
L’embrione umano e la fecondazione extracorporea

“Nella vita è presente un messaggio
e, se questo messaggio è umano,
questa è la vita di un uomo.”
Jérôme Lejeune
E’ possibile una “adeguata protezione”?
È cambiata la Biologia o questa scienza è divenuta strumento di ideologie e tecnologie?
Biologia, Embriologia dello sviluppo, Genetica, intimamente connesse, cercano di spiegare da più di 100 anni l’origine della vita di un individuo umano.
Conoscere il messaggio della vita dovrebbe insegnarci ad amare e rispettare ogni vita umana che sboccia e non produrre, manipolare, selezionare, distruggere; così come conoscere l’energia racchiusa in un atomo non giustifica la bomba atomica.
Che un individuo della specie umana cominci ad esistere dalla fertilizzazione o fecondazione lo afferma la famosissima e mai smentita Chamber’s Encyclopaedia “La gravidanza è il tempo in cui il feto si sviluppa nell’utero della madre, tra la fertilizzazione e il parto” [ T.N.A. Jeffcoate, Pregnancy and chilbirth, Chamber’s Encyclopaedia 1969, vol. XI, 169-171, p.169.], come pure in un famoso trattato di medicina “Per il nuovo individuo la vita comincia nell’ampolla della tuba uterina con l’atto della fertilizzazione” [R.J. Scothorne, Early development, in R. Passmore, J.S. Robson (eds), A companion to medical studies, Second edition, Blackwell Scientific Publications, Oxford 1976, vol.1, pp.19.1-19.50, p.19.1].
In cosa consiste la fertilizzazione o fecondazione?
È l’incontro di due cellule germinative ognuna delle quali subisce dal momento dell’emissione dai corpi di origine (gonadi) alcune modificazioni.
La cellula uovo una volta emessa sosta nel primo tratto della tuba di Falloppio, 24-48 ore, e completa la seconda divisione meiotica solo se penetrata dallo spermatozoo. [K.V. Hinrichsen, Basi embriologiche, in C. Sohn, W. Holzgreve, Ecografia in Ginecologia e Ostetricia, Masson 1997]
Lo spermatozoo, dopo il coito, subisce il processo di capacitazione nelle vie genitali femminili e libera gli enzimi dall’acrosoma per penetrare le membrane della cellula uovo, scatta così il “blocco della polispermia” [T.G. Cooper, C.H. Yeung, Physiology of Sperm Maturation and Fertilization, in E. Nieschlag, H.M. Behre, Andrology. Mal Reproductive Health and Disfunction, Springer 2000.].
La fertilizzazione è un processo (non un momento) che dura nel tempo e si articola in nove fasi.
Dalla fase 6 (singamia), cioè da quando la membrana dello spermatozoo si fonde con la membrana plasmatica dell’ovocita (fusione con oolemma) il processo è assolutamente irreversibile. Se si volesse bloccare questa fase 6 il nuovo individuo non ci sarebbe, quindi l’irreversibilità della fase 6 coincide con l’inizio di una nuova vita.
Da questo momento si scatenano reazioni biofisiche (cambia la differenza di potenziale) e biochimiche a cascata (si forma un onda calcio), caratteristiche appartenenti solo a questo nuovo sistema. Nuovo perché i due gameti non si comportano più come entità uniche, i loro citoplasmi costituiscono ora il citoplasma del nuovo sistema vivente.
È l’embrione unicellulare “ (one-cell embryo) ”, ha il suo centro informativo nel genoma e provvede a moltiplicarsi dando inizio al primo processo mitotico, si forma così l’embrione a due cellule “ (two-cell embryo) ” [Angelo Serra, L’uomo-embrione, Ed. Cantagalli, Siena, Marzo 2003, p.33].
Già nell’embrione unicellulare ci sono gli assi dei piani corporei che originano dal punto d’ingresso dello spermatozoo come ben dimostra H. Pearson col suo lavoro pubblicato su Nature il 4 luglio del 2002 dal titolo: Your destiny, from day one. H. Pearson insieme con altri embriologi dello sviluppo, Richard Gardner e Magdalena Zernicka-Goetz affermano: “i biologi dello sviluppo non ammettono più che gli embrioni precoci di mammifero siano cumuli di cellule”. Ancora, in questo lavoro, la Pearson fa notare l’esistenza di un pattern di informazione già presente fin da subito per cui introdurre uno spermatozoo con una micropipetta può generare una asimmetria degli assi dei piani con conseguente danno per lo sviluppo embrionale.
