
Vita, famiglia e società nel contesto attuale, quello che i media (non) dicono – Raffaella Frullone

Vita, famiglia e società nel contesto attuale, quello che i media (non) dicono – Raffaella Frullone
Per parlare di vita, famiglia e società oggi è indispensabile avere uno sguardo lucido su come funziona la costruzione della pubblica opinione, occorre sapere leggere e codificare i messaggi con cui veniamo bombardati dai mass media che ormai, grazie alla tecnologia, ci raggiungono praticamente ovunque. Si tratta di un’operazione è essenziale perché ci svela come siamo tutti intrisi di un linguaggio menzognero, che mira a presentare la realtà per quello che non è, e a dare una lettura distorta di quello che accade. Il tutto avviene innanzitutto a danno della verità e in seconda battuta a danno dei tanti, inconsapevoli e in buona fede, che non mettono alcun filtro alle informazioni che ricevono. Tra i più danneggiati da questo sistema ovviamente ci sono i bambini che assorbono tutto in maniera acritica e crescono incapaci di distinguere il bene e il male. Capire i meccanismi di costruzione dei messaggi massmediatici ci aiuta a entrare in comunicazione con chi li riceve in maniera acritica e ci mette nella posizione di poter svegliare le coscienze mostrando quello che accade realmente.
Partiamo con la visione di un breve video, dura circa cinque minuti. Racconta la storia di una donna italiana, Nina, che viene presentata come lesbica, e della ricerca di un figlio. Il video racconta il percorso fatto dal desiderio – legittimo – e i come questo desiderio venga colmato ottenendo un bambino che cresce con due donne legate affettivamente, senza il suo papà, per volontà programmata di tutti gli adulti che dicono di volere il suo bene, vediamo.
http://www.iene.mediaset.it/puntate/2014/05/28/nina-fecondazione-%E2%80%9Cfai-da-te%E2%80%9D_8636.shtml
Analisi del testo:
Contesto. Questo è un video tratto da una puntata della trasmissione “Le iene” andata in onda lo scorso anno. La prima anomalia è che chiunque conosca il programma sa che il nome racconta il tipo di giornalismo che questa trasmissione propone, un giornalismo d’assalto, che va a tirare fuori scheletri dall’armadio, che stana gli imbroglioni, denuncia i furfanti, insegue di corsa con l’occhio vigile della telecamera chi non vuole raccontare la verità. Ecco questo video è tutto l’opposto: è un’amabile conversazione tra due amiche sul divano di casa, il tutto si svolge tra le mura domestiche, in un pomeriggio qualunque, tra il pranzo e la merenda, sorrisi, abbracci e affettuosità. Tutto è realizzato ad arte per fare in modo che lo spettatore possa immedesimarsi: una casa ordinaria, con due amiche come tante, in una quotidianità che potrebbe essere di tutti: il primo stravolgimento della realtà avviene senza che nemmeno si parli. Ma coi dialoghi tutto si esplicita, vediamo:
“Ho deciso di fare un bambino però non voglio un padre perciò sto cercando un donatore, però – specificavo subito – senza l’atto sessuale”, “il donatore è uno che ti dà una cosa e se ne va”. “Mia mamma non è sposata, e con un donatore mi ha fatto” Cosa è il donatore? Chi è il donatore? Cosa significa donare? Oggi questo termine quando si parla appunto di vita e famiglia è totalmente distorto. L’informazione mainstream, ovvero il pensiero dominante, presenta il donatore di seme come un uomo profondamente altruista, così attento ai bisogni altrui dal voler donare, quindi regalare, il suo seme, unicamente per il bene dell’altro, e ovviamente gratuitamente. Per esempio, Vanity fair in un articolo di quest’anno descrive i cosiddetti donatori di seme “Non chiedono soldi, non cercano rapporti sessuali. Vogliono avere figli, ma non sono interessati a crescerli. A loro basta sapere di avere dato continuità al loro patrimonio genetico e, soprattutto, di avere aiutato qualcuno”. Sul sito della clinica inglese Complite Fertility, ne ho presa