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2009-06-25

La sepoltura dei feti, gesto di grande umanità

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La Quercia
Millenaria
in collaborazione con le associazioni CiaoLapo Onlus
e Come–te, assieme al neonatologo Carlo Bellini ha in questi
giorni posto in atto una raccolta di firme per chiedere che in ogni
punto nascita italiano, il genitore che perde un bambino in
qualunque momento della gestazione, a qualsiasi credo religioso
appartenga, venga informato sulla possibilità di seppellire il
proprio figlio. Una iniziativa da condividere senza riserve per
più di una ragione: perché offre consolazione e conforto
a chi ha perduto un figlio prima della nascita, consentendogli di
pregare su una sepoltura, perché sottolinea – e ce
n’è sempre più bisogno – non solo
l’umanità del concepito, ma anche la dignità che
è dovuta ad ogni essere umano fin dal concepimento,
nell’attuale contesto culturale che tende sempre più a
considerare disponibile la vita umana nei suoi stadi iniziali e a
banalizzare l’aborto. Oggi il seppellimento dei bambini non nati
è reso possibile – ma di fatto è attuato assai
raramente- dal D.P.R. n.285 del 10/9/90 che ai commi 3, 4 e 50
stabilisce che possano essere seppelliti i bimbi abortiti, anche
quelli di età inferiore alle 20 settimane, su richiesta
presentata dai genitori, o da chi per essi, all’Unità
Sanitaria Locale. Questo D.P.R. è completato dalla circolare
dell’allora Ministro della Sanità Donat-Cattin che
sottolineava come ” lo smaltimento attraverso la linea di rifiuti
speciali, seppur legittimo, urta contro i principi dell’etica
comune”. Una iniziativa, quella del seppellimento dei feti
abortiti, che da dieci anni l’associazione Difendere la vita con
Maria
, sorta proprio con questo scopo, persegue con tenacia e
con buoni risultati in alcuni comuni, previo accordo con le ASL, ma
con qualche fatica proprio perché deve superare ostacoli di
natura ideologica. Gli stessi che si incontrano in Lombardia dove,
nonostante la Regione abbia legiferato in proposito, modificando la
normativa vigente in materia di seppellimento con l’aggiunta
del nuovo regolamento n. 014 approvato il 30 gennaio 2007, che
impone il seppellimento di tutti i concepiti abortiti, anche in
mancanza di richiesta da parte dei genitori, soltanto i comuni di
Desio e di Giussano, ottemperano alle disposizioni. E’
evidente infatti che la sepoltura dei bambini morti in grembo per
aborto spontaneo, rimanda inevitabilmente a quelli uccisi
dall’aborto volontario, degni allo stesso modo di sepoltura.
E questo francamente fatica ad essere accettato da una cultura che
ha fatto dell’aborto procurato una scelta di libertà e
di civiltà. Che si regge tuttavia sulla censura della
verità. Infatti solo reificando il concepito e negandone
l’umanità con il destinarlo all’inceneritore o
allo smaltimento rifiuti ospedalieri, si tranquillizza la
coscienza, allo stesso modo delle SS tedesche che – come racconta
Primo Levi nel suo ultimo romanzo “I sommersi e i
salvati” – pavimentavano i vialetti dei loro giardini con le
ceneri dei corpi degli Ebrei uccisi nei lager, nell’estremo
tentativo di privarli della loro dignità di uomini. Ma negare
l’umanità dei feti significa negare la nostra
umanità. Quell’ umanità che sin dagli albori della
preistoria ha fatto sì che l’uomo, unico fra gli esseri
viventi, seppellisse i suoi morti. Lo testimoniano i reperti di
numerosi siti archeologici, primo fra i quali l’antichissima
sepoltura di Shanidar, in Iran, dove, coricato su un giaciglio di
frasche, in posizione fetale, venne ritrovato un uomo di Neandertal
assieme ad alcuni oggetti che gli erano appartenuti in vita. Lungo
tutta la storia dell’uomo, in qualsiasi civiltà, a
qualsiasi latitudine, seppellire i morti è stata incombenza
pietosa, accompagnata spesso dall’edificazione di opere
d’arte destinate a durare nel tempo a testimonianza di una
consuetudine di rispetto e di amore per chi non è più di
questo mondo. Come non tornare con il pensiero a

Priamo, il vecchio re di Troia e alla tebana Antigone, splendide
figure che celebrano la nobiltà di cui l’uomo è
capace, l’uno che abbraccia, supplice, le ginocchia
dell’uccisore del figlio, pur di riportarne a casa il corpo
da seppellire, sottraendolo allo scempio dei cani e degli uccelli,
l’altra che non esita a sacrificare la vita, sfidando il
tiranno, per dare sepoltura al fratello. Tutta la storia
dell’uomo è attraversata dalla pietas per i morti che
testimonia affetto, tenerezza, consapevolezza
dell’appartenenza alla stessa umanità, attesa di
incontrarsi di nuovo, apertura verso il trascendente e
l’eterno. Negare la sepoltura significa negare tutto ciò
e rinchiudere la nostra umanità in un orizzonte privo di
speranza.

Marisa Orecchia



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