Queste patologie genetiche sono state dimostrate anche da altri ricercatori [Cox GF et al: Intracytoplasmic sperm injection may increase the risk of imprinting defects. Am J Hum Gen 2002; 71:162[-4].
Il nuovo genoma conferisce all’embrione unicellulare uno sviluppo con potenzialità morfogenetiche, attraverso geni posizionali, selettori e realizzatori. Questo sviluppo avviene in maniera autonoma, coordinata (nel 1999 dimostrati i primi 7 geni coordinatori presenti fin da subito [J. Adjaye, V. Bolton, M. Monk, Developmental expression of specific genes detected in bigh-quality cDNA librarie from single human preimplantation embryos, Gene 1999, 237, 373-383.], 47 ad oggi), continua e graduale, per maggiori informazioni si consulti “Identità e statuto dell’embrione umano” supplemento al n° 6 del 1996 della rivista “Medicina e morale”.
Per la sua autonomia l’embrione è stato definito “un attivo orchestratore che dirige il suo impianto e il suo destino futuro”, Editorial: British Medical Journal, 2000.
Biologicamente è un individuo unico per la sua unica e univoca, specifica e singolare combinazione genica.
La specificità è data dal numero dei cromosomi, la singolarità dalla combinazione tra i geni e loro manifestazione che va sotto il nome di fenotipo.
Pur vivendo di metabolismo proprio (dallo zigote alla morula) già nella tuba materna invia e riceve messaggi biochimici umorali; questa relazionalità materno-fetale, ancor prima dell’impianto in utero, costituisce il “cross-talk” [Hill JA, in “Maternal-embryonic cross-talk”, pubblicato su Ann NY Acad SCI 2001, 943:17-25 (annali dell’accademia scientifica di NY), Boston.].
Ora questo individuo appartenente alla specie umana è persona?
È la filosofia a guidarci nel riconoscere l’esistenza di un unico principio animatore vitale che è vegetativo, sensitivo e razionale.
Questo è il principio umano che conferisce la capacità di amare, scegliere, relazionarsi e che permette la crescita corporea, psichica, spirituale.
Questo unico principio vitale è la persona umana, è la dignità dell’uomo, sempre la stessa fin dalla fertilizzazione, già presente nei geni, nelle prime cellule.
Dignità che non è graduabile, è uguale in tutti e non segue lo stadio di accrescimento corporeo, dignità che eleva la persona umana a fine e mai a mezzo, che fa riconoscere ognuno per ciò che è e non per ciò che fa.
Questa dignità coincide col diritto alla vita, doverosamente da custodire, conformemente alla umanissima regola ippocratica: primum, non nocere.
Oggi l’uso dell’antilingua è subdolo e stravolge il significato dell’embrione umano e in particolare del suo inizio, per cui termini come oosoma, ootide, pre-embrione, pre-zigote sono fuorvianti e non sono altro che arbitrari artifizi linguistici.
Un’altro inganno è far coincidere l’inizio della vita umana alla comparsa della linea cerebrale.
Si cerca di rendere analoga la funzione che il cervello ha nel corpo formato con la funzione che ha la linea cerebrale nell’embrione.
Nulla di più falso.
In un corpo formato, se il cervello cessa l’attività, non potendo più coordinare le funzioni degli altri organi, muore l’intero organismo.
Per l’embrione la situazione è diversa perché non è né un organo né funzione di organo a conferirgli la vita ma sono proprio quei geni espressi nel genoma che coordinano i processi metabolici, l’integrazione e lo scambio tra le cellule.
Quindi il “cervello” dell’embrione è il suo genoma.
Prima di trattare il tema della fecondazione extracorporea (FIVET e sue molteplici varianti) è utile riportare alcuni dati appartenenti alla storia di questa tecnica.
R.G. Edwards, prima che nascesse Louise Brown nel 1978, aveva già aperto la strada alla ricerca sugli embrioni umani per migliorare i risultati della tecnica stessa e per lo studio delle malattie ereditarie.