una a caso, ai potenziali cosiddetti donatori ci si rivolge così: “Aiuta coppie e individui a raggiungere la loro sola speranza di avere un figlio, dona il tuo sperma”. Sul sito della California Cryobank si legge “anche se il compenso non dovrebbe essere la sola ragione per diventare donatori di sperma, siamo coscienti del tempo investito e nelle spese nel diventare donatore, per questo rimborsiamo fino a 125 dollari a donazione (1500 dollari al mese donando 3 volte a settimane). Inoltre i nostri donatori di seme riceveranno degli incentivi periodici come biglietti per il cinema o dei regali extra per gli sforzi profusi dai partecipanti”. 1500 dollari al mese per “donare” tre volte a settimana. Possiamo chiamarlo donatore? Ma soprattutto possiamo chiamare donatore un uomo che deliberatamente si sottrae alla sua responsabilità di padre? Possiamo chiamare donatore un uomo che toglie il padre a un bambino prima della nascita? Questo è un donatore? (Ovviamente questo discorso potremmo farlo anche con la cosiddetta donatrice di ovuli, di cui, guarda caso in Italia c’è scarsità, forse qualcuno comincia a capire che di tutto si tratta tranne che di una donazione…)
“Lei è Cristina, è lesbica e per avere un bambino è ricorsa alla fecondazione eterologa fai da te, e a donare il seme è stato il fidanzato di una sua amica” Lei è Cristina, è lesbica, dice il video. Qui non possiamo non farci una domanda: quando abbiamo cominciato a definire le persone in base all’orientamento sessuale? Lesbica, omosessuale, eterosessuale, gay? Da dove derivano questi termini, quando e perché sono diventati il modo per definire una persona? Occorre tornare indietro agli anni Sessanta, quando il movimento femminista ha voluto la liberazione della società con la liberazione sessuale secondo lo schema marxista ma rivisitato. Se per Marx la liberazione dell’uomo e della società sarebbe avvenuta attraverso la lotta fra padrone e operaio tramite lo strumento del capitale, per il femminismo sarebbe avvenuta nella contrapposizione fra i sessi tramite lo strumento del linguaggio. Siamo agli albori dell’ideologia gender che infatti entrerà, con tutto il suo linguaggio, nei documenti ufficiali della comunità internazionale attraverso principalmente le conferenze del Cairo e di Pechino. Con la spinta dei movimenti omosessualisti, prima negli Stati Uniti poi in Europa ha cominciato ad imporsi una terminologia che apparentemente doveva servire a descrivere una minoranza che chiedeva il riconoscimento di legittimi diritti. Ovviamente il Sessantotto con la sua ondata di libertinaggio nei costumi, e di ribellione verso l’autorità non ha fatto che creare terreno fertile affinché questa cosa attecchisse. Non abbiamo tempo per andare ad approfondire tutte le fasi della storia, ma limitiamoci a guardare il linguaggio. Si può definire una persona lesbica? E’ giusto definirla in base alla sua pulsione sessuale, alla sua attrazione? Non è questo il primo e il principale modo non solo per discriminarla, ma – ancora più grave – per svilirla? Noi non siamo eterosessuali, o omosessuali, l’unica differenza effettiva è quella tra uomini e donne. Creare una categoria di persone dipingendola come un blocco monolitico di persone che in virtù di una tendenza chiede diritti, come prima cosa è falsa e come seconda cosa è fare un torto alla persona che quella tendenza la vive sulla sua pelle. Perché la verità è che spesso le lobby gay si arrogano il diritto di parlare per tutte le persone con tendenze omosessuali ignorando chi – tra loro – è contrario alla richiesta di diritti in base a questo e soprattutto silenziando chi, come Philipe Arino in Francia, come Giorgio Ponte o Luca di Tolve in Italia, affermano che questa tendenza viene da una ferita profonda, e come tale va sanata. E non sono solo loro tre, ci sono tante altre persone che la pensano come loro ma hanno paura ad esporsi perché la pressione è tanta.
