
Mondo cattolico e legge 40: dieci anni di morbidezza

Comunicato Stampa n. 148
“Alla fine le ipocrisie saltano sempre”. Il professor Francesco D’Agostino, che è presidente dell’Unione Giuristi cattolici e filosofo del diritto di riferimento della Conferenza Episcopale Italiana, conclude così la sua intervista a “Il Sussidiario” sul tema dei bambini in provetta. Si commenta la nuova questione di costituzionalità della legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita sollevata dal Tribunale di Roma, con riferimento al divieto per le coppie fertili di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale e a quello di diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni prodotti in vitro: secondo D’Agostino “si vuole avallare l’eugenetica senza dirlo. Poi, fra qualche anno, ci sarà qualcuno che dirà basta con l’ipocrisia linguistica, dirà che l’eugenetica va bene a tutti e farà una legge apposita”; perché, appunto, “le ipocrisie saltano sempre”. Da dieci anni il Comitato Verità e Vita sostiene e proclama che l’approvazione della legge 40 da parte di un mondo che si richiama alla difesa della vita altro non è stata che una patente ipocrisia, cioè (come da definizione di un noto vocabolario) una “simulazione di virtù, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”; fin dalla sua approvazione era stato facile prevedere che i “paletti” sarebbero caduti, svelando la realtà che era stata nascosta.
A dieci anni di distanza, dopo centinaia di migliaia di embrioni prodotti per morire a norma della legge 40, dopo il congelamento di altre decine di migliaia e con i divieti che stanno cadendo velocemente, ancora leggiamo articoli – come quello di Francesco Ognibene su Avvenire – che, non solo trasformano i “paletti” della legge 40 in una “palizzata che ha (ha?) messo al bando quel calpestamento sistematico della dignità umana”, ma che definiscono la legge 40 una “legge d’incontro tra visioni diverse, che tende la mano a chi non riesce a procreare garantendo un rispetto minimo della vita umana embrionale”. Questa non è forse “ipocrisia linguistica”? Non è colpa del legislatore! Non conta che la legge 194 permetta l’aborto nei primi tre mesi di gravidanza a semplice richiesta e anche dopo, se la donna è turbata dalle malformazioni del nascituro; non importa se la legge 40 esplicitamente “consente” il ricorso alla fecondazione in vitro (che di per sé provoca la morte di innumerevoli embrioni) ed anche il loro congelamento; non interessa se l’aborto volontario e la fecondazione artificiale rifiutano di considerare il concepito un uomo, tanto da permetterne la cruenta uccisione o la produzione in serie, con le morti programmate o il congelamento o pratiche ancora più crudeli!
Ecco che l’intervista al professor D’Agostino dimostra un altro fenomeno, che Verità e Vita denuncia, censurata e inascoltata da dieci anni: approvare e sostenere le leggi che permettono la fecondazione artificiale indebolisce anche la decennale battaglia contro le leggi sull’aborto; cosicché l’illustre cattedratico finisce per affermare che entrambe le leggi “partono da principi bioetici” e che esiste “l’ispirazione bioetica della legge 40 e quella bioetica perfino di quella sull’aborto, che reputa lecito l’aborto in alcune condizioni ma non l’innalza a rango di diritto”. Non è un caso che, per ben due volte, la legge 40 faccia “salva” la legge 194, non ostacolando nemmeno l’aborto volontario dei pochi embrioni sopravvissuti alla strage. Ipocrisie, quindi.
Francesco Ognibene, sulle pagine di Avvenire, ci presenta un quadro fosco nel caso la questione di costituzionalità fosse accolta: “ad attenderci c’è il suk iperliberista, il bazar della vita manipolata, il catalogo della selezione (…) restituita al libero mercato, la produzione di vita umana non tollererà più freni né limiti, nel nome – s’intende – dell’uguaglianza e di un asserito diritto al figlio sano”. Ma questo ormai stanco e sempre meno convinto gridare “al lupo al lupo” dimentica volutamente, da sempre, di dire quanto avvenuto e quanto già avviene applicando in tutti questi anni la legge 40 nella sua versione “perfetta”; soprattutto, tace ciò che è evidente: consentire la produzione artificiale dell’uomo significa negare in radice ogni dignità all’embrione, che non può che soccombere di fronte ai desideri, agli interessi economici e ai capricci degli adulti. Per dieci anni il mondo cattolico ufficiale italiano, invece che criticare la produzione di figli in provetta in ogni caso, ha fatto una sola cosa: l’apologia della legge 40. E continua su questa linea, asserragliato in una sorta di agonizzante “Repubblica di Salò” della Bioetica compromissoria.
Risultato: la legge 40 – lo ammette perfino il “soldato” Ognibene! – ormai non esiste più; la legge 194 viene difesa a spada tratta dal presidente dell’Unione dei Giuristi Cattolici e dal quotidiano della Conferenza Episcopale; il ricorso alla fecondazione artificiale nella versione omologa è diventata prassi diffusa fra le coppie di cattolici: per rendersene conto basta fare un giro nelle parrocchie, per scoprire che alla fine, paradossalmente, la provetta ha “sfondato” proporzionalmente di più proprio fra i credenti, che notoriamente “vogliono avere dei figli”.
Il vero legame che unisce le due leggi – la 194/1978 e la 40/2004 – è la loro natura iniqua: sono entrambe leggi gravemente ingiuste, che meritano l’integrale abrogazione e sostituzione con una intelligente sanzione penale sia dell’aborto che della provetta. Questo – senza ipocrisie – il Comitato Verità e Vita ripete dalla sua nascita, per mantenere accesa una fiaccola pro-life senza alcun compromesso. Giacomo Rocchi http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=462238 http://www.avvenire.it/Vita/Pagine/vita-chi-vuole-il-far-west.aspx