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Intervista a Giacomo Rocchi sulla legge sulle DAT

Intervista a Giacomo Rocchi sulla legge sulle DAT

Domande circa la legge 219 del 2017

Grazie Dott. Rocchi per essere qui con noi. Cominciamo col definire i termini della questione. Ci potrebbe spiegare, in breve, qual è il nucleo della legge sulle DAT? Cosa sono di preciso queste “Disposizioni Anticipate di Trattamento” e qual è la differenza tra tale dizione e quella di “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”?

La legge 219 del 2017 è intitolata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento“: potrebbe sembrare, quindi, che si tratti di una legge che regoli i rapporti tra i pazienti e i medici, attribuendo ai primi un maggior “potere” nei confronti dei secondi. In realtà, il nucleo vero della legge è un altro: la possibilità di ottenere, tramite il rifiuto del consenso, la morte del soggetto. La legge prevede espressamente che il paziente possa rifiutare i “trattamenti sanitari alla propria sopravvivenza” e, subito dopo, stabilisce che “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario”. Quindi: il diritto al suicidio “medicalmente assistito”.Ma non ci si ferma soltanto a questo; in primo luogo, equiparando le forme di sostegno vitale (nutrizione e idratazione) ai trattamenti sanitari, si rende possibile la morte anticipata non solo di malati, ma anche di disabili, qualunque sia la loro condizione(tutti noi moriamo se privati di cibo e acqua); in secondo luogo, quello che sembra un diritto personalissimo di morire riconosciuto al diretto interessato si rivela essere un potere di far morire attribuito ad altre persone, così come è espressamente previsto per i minori e gli incapaci (art. 3) e da altre norme; infine, dalla morte per omissione di terapie o sostegni vitali si giunge rapidamente – come è inevitabile – ad azioni positive di uccisione del soggetto: distacco dei macchinari, sedazione profonda di tipo eutanasico (espressamente prevista dall’art. 2), fino a giungere alla somministrazione di medicinali capaci di determinare la morte rapida del soggetto, come vorrebbe la Corte Costituzionale, che ha intimato al Parlamento di approvare una norma specifica, proprio facendo leva su quanto previsto dalla legge 219.Il passaggio dalle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (previste dai progetti precedenti) alle Disposizioni Anticipate di Trattamento comporta che i medici saranno obbligati ad obbedire alle volontà espresse anni prima da un soggetto che non conoscono su un pezzo di carta che può contenere un modulo precompilato riempito con le crocette! Esattamente il contrario della “relazione di cura tra paziente e medico” che, pure, la legge afferma di volere promuovere e valorizzare. Ovviamente – non nascondiamoci dietro un dito – le Disposizioni Anticipate di Trattamento saranno utilizzate esclusivamente per far morire rapidamente i soggetti che giungeranno privi di conoscenza negli ospedali.
Ultimamente abbiamo avuto modo di seguire con apprensione la vicenda di Vincent Lambert in Francia, che ci ha lasciati tutti sconvolti. Uno scenario del genere è possibile anche nel nostro paese con la legislazione attuale?
Certamente! Anzi: è già avvenuto. Mi riferisco al caso di Claudio de’ Manzano, morto a Trieste il 18 febbraio 2019. De’ Manzano non aveva redatto una DAT (come non lo aveva fatto Vincent Lambert); colto da ischemia cerebrale era stato ricoverato all’Ospedale di Cattinara: non era in stato vegetativo (non lo era nemmeno Lambert), ma era semiparalizzato e incapace di esprimersi e riconoscere i familiari. La figlia si era fatta nominare amministratore di sostegno e aveva chiesto all’ospedale di Cattinara di interrompere nutrizione e idratazione artificiale (così come la moglie di Lambert); di fronte al rifiuto di quell’ospedale, l’amministratore di sostegno aveva ottenuto dal giudice tutelare di poter dimettere il padre, lo aveva portato ad un altro ospedale, la Salus, e lì aveva ribadito il rifiuto di nutrizione e idratazione. La stessa amministratrice di sostegno, in un’intervista, così descrive quanto avvenuto: “Mio padre è morto di fame e di sete, sedato” e, in un’altra intervista, riferisce che “alla Salus è stato dato subito corso alla procedura di fine vita, durata venti giorni “.
