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L’eutanasia come diritto individuale/fatto privato


L’eutanasia come diritto individuale/fatto privato

 

Di fronte alla richiesta di morte di un sofferente il legislatore non prenda nessuna posizione, sia indifferente alle scelte individuali e almeno depenalizzi il suicidio assistito praticato dal medico sul malato che lo richiede.

È questa una proposta avanzata da più parti. Ha il vantaggio di presentare, non la morte in quanto tale, ma la richiesta di morte come un fatto del tutto privato, come oggetto di un diritto individuale, dunque, insindacabile dallo Stato, almeno così si presume. È una soluzione in totale sintonia con il clima culturale di favore verso tutte le scelte di stili di vita. E, quindi, sembrerebbe una soluzione tollerante, liberale e alla fin fine auspicabile.

Ma facciamo uno sforzo e andiamo al di là della sintonia con la moda del rispetto dei «fatti privati» e domandiamoci se questa soluzione sia davvero neutra oppure se introduca surrettiziamente qualcosa di nuovo.

Se la pratica dell’eutanasia è un fatto privato e insindacabile, allora ne consegue che ognuno è giudice insindacabile della propria dignità umana, la dignità umana è una qualità variabile, alcuni la possiedono in grado maggiore e altri in grado minore e nella stessa persona essa varia a secondo della sua sensibilità. Ora, tutti i movimenti di pensiero dei diritti umani hanno sempre riconosciuto che la dignità umana non è una qualità relativa, ma assoluta, non graduabile, ed intrinseca, cioè è propria di ogni essere umano per il semplice fatto di appartenere alla nostra stirpe.

Se, poi, la persona umana non ha più una dignità oggettiva e intrinseca, come sarà possibile proibire tutte le forme di eutanasia, molto probabili visto che la nostra società va verso l’invecchiamento e la crisi del sistema sanitario pubblico?

Se si ammettono in pratica delle eccezioni a un bene indisponibile e inderogabile, dopo un po’ il motivo dell’eccezione svanisce e il divieto, che formalmente vige per tutte le altre ipotesi, non sarà rispettato. È il fenomeno della china scivolosa, non teorico, ma di fatto accaduto nei Paesi Bassi. Nel 1993 viene disciplinata l’eutanasia su richiesta con l’eufemismo di «cessazione attiva della vita». Nel 1995 i giudici iniziano ad avallare casi di «cessazione attiva della vita» di malati non terminali in stato di sconforto puramente psicologico e di persone incapaci di consenso, come i neonati handicappati. Poi l’eutanasia è stata praticata su adulti senza il loro consenso. Nel 1998 una riforma legislativa riduce il controllo della procura giudiziaria sulle pratiche di eutanasia.

In una società in cui l’uccisione su richiesta è considerata lecita, i malati cronici o terminali finiscono in una situazione in cui sono costretti ad esprimere il loro desiderio di morire come l’adempimento di un ultimo dovere di buona creanza verso i propri parenti oppure a giustificare il fatto di non chiedere la morte, ma di voler continuare a vivere. Inoltre, l’atto eutanasico, anziché garantire una «morte con dignità», non contribuirà forse a far diminuire la nostra attenzione e la nostra responsabilità verso i malati nel lenire il loro dolore e nell’assisterli?

Quindi, la proposta iniziale è tutt’altro che liberale e neutra: veicola una precisa concezione dell’uomo secondo la quale esistono delle persone umane non degne di vivere. Viene imposta surrettiziamente una visione riduttiva dell’uomo: la dignità umana è graduabile a proprio piacimento. È introdotta una nuova forma di razzismo.

Infine, denominare l’eutanasia «diritto individuale a una morte dignitosa» fa parte di una precisa tattica: quella della semantica aberrante. Si ricorre a eufemismi ingannevoli e ad espressioni innocenti per celare all’opinione pubblica la reale natura delle procedure e delle cose. E questo rimanda a colui che è bugiardo e omicida fin dal principio Gv 8,44. L’aborto è chiamato con un eufemismo interruzione della gravidanza, e l’eutanasia interruzione della vita.

Giorgio Carbone

Avvenire giov 1° febbraio 2007
E’ Vita, p. 2