
Essere PRO-LIFE Oggi – Giacomo Rocchi

2018: Essere PRO-LIFE Oggi – Giacomo Rocchi
ESSERE PRO-LIFE OGGI
PER LA VITA SENZA COMPROMESSI
Albano Laziale, 26 – 29 luglio 2018
ESSERE PROLIFE
SOGNANDO IL FUTURO
Giacomo Rocchi
1. Quando ho dato il via libera al titolo del mio intervento, evidentemente dovevo essere distratto … In effetti, per chi mi conosce, sa che spesso sono invitato a qualche conferenza nella quale commento il testo di leggi o sentenze sotto il profilo giuridico, sia pure cercando di trarne il significato e la portata generale e, magari, facendo qualche considerazione più generale: così ho fatto per la legge sulla fecondazione artificiale, in incontri sulla legge sull’aborto, più recentemente prima e dopo l’approvazione della legge sul consenso informato e sulle DAT e, infine, in numerosi convegni sul tema dell’obiezione di coscienza (tenuti anche con il Centro Studi Livatino).
Sono un giurista pratico, so fare questo lavoro, cerco di non estendermi troppo e, tanto meno, di fare il tuttologo.
Questi titoli – per di più, si tratta dell’incontro introduttivo di questo Seminario – si affidano forse a persone un po’ anziane che si reputano sagge. Due anni fa mi era stato affidato il tema “QUANDO IL DIRITTO CIVILE DIVENTA INGIUSTO: COSA FARE?”: e già la domanda era piuttosto impegnativa …
Oggi invece l’argomento è ancora più – diciamo così – “esistenziale”, visto che si parla di “essere prolife”, ma di un certo tipo: il “prolife che sogna”.
2. ABBIAMO PERSO?
Comunque: come dice una pubblicità che vedo spesso in TV, prima dei sogni, ci sono le “solide realtà”. Quindi, per “sognare il futuro” si deve essere ben consapevoli della situazione in cui ci troviamo.
Beh, qualcuno potrebbe dire che, se i prolife sono coloro che difendono la vita umana innocente messa in pericolo, abbiamo perso.
Se gli ambiti nei quali viene volutamente soppressa la vita umana innocente sono l’aborto volontario, la fecondazione extracorporea e l’eutanasia, è un fatto oggettivo che in tutti e tre la soppressione è libera, è un diritto riconosciuto a coloro che vogliono sopprimere altre vite.
Riassumiamo brevemente il contenuto delle tre leggi che ci interessano (come vi ho detto: questo so fare e, del resto, se questo è un Seminario di Formazione, bisogna fare un po’ di fatica).
3. ABORTO
La legge sull’aborto, la 194 del 1978. L’aborto volontario, fino al momento in cui il feto ha capacità di vita autonoma, è libero, gratuito ed assistito.
3.1. Nei primi novanta giorni della gravidanza la donna che intende abortire si presenta al consultorio o a un suo medico di fiducia o a una struttura socio sanitaria, sostiene un colloquio al termine del quale riceve un certificato che attesta la sua presentazione, il suo stato di gravidanza e la sua richiesta di abortire; dopo sette giorni può presentarsi all’ospedale per abortire gratuitamente (articolo 4).
Il “serio pericolo per la sua salute fisica o psichica” che potrebbe derivare dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità in considerazione del “suo stato di salute, delle condizioni economiche, o sociali, o familiari, o delle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o della previsione di anomalie o malformazioni del concepito” è del tutto ininfluente: conta solo ed esclusivamente la decisione della donna, la sua autodeterminazione.
Nessuno può sindacare sui motivi che la spingono ad abortire.
Si pensi alla possibilità del ricorso al medico di fiducia: la donna fissa un appuntamento (può essere il medico del Servizio Sanitario Nazionale, oppure un medico amico o comunque scelto dalla donna), si reca allo studio con l’analisi di gravidanza e chiede di abortire; il medico le scrive un certificato; la donna prende un appuntamento con l’ospedale che, nella maggior parte dei casi, glielo fissa entro due – tre settimane; in nove casi su dieci l’esecuzione dell’aborto non richiederà un pernottamento presso l’ospedale; l’intervento è gratuito.
Una conferma dell’irrilevanza dei motivi effettivi del ricorso all’aborto viene dalle Relazioni ministeriali sull’applicazione della legge 194: non sono mai stati indicati i motivi per cui le donne hanno chiesto di abortire nei primi 90 giorni.
Per procedere all’aborto basta la richiesta della donna.