Come vedete, i casi sono identici: anche per de’ Manzano, la morte per fame e per sete del soggetto (che non stava per morire, tanto che sono stati necessari molti giorni perché la fame e la sete lo uccidessero) è stata decisa dal suo rappresentante legale (in questo caso la figlia; per Lambert la moglie), su autorizzazione dei giudici, in conformità alla legge vigente. Quello che differenzia i due casi è che, in Francia e nel mondo, l’uccisione di Vincent Lambert ha sconvolto milioni di persone mentre la morte di Claudio de’ Manzano era passata sotto silenzio ed è stata rivelata alcuni mesi dopo soltanto perché la figlia ha denunciato l’ospedale che si era rifiutato di sospendere nutrizione e idratazione al paziente. Si, proprio così: gli unici ad essere sotto indagine penale sono i medici che si sono rifiutati di uccidere …
Il legislatore ha operato una separazione tra diritto alla vita e diritto alla dignità, a quale scopo? Tale artificio è collegato con il concetto di “best interest” utilizzato contro Charlie Gard e Alfie Evans?
Effettivamente, mentre nel progetto iniziale si affermava: “la legge … tutela la vita e la salute dell’individuo”, in quello finale il Parlamento ha trasformato la “tutela della vita e della salute” in “tutela del diritto alla vitae del diritto alla salute” e ha affiancato a tali diritti anche quelli “alla dignità e all’autodeterminazione“.Non è una modifica banale: si stabilisce che la vita umana non è più tutelata direttamente, come un bene di valore incommensurabile, ma è considerata oggetto di un diritto, come tale bilanciabile con altri diritti, e soccombente in alcuni casi; un diritto che può essere oggetto di rinuncia da parte del titolare. Soprattutto, è significativo l’affiancamento della “dignità” alla “vita”: il legislatore non considera più la dignità una caratteristica intrinseca della vita umana perché, appunto, “tira fuori”, estrae la dignità dalla vita.La visione antropologica è evidente: il Parlamento rifiuta la visione secondo cui l’uomo non ha dignità, ma la dignità è il valore e la preziosità che l’uomo è, e adotta invece quella secondo cui la dignità è attribuita ad un essere umano da altri uomini, è conferita a chi la “merita” sulla base di determinate caratteristiche dell’uomo o delle sue capacità o delle sue azioni: quindi può essere negata.Come non ricordare le parole tremende scritte dal Giudice che decise la morte di Alfie Evans? Uso l’aggettivo “tremendo” perché sono un giudice e conosco l’enorme potere che noi abbiamo sulle persone e soffro personalmente quando dimostriamo di abusarne. Secondo il Giudice Hayden, il trattamento per Alfie era “inutile” perché la sua vita mancava di “dignità”. Questo giudizio veniva ribadito anche prendendo atto che “l’atmosfera intorno ad Alfie era pacifica, dignitosa e, anche se alcuni potrebbero trovare sorprendente per me dirlo, molto felice. Il motore principale di tutto questo è la mamma di Alfie “: ma se un bambino malato, che non soffriva fisicamente, era assistito amorevolmente dai suoi genitori e la sua mamma era sempre con lui, a quale “dignità della vita” il Giudice Hayden faceva riferimento?Il Giudice riteneva che Alfie avesse bisogno di “pace, tranquillità e privacy per poter concludere la sua vita, come l’ha vissuta, con dignità” e di “cure palliative di buona qualità”: e allora perché affermava che “il continuo supporto ventilatorio non sia più nell’interesse di Alfie” e fosse un trattamento “futile”? La risposta è evidente: benché il bambino avesse già “pace, tranquillità e privacy” e, soprattutto, l’amore dei suoi genitori, ad essere inaccettabile era il fatto che egli continuasse a vivere. Si tratta dell’applicazione pratica, concreta, da parte di un Giudice di quella separazione tra “vita umana” e “dignità” che, come abbiamo visto, la legge 219 opera nella sua norma “programmatica”.Se la dignità non è più considerata intrinseca alla natura umana, altri si arrogano il potere di considerare alcune vite “non degne” e di farle terminare: ecco che il “best interest” del soggetto è quello scelto dai suoi legali rappresentanti o, come nel caso di Charlie e Alfie (ma già altri bambini sono in pericolo!), addirittura dallo Stato e, inevitabilmente, è individuato nella morte del soggetto.
Spesso si sente parlare del fatto che l’eutanasia è consensuale e che se c’è la volontà del paziente allora essa è un atto non solo lecito, ma anche dovuto. Come replica a queste affermazioni? Il consenso è davvero libero e informato?
