
RU486 – Pesticida umano
RU486 – Pesticida umano
RU486 – Pesticida umano
Quando a Jerome Lejeune chiesero un giudizio sulla pillola abortiva Ru486, il grande genetista francese rispose con una definizione terribile: “E’ un pesticida umano”. Per quanto ruvida, l’espressione rende bene il meccanismo con cui funziona questo prodotto, che provoca la morte e l’espulsione del figlio concepito nei primi 50 giorni della gestazione.
La RU486 ha aperto una nuova discussione anche in Italia: meglio l’aborto chirurgico o quello chimico? In un dibattito sulla pena di morte, non sarebbe considerato segno di buon gusto discutere sul genere di strumento preferibile per uccidere il condannato. Gli avversari della pena capitale non saprebbero che farsene di uno Stato che, in nome di ragioni umanitarie, prometta di mettere nelle mani del boia mezzi più “umani” e meno fastidiosi per le coscienze. Ghigliottina o fucilazione, iniezione velenosa o sedia elettrica, sempre di pena di morte si tratterebbe. Anzi: quanto più il modo di agire del boia è pulito e indolore, tanto maggiore è il rischio di un’assuefazione collettiva, di un addormentamento delle coscienze. Prova ne sia che talvolta proprio la visione di un condannato sulla sedia elettrica viene usata – più o meno lecitamente – dai mass media per scuotere l’opinione pubblica. Ora, bisogna riconoscere che qualcosa di molto simile accade quando si discute di aborto e di pillola RU486. Si esalta il nuovo metodo e lo si dichiara preferibile all’aborto chirurgico perché meno traumatico per la donna. Ma così facendo, si nasconde il vero nodo del problema: e cioè che, se l’aborto è comunque sempre un male, anche dal punto di vista civile – e perfino i fautori della legge 194 una volta lo ammettevano – allora renderlo più facile e tranquillo non è certo un merito di cui menare vanto.
La RU486, la pillola che viene sperimentata all’ospedale Sant’Anna di Torino, permette di evitare il ricorso ai ferri del chirurgo. Ma il risultato è sempre lo stesso: tanto con gli strumenti del medico aborzionista, quanto con le sostanze chimiche ingerite dalla donna, si uccide un piccolo essere umano non ancora nato. Con la differenza che il risultato si ottiene con minor fatica e, dunque, con minor travaglio nella coscienza collettiva della società. So benissimo che il paragone con la pena di morte è irritante e politicamente scorretto; ma occorre riconoscere che, a dispetto dell’imbarazzata cappa di silenzio che nei media avvolge la realtà dell’aborto, esso rimane l’uccisione di un essere umano.
Nessuno può ignorare i drammi e le sofferenze delle donne, spesso lasciate nella solitudine e nella disperazione. Ma ciò non cambia la natura di quel gesto. Nel quale, a differenza di quanto avviene nella condanna capitale, la vittima non è colpevole di nulla, non ha subito un regolare processo, non ha avuto un avvocato a difenderla. Nessuno scenderà in piazza perché il piccolo uomo concepito sia risparmiato dalla “fucilazione” dell’aborto chirurgico, o dalla iniezione letale della Ru486. Per questo, la pillola che si sperimenta a Torino è davvero un passo avanti. Ma verso il baratro che attende la nostra civiltà ammalata.
Mario Palmaro
Presidente nazionale Comitato Verità e Vita
Docente Facoltà di Bioetica UPRA di Roma