“Mi sembra un tuo diritto e a me non costa niente”, “ho accettato subito, mi sono sentita un donatore perché il progetto è il suo”
Quando il figlio è diventato un diritto? Un progetto? Quando ha smesso di essere, questo sì, un dono? La risposta sta sempre nel contesto descritto prima, in particolare nelle conferenze sulla donna del Cairo e di Pechino. Al Cairo in particolare, nel 1994, le femministe posero il problema di rimodellare «i confini tra il naturale – e la sua relativa inflessibilità – e il sociale e la sua relativa modificabilità» e di rivisitare «i diritti dell’uomo secondo la prospettiva di genere». A Pechino fu presentata un’agenda politica che andava dai «mutamenti nella struttura della parentela, al dibattito sul matrimonio gay, alle condizioni per l’adozione e l’accesso alla tecnologia riproduttiva». Qui iniziano a circolare nei documenti ufficiali termini che oggi vengono utilizzati per stravolgere la realtà: “diritto al figlio”, “diritti riproduttivi”, “prodotto del concepimento”, “maternità surrogata”, “gestazione di sostegno”, “interruzione volontaria di gravidanza”, “dignità della vita”, “diritto alla buona morte”, “fecondazione medicalmente assistita”, “pianificazione familiare”, “genitorialità controllata” il sesso è sparito per fare posto al “gender”. Riconoscere, decodificare , denunciare e rifiutare questo linguaggio è il primo passo per difendere la realtà e aprire gli occhi a chi non vede che cosa sta accadendo.
“Tu in Italia sei stata una delle pioniere dell’autoinseminazione” La signora del video viene presentata come un pioniere. Questo è frutto di una strategia specifica raccontata in un saggio che si chiama “Dopo il ballo. Come l’America sconfiggerà la sua paura e il suo odio verso i gay negli anni 1990″. Questo testo è stato pubblicata nel 1989 da Marshall Kirk,ricercatore in neuropsichiatria, e da Hunter Madsen, esperto di tattiche di persuasione pubblica e social marketing”. Il “ballo” a cui gli autori fanno riferimento è il baccanale provocatorio e oppositivo innescato dalla Rivoluzione gay degli anni 1970 e 1980. Secondo gli autori il movimento gay degli anni 1970 e 1980, ispirandosi al modello marxista, ha collezionato una serie di fallimenti che hanno reso la comunità gay ancor più isolata e malvista dal resto della popolazione. Gli anni 1990 presentano tuttavia una nuova possibilità per rilanciare la Rivoluzione gay. Cosa rende questi anni particolarmente favorevoli a essa? Gli autori lo spiegano senza pudore: “Per quanto cinico possa sembrare, l’AIDS ci dà una possibilità, benché piccola, di affermarci come una minoranza vittimizzata che merita legittimamente l’attenzione e la protezione dell’America”. A quel punto elencano una serie di meccanismi affinché questo processo venga messo in atto di cui io ve ne cito solo alcuni. 1. “La desensibilizzazione”. Come tutti i meccanismi di difesa psico-fisiologici, spiegano gli autori, anche il pregiudizio antigay può diminuire con l’esposizione prolungata all’oggetto percepito come minaccioso. Bisogna quindi “inondare” (p. 149) la società di messaggi omosessuali per “desensibilizzare” la società stessa nei confronti della minaccia omosessuale. 5. Per stimolare la compassione i gay devono essere presentati come vittime a. delle circostanze – perciò, dicono gli autori, ” sebbene l’orientamento sessuale sembri il prodotto di complesse interazioni fra predisposizioni innate e fattori ambientali nel corso dell’infanzia e della prima adolescenza” (p. 184) , l’omosessualità dev’essere presentata come innata e il pregiudizio, che dev’essere indicato come la causa di ogni loro sofferenza. 6. “Da’ ai potenziali protettori una giusta causa” (p. 187). Ossia: non bisogna chiedere appoggio per l’omosessualità, ma contro la discriminazione. 7. “Fa’ che i gay sembrino buoni” . I gay devono essere presentati non solo come membri a tutti gli effetti della società, ma addirittura come “pilastri” (p. 188) di essa. Un ottimo modo per farlo sta nel presentare una serie di personaggi storici famosi, noti per il loro contributo all’umanità, come gay: chi mai potrebbe discriminare Leonardo da Vinci, è stato un’eccellenza nel suo campo.
