
Una Lettera a lungo attesa

COMUNICATO STAMPA 222
Il 22 settembre scorso la Congregazione per la dottrina della Fede ha pubblicato la lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Il Comitato Verità e Vita esprime il proprio compiacimento e la propria gratitudine per un documento che si segnala per la chiarezza e la completezza nel riaffermare come «insegnamento definitivo» l’illiceità dell’eutanasia e del suicidio assistito, sollecitando, nel contempo, tutti gli uomini di buona volontà a un’azione decisa verso l’accompagnamento competente e la cura di ogni vita umana che sperimenti la malattia, il dolore e la morte.
La lettera Samaritanus bonus affronta tutti i punti sui quali la cultura di morte odierna concentra le proprie forze al fine di orientare le scelte politiche, familiari e sociali, e lo fa senza fare sconti a quelle tentazioni compromissorie che da almeno due decenni attraversano il mondo cattolico al momento di affrontare il dibattito pubblico sui temi che riguardano l’inizio e la fine naturali dell’esistenza umana. L’essere umano è sempre persona e, per questo, la sua vita è inviolabile, anche nelle situazioni più dolorose, dove la morte sembra l’unico esito possibile. Nella sua concretezza, l’insegnamento di questo documento costituisce una Magna charta per chiunque – medico, famigliare, cappellano ospedaliero, politico – voglia agire moralmente facendo il bene della persona sofferente. Lo sfondo dal quale occorre partire per comprendere la lettera è la crisi dei legami sociali dovuti al diffondersi dell’individualismo, dell’utilitarismo e dell’efficientismo propri della nostra epoca. Nella lettera si prende atto della “crisi del Noi”, ma senza ricorrere al moloc idolatrico del dialogo compromissorio e arrendevole tra posizioni opposte e inconciliabili. Piuttosto, la crisi del legame solidaristico è vista come la radice di un modo di concepire la malattia e la morte all’insegna di quella solitudine e mancanza di speranza da cui scaturiscono le richieste di porre fine alla propria esistenza. L’eutanasia, il suicidio assistito e le leggi «gravemente ingiuste» che ne permettono la pratica sono il sintomo della rottura dei legami sociali e, quindi, della capacità di prendersi cura dell’altro.
D’ora in poi, chi, tra i politici cattolici, intenda proporre o avvallare leggi aperturiste nei confronti di pratiche eutanasiche o suicidiarie dovrà farlo sapendo bene di porsi inevitabilmente in opposizione con l’insegnamento della Chiesa e, innanzitutto, con la legge morale naturale, secondo la quale la vita umana innocente è il primo bene, la cui soppressione intenzionale si configura come un male in sé. Come la stessa lettera evidenzia, chiedere la morte per sé significa spegnere quella stessa autonomia e libertà che i sostenitori dell’eutanasia e del suicidio assistito intendono esaltare.
Con questa lettera la Chiesa cattolica dice una parola chiara e definitiva anche su alcuni aspetti più tecnici che riguardano le cure palliative, l’idratazione, l’alimentazione e la respirazione artificiale. Riguardo alle cure palliative si ribadisce la liceità della sedazione, anche profonda, ma soltanto nel caso in cui l’intenzione sia quella di attenuare il dolore e non quella di togliere la vita. La nota 74 chiarisce in modo inequivocabile questo punto, togliendo ogni dubbio sul ricorso illecito alla sedazione, nonostante il tentativo di allargare indebitamente il concetto di cure palliative alle pratiche eutanasiche.
In secondo luogo, l’alimentazione, l’idratazione e la respirazione artificiali vengono definite come mezzi non terapeutici che appartengono all’ambito della cura del paziente sofferente, a meno che il loro utilizzo «non risulti dannos[o] per il malato o provochi sofferenze inaccettabili per il paziente».
L’eutanasia e il suicidio assistito sono definiti chiaramente come crimini, la cui illiceità non trova eccezioni, nemmeno nel caso in cui sia in gioco un qualche presunto bilanciamento di princìpi, ad esempio tra la vita e la qualità della vita. A questo proposito, la lettera ribadisce l’insegnamento della Chiesa sul concetto di accanimento terapeutico, spesso utilizzato furbescamente a sproposito dai favorevoli all’eutanasia. È illecito qualunque trattamento che si configuri come sproporzionato o straordinario rispetto ai benefici che se ne potrebbero ottenere. Idratazione, alimentazione e respirazione artificiali, invece, sono sostegni alle funzioni fisiologiche dell’organismo e sono leciti e doverosi fintanto che il paziente ne può trarre beneficio.
La lettera è un inno alla positività ontologica della vita umana, anche quando la malattia e il dolore potrebbero offuscarne apparentemente il valore. La tentazione di una falsa compassione che spinge a eliminare la sofferenza mettendo fine alla vita del sofferente appartiene a una mentalità verso la quale la lettera Samaritanus bonus ci invita a non venire mai a patti, riconoscendo nella vita di ciascun essere umano un bene indisponibile.
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