Fu poi il comitato Warnock a pronunciarsi affermando dapprima che “da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell’embrione prima del quale l’embrione in vitro non sia da mantenere in vita”, poi concludeva con un sì alla ricerca condotta sugli embrioni purchè fino al 14° giorno dalla fecondazione.
È legalizzata la ricerca sperimentale sugli embrioni umani!
Negli stessi anni, H.G. Muller al 3° Congresso Internazionale di Genetica Umana a Chicago [Angelo Serra, L’uomo-embrione, Ed. Cantagalli, Siena, Marzo 2003, p.54], incitava ad una nuova via alla riproduzione umana con un “offensiva genetica per il controllo dell’evoluzione umana”.
La stessa convenzione di Oviedo esortava ad una “adeguata protezione dell’embrione” laddove fosse permessa la ricerca sugli embrioni in vitro.
Ora c’è un solo quesito serio e fondamentale da porre: è possibile tecnicamente, biologicamente e giuridicamente una “adeguata protezione” dell’embrione al di fuori della tuba della madre?
Per il versante tecnico, per ora basti dire che, assistiamo da anni ad incidenti di laboratorio che creano bizzarre situazioni (figli microcitemici di genitori che non hanno tratto talassemico), errori riducibili, mai eliminabili; in una procedura tecnica si può ridurre l’errore sistematico, mai il casuale.
Per il versante biologico non va dimenticato che l’embrione ha il corredo cromosomico che è per il 50% di derivazione paterna e il corpo materno prepara una accoglienza immunologica già da quando è nella tuba, per non rigettarlo.
Come pure, l’endometrio dell’utero, sempre in seguito alla fecondazione in tuba è sollecitato a modificarsi per consentirne l’annidamento.
Il “cross-talk” questo dialogo crociato materno-fetale è una variazione continua di una incredibile interazione tra geni della madre e geni del figlio, “questo scambio facilita lo sviluppo precoce dell’embrione, utile quale segnale per l’annidamento della blastocisti”, “Citochine, fattori di crescita, fattori angiogenici, …ed altri”[ Hill JA, in “Maternal-embryonic cross-talk”, pubblicato su Ann NY Acad SCI 2001, 943:17-25 (annali dell’accademia scientifica di NY), Boston.].
Sicuramente tutto ciò non può avvenire in provetta, sicuramente non ci può essere alcuna interazione tra geni del figlio e geni della madre, in più i fattori di crescita che i tecnici sono costretti ad aggiungere nella coltura, sovente hanno effetti negativi sull’embrione stesso, tutto ciò è ben espresso in “Maternal-embryonic cross-talk” .
Per il versante giuridico valga solo un semplicissimo esempio: nel caso in cui uno o entrambi i coniugi fossero colti da morte accidentale (casi già verificatisi) a chi appartengono gli embrioni prodotti in laboratorio? Dilemma giuridico enorme!
La tecnica FIVET ha delle spaventose certezze: alti costi in termini di vite umane, 95% degli embrioni, sia nella forma eterologa che omologa, per il rimanente 5%, c’è predisposizione a gravi patologie, ripercussioni pesanti sulla salute fisica e psichica della donna e della coppia.
Per i successi e relativi insuccessi della tecnica FIVET, si legga a p.21 e 22 del libro di Giorgio Maria Carbone “La fecondazione extracorporea” ESD.
Il suo studio è riferito all’ultimo rapporto (anno 2001) del centro nazionale della salute riproduttiva degli Stati Uniti d’America.
Questo rapporto dichiara 40.687 bambini nati vivi su 107.587 procedure di fecondazione artificiale.
Tuttavia pur trattandosi di un rapporto molto dettagliato per età delle pazienti, studio di infertilità ecc, nulla dice circa il numero di embrioni che in partenza sono stati fecondati in vitro.
L’autore fa due ipotesi, la prima: “per ogni procedura di fecondazione artificiale sono stati prodotti in vitro in media 3 embrioni, perciò un totale di 322.761 embrioni. Quindi, posto che i nati sono stati 40.687, si ha una percentuale di successo del 12,6% sul numero degli embrioni fecondati.