“Se fosse Giacomo un giorno a dire caro il mio donatore vorrei essere riconosciuto come tuo figlio?” Risposta “Bo, sarebbe un problema. Non è che mi faccio la domanda,e non mi do nemmeno la risposta” E lei fa eco: “Secondo me in quel momento lì non ci abbiamo nemmeno pensato”. La frase finale del video penso sia la più emblematica su cui riflettere. Non farsi delle domande e non darsi nemmeno delle risposte, non pensare alle conseguenze delle proprie azioni, vedere unicamente il desiderio irrealizzato e il fine con cui raggiungere il risultato, come si trattasse di un bene da consumare.
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Gli elementi che abbiamo trovato in questo video tornano e ritornano in tutti i racconti che trattano di vita e famiglia oggi, vi ho portato altri due esempi di una rete che si chiama Fanpage, “una rete di informazione dedicata come dice il nome, interamente al mondo dei fans, a coloro che vogliono dare spazio alle proprie passioni“, un progetto editoriale discretamente seguito sul web. Hanno realizzato questo documentario che si intitola: chi ha paura dei genitori gay?
https://www.youtube.com/watch?v=wPsxKpILwvQ
Ecco, l’amore. Vorrei fare una riflessione su questo prima di avviarmi verso la conclusione. Perché questa distorsione della realtà ha potuto attecchire così facilmente, perché questo linguaggio ha trovato terreno fertile, perché gran parte del mondo sembra essersi abituato a tutto questo? Perché la nostra società sta perdendo totalmente di vista il senso dell’amore. Gli slogan relativi all’amore, che vanno dal “love is love”, al “la famiglia è dove c’è amore”, di cui ci bombardano, ci hanno convinti che l’amore sia mero sentimento, emozione, istinto, passione, impulso, ciò che “mi piace”, “mi fa star bene”. Ma l’amore è questo? O è piuttosto è un atto di volontà? Una decisione? Un compimento? Io amo una persona quando desiderio il suo bene, quando desiderio che si compia il suo destino, quello per cui è stata creata, quando sono disposta a sacrificare il mio “mi fa star bene” per un bene più grande, il suo. Amore è anche sacrificio quindi: rendere sacra una cosa.
Vorrei dire una cosa sui video che abbiamo visto insieme. Vengono uno dalle Iene e l’altro da Fanpage, due realtà piccole e a modo loro militanti nel mare magnum della comunicazione, ma guardate che questa mistificazione della realtà, se ci fate caso, è ormai già presente nei maggiori mezzi di comunicazione del nostro paese. Ma quello a cui stiamo andando incontro è una vera e propria omologazione del pensiero. Per farvi un esempio voglio raccontarvi cosa mi è successo in vacanza. Sono da poco stata in California, ho fatto in macchina da San Francisco a San Diego con mio marito, un giorno non sono stata bene e siamo rimasti in camera in un Motel. Facendo zapping sono capitata sull’Oprah Winfrey Network, c’era in onda una puntata di un documentario che si chiama “Our America” in cui una giornalista, Lisa Lang, di volta in volta presentava un aspetto della società americana. La puntata che ho visto io è sui cosiddetti bambini transgender. Chi sono? Sono bambini che per motivi diversi sono stati definiti transgender dai genitori, oppure da psicologi che hanno incrociato sul loro cammino, e quindi vengono cresciuti come se appartenessero al sesso opposto e vengono sottoposti a iniezioni di ormoni. Sono bambini di 12,8 ma anche 4 anni. Viene mostrata la famiglia in cui generalmente c’è la mamma che afferma che tutto si debba fare in nome della felicità del proprio figlio. Mi sono chiesta : ma come è possibile che tutti questi adulti abbiano perso di vista la realtà e siano veramente convinti che, con gli ormoni e la chirurgia, si possa trasformare un maschio in un a femmina, come hanno fatto? La risposta è arrivata la sera stessa, sempre dalla tv.