Abbiamo già visto che, in realtà, la legge permette l’uccisione di soggetti prescindendo dalla loro volontà e, nel caso delle DAT, dando rilievo ad una volontà espressa in un momento lontano, nell’inconsapevolezza della situazione che si sarebbe presentata. Più in generale, la legge non garantisce affatto che la manifestazione della volontà di morire da parte del soggetto sia frutto di una scelta davvero libera e informata.Io mi chiedo: se una persona è depressa – come era Noa Pothoven, la ragazza diciassettenne uccisa su sua richiesta in Olanda – si deve dar corso alle sue richieste o, piuttosto, si deve fare di tutto per aiutarla nella sua malattia, sia dal punto di vista medico che dal punto di vista umano? Noi davvero pensiamo che le persone che chiedono di morire siano sempre serene e tranquille? Più in generale, se vediamo qualcuno che vuole buttarsi giù da un viadotto, dobbiamo dargli la spinta decisiva perché egli non ha il coraggio di saltare oppure dobbiamo afferrarlo ed impedirgli di suicidarsi e, poi, aiutarlo in tutti i modi?Ecco: una legge che prevede come possibile l’esecuzione da parte dei medici di una richiesta di morte è una ferita per l’intera società! Significa dire a queste persone in difficoltà che la loro vita non interessa a nessuno, che fanno bene a farsi da parte. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Costituzionale hanno più volte affermato che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio tutela il diritto alla vita “soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere(…) Il divieto dell’aiuto al suicidio è giustificato nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all’esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni di personale tornaconto”.In definitiva: fa bene lo Stato a vietare ogni istigazione o aiuto al suicidio; ha fatto invece male il Parlamento italiano a legalizzare il “diritto al suicidio medicalmente assistito” con la legge 219, perché questa possibilità mette in pericolo tantissime persone, soprattutto le più fragili e sole.Quanto al medico, lo stesso Codice Deontologico afferma che i medici non possono porre in essere attività dirette a procurare la morte del paziente: quindi essi hanno il diritto di astenersi da queste pratiche e anche il dovere morale di farlo; ed è grave che la legge non abbia nemmeno previsto l’obiezione di coscienza rispetto a queste condotte che portano alla morte i pazienti.
Un medico in tale contesto può scegliere di non eseguire la volontà del paziente? C’è una tutela della vita di una persona oppure se ne può tutelare solo la morte in nome di un fantomatico “diritto a morire”?
Come dicevo, la legge non permette l’obiezione di coscienza dei medici (ma nemmeno degli altri sanitari: pensiamo agli infermieri, spesso coinvolti nelle pratiche eutanasiche e che si trovano a dovere eseguire gli ordini dei medici):in questo è palesemente incostituzionale, perché il diritto all’obiezione di coscienza è un diritto umano fondamentale e inviolabile, come affermato dalla Corte Costituzionale.Leggendo la legge 219 notiamo una grottesca asimmetria: se il paziente rifiuta il trattamento sanitario, anche se salvavita (e anche per il futuro, mediante le DAT), il medico è obbligato a rispettare le sua volontà; se, invece, il paziente avanza richieste di terapie, la legge prevede che “il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche assistenziali e, a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali” (art. 1, comma 6): l’obbligo è solo per la morte e non per la vita! Non solo: il medico che ottempera alla richiesta di morte non corre alcun rischio, perché la legge prevede espressamente che egli “è esente da responsabilità civile o penale”; al contrario, il professionista che vorrà agire in scienza e coscienza per la tutela della vita e della salute del suo paziente sarà oggetto di azioni giudiziarie e anche di pressioni da parte della direzione dell’ospedale in cui opera.Come abbiamo visto, nella vicenda della morte procurata di Claudio de’ Manzano, gli unici ad essere stati denunciati sono stati i medici dell’Ospedale di Cattinara per essersi rifiutati di sospendere nutrizione e idratazione, che venivano erogati mediante sondino nasogastrico. Nel comunicato ufficiale, quell’ospedale ha ricordato che quel trattamento era “appropriato e necessario” e che, quindi, non si era dato esecuzione alla richiesta dell’amministratore di sostegno di sospenderli al paziente.
Quali potrebbero essere gli effetti di una tale legge da qui a 10 anni, sulla base dei precedenti a cui abbiamo dovuto assistere con orrore in altri paesi? Le persone parlano di una legge sull’eutanasia limitabile ad alcuni casi, ma è davvero possibile?