3.2. Dopo i primi tre mesi di gravidanza la procedura sembra diversa: occorre un certificato medico che attesti un “processo patologico che determini un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna” (articolo 6). La legge, però, include tra i processi patologici le “rilevanti anomalie e malformazioni del nascituro”: e così una diagnosi prenatale sfavorevole (anche di carattere probabilistico) permetterà di ritenere che il “completo benessere psicofisico” – è la definizione della salute psicofisica adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – sia messo in pericolo.
Gli aborti dopo i primi novanta giorni sono enormemente aumentati in questi trent’anni di applicazione della legge (0,7% nel 1983, 5% negli ultimi anni), in corrispondenza del progresso delle tecniche diagnostiche prenatali: nella gravidanza si scatena ormai una raffinata caccia al bambino imperfetto. Più di 1.000 aborti all’anno vengono eseguiti oltre la 21a settimana di gravidanza, quando, cioè, è ipotizzabile una capacità di vita autonoma del feto (in quanto i neonatologi, in caso di parto prematuro avvenuto spontaneamente, riescono a salvare una parte dei bambini nati alla 21a settimana).
Le relazioni dei Ministri della Salute confermano che tutti gli aborti dopo i novanta giorni dipendono dai risultati di diagnosi prenatali: e ciò dimostra che non è “la realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione” a determinare l’aborto, come pretendeva la Corte Costituzionale (le sentenza n. 27 del 1975, che dette il via libera alla legalizzazione dell’aborto), ma la volontà della madre, così come nei primi novanta giorni.
Che si tratti di un diritto soggettivo pieno anche dopo i novanta giorni è affermato ripetutamente e definitivamente sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione civile, il massimo organo giudiziario del Paese, che ha riconosciuto il diritto della madre al risarcimento del danno per la nascita indesiderata di un figlio con sindrome di Down. Leggiamo: “Dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la presenza delle condizioni ivi rigorosamente tipizzate non ha solo efficacia esimente da responsabilità penale, ma genera un vero e proprio diritto all’autodeterminazione della gestante di optare per l’interruzione della gravidanza” (Sez. U, Sentenza n. 25767 del 22/12/2015, Rv. 637625 – 01)
Conosciamo tutti il numero enorme di bambini uccisi legalmente in questi 40 anni; sappiamo anche – le Relazioni Ministeriali lo confermano ogni anno – che la legalizzazione dell’aborto non è riuscita nemmeno a cancellare gli aborti clandestini, che sono diverse decine di migliaia ogni anno (l’ultima Relazione ministeriale, pagg. 95 – 100, indica una cifra da 10.000 a 13.000 aborti clandestini all’anno, segnalando che la diminuzione recente è collegata all’utilizzo delle pillole dei giorni dopo, vendibili senza ricetta in farmacia).
4. PILLOLE CHE UCCIDONO
L’aborto si è enormemente esteso con la diffusione delle pillole criptoabortive, le “pillole che uccidono”: anche sotto questo profilo, ogni tentativo legale di impedirne la diffusione è fallito, fino a giungere alla vendita senza ricetta delle pillole dei giorni dopo alle maggiorenni e con ricetta alle minorenni.
I giudici amministrativi non hanno impedito nemmeno la modifica del foglietto illustrativo del Norlevo che, ora, non risulta più nemmeno formalmente antinidatorio, nonostante gli effetti siano proprio quelli (ordinanza TAR Lazio del 28/5/2014)
Nel 2015 sono state acquistate oltre 145.000 confezioni di EllaOne (la pillola dei cinque giorni dopo): l’AIGOC calcola che gli aborti provocati sono stati più di 27.000.
5. FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Legge 40 del 2004 sulla fecondazione artificiale. Cosa è rimasto di quel grande “successo strategico” della politica cattolica e della CEI?
Poco dopo l’approvazione della legge partecipai ad un’opera a più voci sulla legge 40 : cercai di ricostruire uno “statuto dell’embrione” sulla base delle norme approvate. La legge, all’art. 1, comma 1, dichiarava di volere “assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” che, appunto, veniva riconosciuto come soggetto di diritto; cercai di far emergere quali fossero i diritti del concepito cui il legislatore faceva riferimento: valorizzando come norma cardine l’art. 6, comma 3 della legge, che impedisce la revoca del consenso della coppia dopo la fecondazione dell’ovulo, sottolineavo che il legislatore prevedeva un “prima” e un “dopo”; perché, appunto, dopo la fecondazione esiste un nuovo soggetto con una sua autonomia, cosicché coloro che lo hanno generato non possono più semplicemente revocare il consenso ad un trattamento di carattere medico, avendo assunto nei confronti del concepito determinate responsabilità.