Charlie Rose è uno storico giornalista televisivo statunitense, famoso intervistatore di personaggi e vip. Il suo format, “The Charlie Rose Show”, assomiglia a quello delle Invasioni Barbariche, ma fatto con uno stile alla Enzo Biagi, serio e un po’ paludato. Ogni tot di puntate, Rose ne dedica una al tema del cervello, ossia delle neuroscienze: sviluppi, progresso, scoperte in un ramo tra i più “intriganti” della ricerca scientifica odierna, che tocca medicina, psicologia, linguistica, teoria dell’informazione ecc. Il programma di Rose viene registrato a New York, negli studi di Bloomberg, l’agenzia di informazione economica, e viene trasmesso dalla Pbs (Public Broadcasting Service), il network che rappresenta 349 stazioni televisive pubbliche nazionali.
La puntata che abbiamo visto in Usa, andata in onda a giugno, aveva come tema quello dei bambini trans gender. A moderare la serata insieme a Rose c’era Eric Kandel, psichiatra e neuroscienziato statunitense, premio Nobel nel 2000 per la medicina (Kendal è la spalla fissa di Rose nelle puntate dedicate al cervello). Ospiti in studio: Ben Barres, docente di neurobiologia alla Stanford University: trans gender lui stesso, Norman Spack, endocrinologo pediatrico del Boston Children’s Hospital, fondatore del primo reparto negli Usa a trattare i casi di bambinitransgender. Catherine Dulac , docente di biologia molecolare alla Harvard University, specialista nei segnali olfattivi dei mammiferi, Melissa Hines, docente di psicologia alla Cambridge University, studiosa dello sviluppo dell’identità di genere e del ruolo degli ormoni in esso, già dalla fase prenatale, Janet Hyde, psicologia dell’Università del Wisconsin, studiosa dell’identità di genere e del suo sviluppo. Uno dei fili conduttori della puntata era questo: una persona che nasce in un “corpo sbagliato” e quindi vuole cambiare genere, se lo fa in età pre-puberale avrà molti meno problemi, ossia il passaggio sarà più efficace, meno traumatico e con meno “effetti collaterali”.
Perché vi ho raccontato questo? Perché non bisogna farsi impressionare dal fatto che certe affermazioni arrivino da un pulpito importante, ufficiale, scientificamente rilevante o riconosciuto. Anzi, questi modi di pensare attecchiscono anche perché ce li presentano da pulpiti più che ufficiali.
Perché se guardiamo ai cosiddetti pulpiti ufficiali, oggi, quanti dicono e spiegano in che cosa consiste la legge sulle cosiddette unioni civili? Quanti raccontano che la stessa non farà altro che scardinare la famiglia in Italia poiché nella versione in cui è stata stesa – oggi si parla di modifiche – di fatto si propone una totale equiparazione delle unioni tra persone dello stesso sesso al matrimonio con un’apertura all’adozione di bambini e all’abominevole pratica dell’utero in affitto? Non lo dice nessuno. O meglio lo dicono in pochi, lo diciamo in pochi, lo riconosciamo in pochi, ma ad uno ad uno possiamo diventare un popolo consapevole.