Faccio due riflessioni. La prima riguarda l’ordinanza n. 207 del 2018 della Corte Costituzionale che, sulla base di un ragionamento “logico”, ha osservato che, in certi casi è meglio uccidere rapidamente il paziente piuttosto che farlo morire lentamente soffrendo: è ovvio che si riferiva al caso di Fabiano Antoniani (Dj Fabo) nei cui confronti – dobbiamo ricordarlo, per non semplificare troppo i discorsi – le terapie contro il dolore fisico erano risultate inefficaci, cosicché egli soffriva fortemente; ma è altrettanto ovvio che il ragionamento “logico” può essere applicato a tutti i casi di morte lenta per omissione di cure o di sostegni vitali. Ancora sul caso de’ Manzano: la figlia, che ne ha determinato la morte, si è lamentata perché “non esiste una legge sull’eutanasia in Italia che affronti la morte con più rispetto per la persona”. In altre parole: era meglio se mi avessero permesso di far uccidere mio padre con un’iniezione!Ma, attenzione: questo ragionamento è stato usato per un anziano che aveva avuto un’ischemia cerebrale cosicché – sempre secondo la figlia – “è apparso chiaro che non sarebbe guarito e non avrebbe più avuto una vita dignitosa”.Tiriamo le fila: quando una persona ha una patologia inguaribile e non ha più una vita dignitosa, è bene che lo Stato preveda la possibilità di ucciderlo per decisione altrui. Ecco: gli sviluppi che si possono prevedere – e che vedremo sicuramente – si baseranno su questa affermazione. Gli anziani soli e in stato di demenza, o quasi demenza, saranno considerati avere una vita dignitosa? E i malati gravi? E i neonati prematuri o con disabilità (ricordiamo il Protocollo di Groningen)? E così via.La legge 219 permetterà tutto questo.Seconda riflessione: l’orrore suscitato da alcune vicende. Io penso che, purtroppo, la società si abituerà anche a queste uccisioni che, per di più – nella maggior parte dei casi – avverranno senza che nessuno ne sappia nulla, perché basterà una richiesta al medico e tutto avverrà nel silenzio per liberare un letto e non far spendere più una famiglia o la società per le cure ad un malato o ad un disabile. I casi “mediatici” come quelli che conosciamo purtroppo cesseranno; ma, allora, sarà il momento in cui ciascuno di noi dovrà guardarsi le spalle per non essere vittima di altrui decisioni in un momento di fragilità o di malattia. Homo homini lupus…
Secondo lei, la strategia adottata dal DDL Pagano per la proposta di attenuazione delle sanzioni contenute nell’articolo 580 c.p., è percorribile nell’ottica di impedire alla Consulta di scrivere una legge che liberalizzi in totola pratica eutanasica in Italia?
A mio parere, si tratta di una strategia errata sotto il profilo morale ma anche destinata al fallimento. In primo luogo, rinuncia ad affermare espressamente che la legge 219 del 2017 è una legge integralmente iniqua, perché legalizza l’eutanasia in Italia: quindi, il punto di partenza della proposta è una verità taciuta, nascosta; ma questo serve proprio ad individuare nella possibile (ma non certa) decisione della Corte Costituzionale il male da evitare, proponendo il “male minore”. Non è così: il male è la regolamentazione già adottata dal Parlamento; la riduzione delle sanzioni per il delitto di aiuto al suicidio è un male maggiore che si aggiunge a quello che c’è già!Non basta: di questo male sarebbero responsabili questa maggioranza parlamentare e le associazioni che sostengono la proposta, mentre, nel caso di sentenza di illegittimità costituzionale, la Corte Costituzionale avrebbe la responsabilità della sua decisione.Meglio, quindi, proporre ed approvare una legge che migliori il quadro ed elimini l’eutanasia per legge! Se la Corte Costituzionale – che ha basato il suo ultimatum al Parlamento proprio sul testo della legge 219 – si trovasse di fronte, il 24 settembre, un quadro totalmente cambiato, ad esempio con una legge che vietasse la sospensione della nutrizione e idratazione artificiale ai disabili o rendesse le DAT non vincolanti per i medici, cosa farebbe? Il segnale sarebbe forte e la Corte avrebbe difficoltà a mantenere la posizione espressa nell’ordinanza.Bisogna sempre promuovere il bene comune! Intervista di Fabio Fuiano

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