Alla luce di quanto sopra estraevo dalle norme della legge i vari diritti dell’embrione: il diritto alla vita, il diritto ad essere curato, il diritto a non essere sottoposto a sperimentazioni non funzionali alla tutela della sua salute, il diritto ad essere trasferito nel corpo della madre genetica (e non di altra donna) per avere una chance di nascere; sostenevo, quindi, che la norma vieta il congelamento di “ootidi” o “preembrioni”, concetto che l’individuazione di quel “momento” istantaneo non permette; interpretavo la legge nel senso dell’esistenza di un divieto della diagnosi genetica preimpianto; sostenevo che, a parte l’incoercibilità fisica del trasferimento in utero degli embrioni, il rifiuto ingiustificato della donna di procedere ad esso fosse sanzionato penalmente. L’embrione, in caso di esito positivo del trasferimento nell’utero della madre genetica e della conclusione della gravidanza aveva poi diritto, diventato bambino, ad essere riconosciuto figlio dei genitori genetici, salvo il caso del coniuge o convivente che aveva consapevolmente acconsentito alla fecondazione eterologa.
Per assicurare questi diritti, il legislatore aveva previsto limiti ristretti per l’accesso alle tecniche di fecondazione in vitro, permesso solo come extrema ratio alle coppie di sesso diverso coniugate o conviventi sterili o infertili, in età “potenzialmente fertile”, entrambi viventi; aveva, appunto, vietato alla coppia la revoca del consenso all’applicazione delle tecniche dopo l’avvenuto concepimento, vietato la fecondazione eterologa, stabilito il numero massimo di embrioni producibili per ogni ciclo, vietata la soppressione degli embrioni nonché il loro congelamento, la loro selezione nonché interventi sugli embrioni diretti ad alterare il loro patrimonio genetico e ancora la sperimentazione diretta a finalità diverse dalla loro cura; sancito l’obbligo di un trasferimento immediato e contestuale nel corpo della madre di tutti gli embrioni prodotti, con il conseguente divieto per la madre di rifiutarlo, limitando i casi di mancato trasferimento alle “gravi e documentate cause di forza maggiore relative allo stato di salute della donna non prevedibili al momento della fecondazione”, cessate le quali l’obbligo riprendeva vigore.
Dopo tredici anni, come possiamo sintetizzare il contenuto normativo della legge 40? Cosa è lecito fare e viene generalmente praticato?
Sintetizzo:
– sovrapproduzione di embrioni;
– congelamento della maggior parte di loro;
– riconoscimento della liceità della diagnosi genetica preimpianto;
– riconoscimento della possibilità per la donna di rifiutare il trasferimento di alcuni embrioni;
– riconoscimento della possibilità di selezionare gli embrioni da trasferire;
– riconoscimento della possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa;
– riconoscimento esplicito dell’accesso alle tecniche anche a coppie fertili portatrici di patologie genetiche.
Sono, poi, in corso movimenti ben conosciuti tendenti alla caduta del divieto di utero in affitto: li conosciamo bene, l’azione è coordinata tra giudici di merito, Cassazione e Comuni; segnalo soltanto che pende davanti alle Sezioni Unite il ricorso relativo all’iscrizione all’anagrafe dell’atto di nascita con due padri omosessuali uniti all’estero ma che, nel frattempo, il Tribunale di Pordenone ha lanciato la “bomba” di una questione di costituzionalità per il divieto di ricorso alla fecondazione artificiale di una coppia di donne, ovviamente facendo leva sulla legge sulle unioni civili; se verrà accolta, inevitabilmente si dedurrà l’ingiustizia di un divieto limitato solo ai maschi, lesi nel loro diritto alla genitorialità e avremo l’utero in affitto in Italia (magari la Corte metterà i “paletti” che, ovviamente, saranno del tutto inefficaci); pende anche altra questione analoga sollevata dal Tribunale di Pisa.
5. CONSENSO INFORMATO E DAT
E infine vediamo la nuova arrivata, la legge sul consenso informato e sulle DAT (legge 219 del 2017).
Su questa legge forse dobbiamo fare un po’ di fatica, per spiegare come è fatta. Però è importante capire a cosa serve davvero e l’uccisione di Patrizia Cocco il giorno successivo all’entrata in vigore della legge è assolutamente significativa.
In sintesi: il testo approvato ha un’ispirazione espressamente eutanasica e ha come reale obiettivo quello di favorire l’uccisione non consensuale di soggetti deboli e “inutili” a prescindere dalla loro effettiva volontà di rifiutare le terapie necessarie o utili.
