nella donna la sindrome da iperstimolazione ovarica severa e in 35 casi la paziente, “per motivi di diversa natura”, non era disponibile al momento del trasferimento: in questi 232 casi “gli embriologi si sono trovati nella condizione di dover congelare gli embrioni prodotti”.

Gli embrioni congelati nel 2005 sono, quindi, circa 300, ipotizzando che talvolta fossero disponibili al trasferimento due o tre embrioni.

Il dato è imbarazzante e preoccupante insieme: in dieci anni gli embrioni congelati saranno 3.000, poco meno di quelli “in stato di abbandono” congelati prima dell’entrata in vigore della legge 40. Soprattutto preoccupa il dato relativo ai “motivi di diversa natura”: il mancato trasferimento degli embrioni non è dovuto, in questo caso, a motivi di salute sopravvenuti della donna (è l’unica ipotesi in cui è permesso il congelamento: la sindrome da iperstimolazione ovarica, infatti, è la tipica sopravvenienza di carattere medico che si riscontra in queste pratiche), ma ad un rifiuto della donna al trasferimento, verosimilmente per motivi attinenti allo stato di salute dell’embrione o di uno degli embrioni prodotti.

Forse è l’attuazione pratica di quanto da molti teorizzato: un’anticipazione della disciplina dell’aborto volontario di cui alla legge 194 del 1978, con la donna che, sulla base delle proprie valutazioni, può decidere se e quali embrioni trasferire (così come può decidere se abortire e, ora, anche quale feto abortire tra più gemelli, visto che la legge 40 fa salva la possibilità di procedere ad un aborto selettivo).

D’altro canto la legge 194 opera “efficacemente” anche nelle procedure di fecondazione in vitro: l’1% delle (poche) gravidanze instaurate a seguito dell’applicazione delle tecniche (36 embrioni prodotti con FIVET e ICSI, 2 embrioni scongelati, 1 embrione prodotto con ovociti scongelati, per un totale di 39 embrioni) sono state interrotte con aborto terapeutico, cioè volontario. Un dato davvero impressionante se si pensa al numero di embrioni che erano morti per permettere a quei 39 di iniziare una gravidanza e alle sofferenze e ai sacrifici fatti dalle donne che hanno deciso di interromperla.

9. I dati sulla mortalità degli embrioni e sulla percentuale di successi, in realtà, non stupiscono affatto, poiché corrispondono alle statistiche internazionali: gli embrioni muoiono già in vitro (circa 4.000 nel 2005), muoiono in gran numero (nelle tecniche a fresco il 75%) subito dopo il trasferimento nell’utero della madre, non riuscendo ad attecchire e ad instaurare una gravidanza (fenomeno che consegue alla mancanza di quel dialogo – cross-talk – che l’embrione e il corpo della madre instaurano subito dopo il concepimento naturale e che favorisce proprio l’accoglienza del primo nel secondo), muoiono in numero nettamente superiore alle gravidanze naturali per aborti spontanei (il 22,5% delle gravidanze), per morti uterine (lo 0,6% delle gravidanze) e per gravidanze ectopiche (il 2,4% delle gravidanze); muoiono, come si è visto, anche per aborti terapeutici (1% delle gravidanze), nascono morti nello 0,6% dei casi.

Ma anche i bambini che giungono alla nascita e sopravvivono presentano problemi fisici: l’1,6% è malformato, il 26,7% nasce sottopeso e il 25,8% nasce pretermine.

10. Tornando alle coppie e alle donne in particolare: abbiamo già sottolineato la circostanza che la stragrande maggioranza delle coppie che ricorre alle tecniche di fecondazione in vitro resta delusa nel loro desiderio; gli psicologi hanno già evidenziato i notevoli turbamenti psicologici che questo fallimento – giunto dopo tentativi ripetuti, medicalizzazione completa della vita della donna, bombardamenti ormonali, prelievi di ovociti – produce, come sembra ovvio.

Il Ministro non pare preoccuparsene particolarmente, così come niente riferisce sulle conseguenze psicologiche e fisiche sugli uomini (anche se è noto che alcune tecniche di prelievo degli spermatozoi comportano una vera e propria operazione).

Emergono, però, dati sulle complicazioni fisiche derivati alle donne dalle tecniche.

Un primo gruppo di donne (l’11,5% dei casi) è stata sottoposta a stimolazione ormonale inutilmente, poiché il ciclo è stato sospeso e non si è provveduto nemmeno al prelievo degli ovociti: nel 21% di questi casi, però, la sospensione è attribuibile ad una “risposta eccessiva” evidentemente da parte del corpo della donna.

In un altro 13,4% dei casi l’interruzione si è avuta dopo l’operazione di prelievo, cosicché la donna ha subito inutilmente sia la stimolazione ormonale che l’operazione di prelievo: tra questi casi abbiamo complessivamente 289 casi di rischio di sindrome da iperstimolazione ovarica severa, una malattia, come si è detto, “tipica” di queste tecniche e molto pericolosa (la letteratura scientifica riferisce anche di casi mortali).