La seconda: “per ogni procedura di fecondazione artificiale sono stati fertilizzati in media 10 embrioni, perciò un totale di 1.075.870. quindi, posto che i nati sono sempre 40.687, si ha un tasso di successo pari al 3,7% del numero degli embrioni fecondati “in vitro”, ne giungeranno alla nascita circa dai 3 ai 13.
Applicando lo stesso criterio al rapporto di cinque anni prima (1996), l’autore conclude “nonostante gli sforzi profusi nella ricerca, la percentuale di successo non è aumentata in modo considerevole”.
Ancora, nello stesso libro, è riportato a p.27 un interessantissimo studio riguardante questa volta le anomalie cromosomiche su un campione di 1347 embrioni biopsiati: “Il numero di embrioni prodotti e sottoposti a biopsia era stato di 1347; il numero degli embrioni anormali, 761 (56,5%); il numero degli embrioni trasferiti in utero, 583 (43,3%); e il numero dei nati, 39 (2,9% rispetto al totale; 6,7% rispetto ai trasferiti ritenuti sani) ”.
Ampia è la letteratura scientifica circa i danni e i rischi per i nati, per citarne alcuni: maggiore incidenza di retinoblastoma rispetto ai nati da concepimento naturale, paralisi cerebrale, sindrome di Beckwith-Wiedeman che si manifesta con malformazioni fisiche e forme tumorali, sindrome di Angelman responsabile di handicap neurologico.
Di non minore considerazione sono l’alta frequenza di gravidanze multiple, ectopiche e parti prematuri.
Cosa dire poi delle complicanze per l’iperstimolazione ovarica che vanno dalla semplice osservazione fino alla ospedalizzazione d’urgenza?
Tumore ovarico, tumore mammario, complicanze legate a procedure operative per il recupero degli ovociti, rottura di utero e tube, danni psicologici [A. Eugster, A.J. Vingerhoets “Psychological aspects of in vitro fertilization: a review“ in Soc. Sci. Med. 1999,48:575-589.].
L’elenco di patologie correlate alla tecnica FIVET è davvero inquietante!
Alla luce di quanto esposto non sembra proprio che la legge n. 40 difende il concepito e la donna.
La sua iniquità è per ciò che concede, non per ciò che vieta.
L’accesso alle tecniche di fecondazione extracorporea possibile anche alle coppie di fatto è, a mio avviso, un altro passo falso di questa legge, la famiglia, secondo la nostra Costituzione, si fonda sul matrimonio tra un uomo e una donna. Va sottolineato, inoltre, che tale concessione può ricondurre alla forma eterologa della FIVET, vietata dalla legge stessa.
Il legislatore vieta il congelamento degli embrioni, evidentemente lo ritiene non rispettoso per il concepito; il poter congelare sarebbe vantaggioso, invece, per la donna che, con uno o due cicli di stimolazione, riuscirebbe ad avere embrioni da congelare e quindi da impiantare in più tentativi.
Con l’art. 14.3 concede per “grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile”.
E se la donna non risolve le gravi condizioni di salute, a chi appartengono gli embrioni, suoi figli, congelati?
È prevista una commissione di controllo per i limiti imposti dalla suddetta legge? Quali i requisiti di sorveglianza di questa commissione?
La legge vieta la diagnosi pre-impianto e ribadisce il poter ricorrere alla 194 (art. 14.1).
L’imbarazzo del legislatore diventa palese quando con l’art. 16 concede l’obiezione di coscienza, allora, in cuor suo, ha ponderato le morti!
Quale etica dunque per la biogiuridica e quale etica per la decisione clinica?
Quando la medicina della cura e della riparazione si trasforma in medicina del desiderio, si svuota della sua intrinseca finalità, non ha più limiti e perde il controllo.
Diventa tutto lecito solo perché tutto è possibile: abortire, fecondare in vitro, praticare l’eutanasia, utilizzare le cellule staminali embrionali con tutto il loro falso scientifico (i successi sono solo per l’utilizzo di staminali adulte).
Jacques Testart, pioniere della provetta, dopo la nascita di Amandine in Francia, e dopo aver deciso di non praticare più alcuna fecondazione extracorporea, dichiarava: “Per fare l’uomo rischiamo di disfare l’uomo”.
