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Giovannino: non e’ stato il primo e, purtroppo, non sara’ l’ultimo

Giovannino: non e’ stato il primo e, purtroppo, non sara’ l’ultimo

Comunicato Stampa 217

“dettaglio” della modalità del concepimento di Giovannino non si è parlato più di tanto, evidentemente considerato insignificante sia dai media che dall’opinione pubblica.

E invece la questione principale sta proprio in quel “dettaglio”, e per due ragioni:

  1. l’abbandono è frutto della stessa logica del “forte desiderio” : lo voglio, non  riuscito bene, lo scarto perché non è il prodotto che desideravo;
  2. la malattia di Giovannino potrebbe essere proprio la conseguenza della tecnica con cui è stato concepito, non importa se omologa o eterologa. È scientificamente provato che, per ottenere un figlio in braccio, molti embrioni, cioè molti fratellini di quel figlio, muoiano durante i vari momenti di applicazione della Fivet, e che altri vengano abortiti dopo
    l’impianto in utero, sia “spontaneamente” (vissuto dai più come una sorta di danno collaterale e invece direttamente collegato alla tecnica stessa) che volontariamente perché risultati portatori di patologie o di handicap. Fra
    quelli che vedono la luce una certa percentuale risulta più debole o affetta da malattie, e questo potrebbe essere il caso di Giovannino. (vedi:
    https://aigoc.it/2019/07/22/e-vero-progresso-scientifico-accettare-passivamente-la-morte-di-166-989-ed-il-congelamento-di-altri-51-332-essere-umani-per-dare-un-figlio-in-braccio-a-11-094-coppie-comunicato-n-3-del-22-lugl/)

Il Comitato Verità e Vita ribadisce fermamente, ancora una volta, quanto la tecnica di fecondazione assistita in vitro sia intrinsecamente ingiusta, perché occisiva e lesiva della dignità dell’uomo ridotto a mero oggetto di desiderio e a prodotto che si può fabbricare e gettare via se difettato, secondo una stretta logica eugenetica confermata dai dati contenuti nelle relazioni ministeriali dell’applicazione della legge 40/2004 che in Italia l’ha resa legale. La fecondazione in vitro è inoltre demolizione e negazione della famiglia, essendo quest’ultima il luogo del dono e dell’accoglienza, dell’amore vero, a partire dal più debole e bisognoso.

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