E qui vorrei avviarmi alla parte finale del mio intervento. Il che cosa fare di fronte a tutto questo? Due punti.
1. Informazione e formazione. Il primo aspetto riguarda il tenere gli occhi aperti rispetto a quanto abbiamo detto fino ad ora, il primo modo per resistere è innanzitutto rifiutare un certo tipo di linguaggio e sapere dove informarsi e formarsi. Occorre però uno sforzo da parte nostra, lo sforzo della ricerca.
Internet in questo senso ci offre una grandissima possibilità, perché se è vero che è pieno di spazzatura, è altrettanto vero che cercando si trovano davvero un mare di informazioni, ancor più se si conosce l’inglese o qualche lingua straniera. Io in calce vi lascerò poi dei siti, dei blog insieme a dei libri che secondo me su questa questione è essenziale leggere. In Italia di queste cose si parla sulla Nuova Bussola Quotidiana, sul settimanale Tempi, sul mensile il Timone, sul quotidiano la Croce, su tutta una serie di blog e siti pur minori ma interessanti.
– Tre realtà promosse dalla New Media Foundation, una fondazione australiana: BioEdge, newsletter settimanale di informazione bioetica; FamilyEdge, una rassegna settimanale di ciò che concerne la famiglia; MercatorNet, una rivista online, più generalista, che si occupa della difesa della dignità dell’uomo
– Due big internazionali: LifeSiteNews, forse il principale portale pro-life del mondo, che ha base in Canada, e il suo quasi omologo LifeNews, che invece ha sede negli usa
– Per la Francia, Gènéthique, portale morto ricco, creato a Parigi nel 2000.
– Per l’Italia c’è anche datenere d’occhio Aduc, agenzia satellite del mondo radicale, ma con un taglio “obiettivo” e ricca di informazioni
– Per il mondo di lingua spagnola: la sezione Vida y Familia di AciPrensa, agenzia di informazione cattolica nata in Perù e che dal 2014 si è fusa con il grande network televisivo EWTN
Poi ovviamente ci sono i libri:
– Il gender, una questione politica e culturale, di M. Peeters, Ed. Sanpaolo
– Bruce, Brenda, David di John Colapinto, Ed. San Paolo
– Omosessualità controcorrente di Philipe Arino, Effata editore
– Il regno di Narciso, di Tony Anatrella, Ed San Paolo
– Gender, di P. Giorgio Carbone, Ed. domenicani
– Gender (D)istruzione di Gianfranco Amato, ed. Fede e Cultura
– Omofobia o eterofobia di Gianfranco Amato, ed. Fede e Cultura
– Maschi o femmine? La guerra del Genere di Dale O’Leary, ed Rubattino
2. Una rete di persone si prenda lo spazio pubblico. Io l’ho fatto con le Sentinelle in Piedi, nate due anni fa. Sulla scia dell’enorme mobilitazione di piazza che in Francia ha portato per le strade di Parigi un milione di persone, e con il ddl sull’omofobia alle porte, ad un certo punto dello scorso anno tantissime persone hanno cominciato a fremere. Non bastava più la formazione, l’informazione e la controinformazione. Cominciava a farsi strada l’urgenza di farsi vedere per farsi sentire. Di mostrare che c’era un popolo che non era più disponibile a vivere nella menzogna. Quando è iniziato l’iter del percorso di legge a Brescia un gruppo di impavidi papà aveva intuito che a rischio c’era la libertà di espressione di tutti e quindi hanno organizzato una mobilitazione in una sola notte. Poi tramite facebook è stata la volta di Bergamo, e poi a ottobre a Milano dove, contro ogni pronostico, si sono presentate oltre 500 Sentinelle in Piedi. E’ stata quella la veglia che ha scatenato un enorme effetto domino… Le Sentinelle in Piedi sono questo, una rete di persone dal basso, non è un movimento, non è un associazione, non è un partito, è una resistenza fatta di liberi cittadini che hanno intuito che siamo alle porte di una sfida epocale, perché si cerca di distruggere