Altri due pionieri della provetta R.M.L. Winston e K. Hardy, pur continuando ad operare ancora, dichiarano: “Non si dovrebbe permettere che la disperazione dei pazienti, l’arroganza medica e le pressioni commerciali siano gli aspetti chiave determinanti in questa produzione di esseri umani. Portare un bambino al mondo è la più seria responsabilità. Non possiamo ignorare le nubi che si stanno addensando sopra queste terapie”.
Tuttavia di buon auspicio sono proprio gli esempi di dedizione di molti medici, veri professionisti della salute, magari proprio di quei tanti, che silenziosamente, nell’anonimato, con umiltà, abnegazione, coraggio, pazienza, preparazione, competenza, svolgono il loro ruolo.
Questi medici mi fanno credere e sperare che c’è sempre spazio per una alleanza terapeutica, dove la sofferenza incarnata in ogni vissuto personale si rende visibile nell’incontro tra due doni: quello della fiducia del paziente e della coscienza del medico.
Allora, dunque, una decisione clinica eticamente compatibile dovrebbe produrre sì le migliori soluzioni possibili, ma rimanendo nei due limiti fondamentali ed invalicabili della vita umana che corrispondono al suo naturale concepimento e al suo termine naturale.
Per accingerci a formulare un qualsiasi giudizio etico è doveroso a questo punto farsi delle domande:
1) Un figlio può essere un diritto dei genitori?
2) Produrre l’essere umano (un mio simile), che è sessuato fin da subito, al di fuori di una relazione sessuale non significa violentarne anche la sua natura e abbassarla a quella degli organismi inferiori? Non significa anche averne dominio attraverso la tecnica e il potere giuridico?
3) La tecnica FIVET in campo medico è terapeutica? In tal caso come si configurerebbe l’atto medico? Chi sono i pazienti? Il sistema sanitario nazionale deve allocare risorse per un atto che non cura la sterilità? (Per chi sostenesse il contrario sarebbero allora i figli la terapia?)
Concludo esponendo due situazioni.
Nel caso di gravidanza tubarica l’intervento medico è finalizzato a salvare la madre e non a determinare un’aborto.
Oltre tutto varrebbe la pena monitorare la gravidanza fino allo scoppio della tuba, in un clima di “attesa armata”, così da non intervenire direttamente sulla vita in atto del figlio e ciò aiuterebbe anche molto la madre nella elaborazione del suo lutto.
In ogni caso, l’azione medica è volta a salvare la vita della madre in un contesto di morte certa per il figlio.
La morte del figlio, aborto, risulta essere da “duplice effetto” del quale né il medico né la madre sono responsabili.
In questo esempio l’operare umano è per un bene massimamente eligibile (salvare la madre), non per un male minore (morte del figlio).
L’azione medica è rigorosamente una risposta ad un evento naturale (la gravidanza tubarica).
Consideriamo, invece, ciò che avviene nella fecondazione extracorporea.
È impossibile garantire all’essere umano preso nella sua singolarità e non solo come numero percentuale (pur minimo di per sé) la vita.
Il “fare provetta” è azione umana consapevole e responsabile che produce morti certe per cui gli aborti per fecondazione extracorporea (95%) non sono da “duplice effetto” ma sono “volontari in causa” (io so, posso non agire, agisco comunque) e di ciò siamo tutti responsabili.
È una sfida epocale al relativismo etico, al nichilismo, alla cultura della morte.
È una sfida alla capacità cognitiva, ragionativa e di scelta, per quei medici e scienziati che per primi escono sconfitti dalla loro ostinazione e cecità.
La difesa della vita umana non può essere assorbita dalla logica del male minore, mai. La riduzione del danno è doverosa purchè non sia un compromesso e purchè si dichiari sempre la verità.
Per difendere la vita non si rimedia alle conseguenze, si cerca di rimuovere l’ostacolo.
Nel nostro caso l’ostacolo è l’abominevole mentalità produttiva dell’essere umano, il quale merita ben altra accoglienza, culturale, etica, scientifica, genitoriale, socio-politica, legislativa.
Merita l’accoglienza dell’amore pienamente umano, della cura e difesa da parte del medico che è missionario perché è annunciatore, promotore e testimone di vita sempre.
Scafati, 08 maggio 2005
Adelaide Grimaldi
Comitato Verità e Vita