In realtà, come risulta da separata tabella (difficilmente correlabile con i dati appena riferiti, che pure vengono esposti) i casi di sindrome da iperstimolazione ovarica sono stati per 670, pari al 2% dei cicli iniziati; ad essi devono essere aggiunti 154 casi di sanguinamento al prelievo (degli ovociti) e 15 casi di infezione. Bisogna, poi, ricordare tra gli eventi pericolosi per la salute della donna i 93 casi di gravidanza ectopica.

Il Ministro non aggiunge altro: e ciò sorprende alla luce della sensibilità dichiarata verso la salute delle donne.

11. Altri dati si potrebbero aggiungere ma questi che fin qui si sono esposti sembrano sufficienti per esprimere una valutazione sullo “stato dell’arte” di queste tecniche.

Non riesco a gioire per l’aumento del ricorso alle tecniche di fecondazione in vitro, che fece gridare un anno fa che “la legge 40 funziona!”. Era una legge – molti pensavano durante la battaglia referendaria – che giustamente poneva un argine a queste pratiche inumane, metteva paletti, impediva l’accesso a molti soggetti: una legge che, se efficace, avrebbe dovuto produrre una – giusta – riduzione dei casi.

Invece, in due anni, i casi sono quasi raddoppiati; sono aumentati i bambini nati ma, insieme a loro, sono aumentati anche gli embrioni morti!

Certo: ha torto il Ministro della Salute quando ci sbatte in faccia un presunto aumento degli aborti come conseguenza dell’obbligo di trasferire tutti gli embrioni: in questa triste contabilità ella non tiene conto affatto che, prima della legge, vi era una sovrapproduzione di embrioni, con la conseguenza che moltissimi venivano soppressi o congelati senza nemmeno tentarne il trasferimento; cosicché l’aumento degli embrioni morti nel 2005 nelle varie fasi della tecnica è certamente inferiore alla riduzione del numero degli embrioni prodotti in conseguenza del divieto di produrre embrione soprannumerari.

Ma mi chiedo se questa considerazione possa acquietarci, se fra dieci anni potremo ancora accontentarci, raccontandoci che “prima del 2004 si producevano molti più embrioni …”. Lo possiamo raccontare anche ai 71.200 embrioni morti quest’anno? Ma sembra che di essi nessuno si ricordi.

Il quadro attuale, poi, presenta molti ulteriori motivi di preoccupazione: lo Stato ha perfettamente funzionato quanto alle autorizzazioni e al finanziamento – davvero ingente – di denaro pubblico; ma è mancato totalmente nell’aspetto ispettivo, preventivo e repressivo. Cosicché – almeno per ora – quel quadro che gli avversari avevano presentato della legge 40, come tutta fatta di divieti e di sanzioni anche penali, sembra quasi una burletta: Sanzioni? Multe? Revoche dell’autorizzazione? E i “paletti”?!

Ecco che allora sbucano fuori (non solo dalla Relazione del Ministro) gli abusi e le violazioni: si è già detto dei casi di rifiuto della donna al trasferimento, ma si deve ricordare che i centri quantificano in 4.000 gli embrioni in vitro non trasferiti. Che certezza abbiamo che essi siano morti “spontaneamente” o che siano, invece, stati osservati, selezionati, fatti morire perché inadatti?

E sui limiti all’accesso: si può essere “conviventi” ma vivere in due città diverse? Lo riferisce senza pudore una donna in un forum su un sito dedicato agli utenti delle tecniche, mentre il coro generalizzato è: “basta un’autocertificazione, nessuno ti controlla!”.

E ancora: che dire del rispetto del limite dell’età “potenzialmente fertile” dettato dalla legge? I pratici che hanno operato sulle donne con più di 45 anni, prevedendo che, con quasi assoluta certezza, nessun bambino sarebbe nato, avevano informato le loro pazienti? Non è stata una vera e propria sperimentazione sulla pelle delle donne e dei bambini?

E che dire dell’anomalo ricorso alla tecnica ICSI (72,8% dei casi), sottolineata con preoccupazione dallo stesso Ministro? Il Ministro, però, non spiega che le indicazioni scientifiche per l’uso della tecnica sono sempre più restrittive e che innumerevoli studi in tutto il mondo depongono per la produzioni di malformazioni genetiche di vario tipo tra i bambini nati. Qualcuno obbligherà i tecnici a seguire le indicazioni restrittive?

Cosa succederà degli embrioni congelati quest’anno? Qualcuno controllerà?

Come faremo nel prossimo futuro a fare argine alla marea montante della mentalità schiettamente eugenetica, alla caccia senza quartiere all’embrione o al feto (forse) malformato o malato, cui ci sta educando da tempo la legge 194 con le sue diagnosi prenatali feroci, legge 194 che fa da “sorella maggiore” di quella appena nata?

Non possiamo smettere di pensare e di domandare.

Giacomo Rocchi