
Il caso Englaro
Il caso Englaro
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Il caso Englaro. Le domande che bruciano. ESD, Bologna, 2009Per far crollare una diga è sufficiente a volte una piccola crepa. Per far cadere l’ultima tessera di un domino basta far cadere la prima. Così sarà per l’eutanasia. E la crepa nel muro del principio dell’indisponibilità della vita umana, la prima tessera che è caduta, ha un nome bene preciso: il caso Englaro. Questo è proprio il titolo di un agile libretto scritto da Giacomo Rocchi (Il caso Englaro. Le domande che bruciano. ESD, Bologna, 2009) che si legge d’un fiato, quasi fosse un giallo alla Agatha Christie.
L’autore si muove tra le pagine processuali e i fatti accaduti intorno al letto di Eluana come fosse un detective, registrando incongruenze, appuntando contraddizioni e soprattutto ponendo agli indagati decine di domande chiare e scomodissime: Eluana era morta 17 anni fa? E se non lo era: potevamo considerarla malata? Davvero aveva chiesto di essere uccisa? I giudici hanno applicato le leggi oppure si sono inventati delle leggi ad hoc? Siamo di fronte all’uccisione di una disabile voluta dal padre?
Tra le moltissime cose che non quadrano in questa vicenda – una grande truffa ai danni di Eluana e della vita – Rocchi ci spiega che un processo si è trasformato in farsa. Un procedimento che da civile si è mutato in penale dato che decideva di questioni attinenti alla vita di una persona, dove Eluana paradossalmente fungeva da imputato, il padre ora da Pubblico ministero ora da testimone, dove i testi ascoltati non hanno mai riportato una sola frase in cui Eluana esprimeva la propria volontà di morire nel caso in cui fosse rimasta inchiodata in un letto in stato di incoscienza per anni. Un processo in cui è mancato il contraddittorio, dove il difensore di Eluana, il curatore speciale, la pensava allo stesso modo del padre. Un processo che ha stabilito che il tutore possa avere diritto di vita e di morte sull’interdetto. Quest’ultimo aspetto ha del grottesco: paradossalmente se il padre di Eluana ha potuto decidere in merito al diritto alla vita della figlia – diritto personalissimo non trasferibile nella gestione al tutore che ha competenza invece solo in ambito civile – allora poteva decidere per lei, a maggior ragione, anche in merito al suo diritto di coniugio. Se ad Eluana fosse scappato prima dell’incidente che era invaghita di un suo amico, perchè non ricostruire la volontà della donna e quindi mandarla in moglie a quel suo amico?
Come ogni thriller di spessore Rocchi chiude la sua indagine inchiodando i colpevoli – il padre, l’autorità giudiziaria, i medici e il personale infermieristico – dopo aver messo in fila una montagna di indizi. Ma purtroppo qui i colpevoli sono a piede libero e l’autore ci svela i loro piani criminosi per il futuro. Leggiamo infatti cosa dice la Corte di Appello di Milano: “Nulla impedisce di ritenere che il tutore possa adire l’Autorità Giudiziaria quando, pur non essendo in grado di ricostruire il pregresso quadro personologico del rappresentato incapace che si trovi in Stato Vegetativo Permanente, comunque ritenga , e riesca a dimostrare che il (diverso) trattamento medico in concreto erogato sia oggettivamente contrario alla dignità di qualunque uomo”. Ecco cosa provoca aver fatto cadere la prima tessera del domino: l’eutanasia dei disabili, non richiesta esplicitamente da loro quando sono coscienti, non richiesta da loro attraverso testamento biologico, non richiesta da loro attraverso un ricostruzione della loro presunta volontà. No, nulla di tutto questo. Queste tessere sono già tutte cadute. Non è più il malato o il disabile a decidere. Decidono gli altri – il tutore – per lui quando, così dicono i giudici, oggettivamente è evidente che siamo di fronte ad una vita che non è più degna di essere vissuta. Dall’autodeterminazione stiamo gia passando all’eterodeterminazione. L’ultima tessera sta per cadere.