l’uomo nel suo profondo. Le Sentinelle vegliano nelle piazze per risvegliare le coscienze intorpidite e passive di fronte al pensiero unico. Perché in silenzio? Non c’è nulla come il silenzio che faccia emergere la voce della coscienza, oggi quanto mai silenziata da un potere che tende a ridurre l’esigenza di verità e il bisogno infinito connaturato a ogni essere umano. Il potere moderno usa questo metodo attraverso una sistematica e pervasiva offerta di risposte parziali e immediate, veicolate da voci e immagini che tramite la tecnologia ci raggiungono in continuazione, in ogni luogo, quasi senza sosta. Tutto ciò però non può accadere senza la nostra connivenza: in cambio della soddisfazione di tanti capricci, rinunciamo alla nostra libertà abdicando al compito di cercare una risposta totale. Per questo siamo immersi nel rumore, per questo il silenzio è tanto odiato dal potere e da un uomo che preferisce accontentarsi di poco per evitare la fatica di una ricerca seria. Perché gli ricorda la verità, che ha un tremendo bisogno di altro da sé, che non può autodeterminarsi, smascherando la menzogna di chi vuole governarlo snaturandolo. Le sentinelle invece il silenzio lo scelgono, come unico antidoto a questa nuova forma di dittatura, perché vogliono dare voce a quel bisogno bruciante di verità, prima condizione per diventate uomini pienamente liberi, cioè veramente soddisfatti. Vegliano in silenzio, affinché anche altri uomini possano cominciare a risentire quella voce e ad averne nostalgia. E lo fanno pubblicamente per testimoniare che insieme si può vivere ancora così e che non c’è dispotismo che possa impedire all’uomo di essere libero senza il suo consenso. Perché un libro? Le sentinelle leggono perché in un mondo in cui tutto viene manipolato dai mezzi di comunicazione non si accontentano di informazioni imparziali. Leggono perché non vogliono ripetere di slogan superficiali ma conoscere in profondità. Perché un’ora? Le sentinelle stanno ferme per un’ora, perché in una società in cui tutto procede a una velocità che non consente all’uomo di riflettere vogliono prendersi il tempo per farlo. Le sentinelle scelgono il silenzio, la lettura, il tempo per restituire gli uomini a loro stessi. È questa educazione che permette alle sentinelle di accorgersi di vegliare anche per chi le contesta, rifiutando le definizioni che riducono l’identità umana a una pulsione sessuale. Le sentinelle non accettano categorie fuorvianti come “gay” o “eterosessuali”, perché sanno che servono solo a far dimenticare il valore infinito di ogni persona. Per questo le sentinelle sanno di vegliare anche per amore all’umanità di chi le contesta. Perché in piazza? Perché la coscienza è qualcosa che dall’interno dell’uomo può cambiare il mondo, e la piazza è il luogo dove può avvenire l’incontro autentico con l’altro. Le Sentinelle non cercano visibilità nel circo mediatico. In piazza, nella loro unica forma di presenza pubblica le Sentinelle in Piedi interrogano le coscienze e soprattutto incontrano le persone, quelle che vogliono capire, e anche quelle venute per contestare. Le incontrano di persona perché il contatto personale è l’unico autentico e l’unico capace di far parlare le coscienze. Le Sentinelle sanno quindi di essere uno strumento politico solo di conseguenza. Perché solo una coscienza irriducibile a ogni omologazione e menzogna potrà cambiare la logica di un potere che anziché servire l’uomo cerca di controllarlo. Perché in rete? Perché la rete valorizza l’individuo dentro una relazione. Ognuno è responsabile di un piccolo spazio, dove solo lui può agire e soprattutto rende evidente che tutti siamo chiamati a fare qualcosa oggi, adesso.