Tutta la regolamentazione è diretta a favorire scelte non consapevoli né libere degli interessati e, soprattutto, decisioni prese da terze persone: fondamentale, pertanto, è l’art. 3 del progetto che attribuisce a tutori, amministratori di sostegno e genitori di minori ogni decisione sul loro trattamento sanitario, attribuendo loro anche il potere di vietare o interrompere terapie salvavita o di disporre l’interruzione di nutrizione e idratazione, come avvenne per Eluana Englaro. Su questo tema è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, ma con un fine assai diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: non tanto tutelare la salute e la vita degli incapaci, ma trasferire il potere decisionale dai loro legali rappresentanti al giudice tutelare; cosa i giudici possano decidere in questi casi lo abbiamo già visto nel caso Englaro in Italia, nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans in Gran Bretagna e anche in altri paesi.
Le Disposizioni Anticipate di Trattamento, poi, sono la negazione di un consenso libero ed informato del soggetto sulle questioni relative alla propria salute, perché permettono di disporre per un futuro incerto e lontano da parte di colui che si trova in condizioni del tutto differente da quelle rappresentate: eppure esse sono state previste come vincolanti e non soltanto orientative per i medici.
L’analisi della disciplina del consenso informato ai trattamenti sanitari da parte del soggetto maggiorenne dimostra che il legislatore non ha alcun interesse ad una manifestazione di volontà moralmente libera e davvero consapevole, favorendo la forma scritta e la delega ad altre persone: la disciplina metterà in difficoltà tante persone in stato di debolezza, indotte a chiedersi se davvero vale la pena farsi curare. Lo Stato non esprime più vicinanza e solidarietà ai soggetti fragili, ma indica loro la via della morte per mancanza di cure.
Tutto il disegno è ispirato all’obiettivo di permettere la morte procurata di quante più persone possibili: il legislatore esprime palese disinteresse verso l’erogazioni delle terapie migliori per i pazienti; cosicché, mentre i rifiuti delle terapie anche salvavita sono sempre vincolanti per i medici, le indicazioni dirette ad ottenere terapie migliori o prolungate non li obbligano mai.
La figura del medico esce stravolta da questa legge: il medico – come nella legge sull’aborto – è colui che esegue i voleri del paziente e non agisce se non è sicuro del foglio scritto con il consenso; per di più, i medici volenterosi saranno esposti ad azioni giudiziarie e a pressioni da parte delle Direzioni Sanitarie.
Soprattutto, il “buon” medico disegnato da questa legge deve essere pronto ad uccidere il paziente.
Lo stravolgimento della verità e la negazione della realtà naturale, che conducono a presentare l’uccisione del paziente come atto terapeutico non possono che portare ad una negazione di ogni obiezione di coscienza: la norma che dovrebbe garantirla non solo riguarda solo i medici, ma non li tutela affatto, addirittura costringendoli a partecipare alle procedure eutanasiche; gravissima poi è l’espressa previsione dell’obbligatorietà per tutte le strutture sanitarie, anche private, di attuare i principi stabiliti dalla legge: tutti gli ospedali dovranno garantire la morte per eutanasia!
Un’analisi più approfondita della legge si trova sul sito del Comitato verità e Vita.
6. OBIEZIONE DI COSCIENZA
Molto preoccupanti sono le evoluzioni in punto di obiezione di coscienza, che il legislatore volutamente non ha riconosciuto né nella legge sulle unioni civili, né in quella sul consenso informato e sulle DAT.
Si tende a negare il diritto, sia facendo apparire pillole non abortive quelle che, invece, lo sono, sia mediante la riduzione dello spazio riconosciuto dall’art. 9 della legge 194 del 1978, cosicché agli obiettori di coscienza che lavorano nei consultori viene imposto di firmare il certificato da consegnare alla donna, sostenendo che non si tratta di atto specificamente diretto a determinare l’aborto, mentre è stato condannato il medico ecografista perché si era rifiutato di eseguire l’ecografia dopo l’assunzione della RU 486 per verificarne l’effetto. Si noti che su questo ultima vicenda è evidente la volontà persecutoria dei giudici, tenuto conto che l’aborto era perfettamente riuscito e l’ospedale aveva sollevato il medico da qualsiasi responsabilità disciplinare.
7. SCOLLAMENTO DEI GIUDICI DALLA REALTA’ NATURALE
Se questo è la situazione strettamente legislativa (che ovviamente si completa con la legge sulle unioni civili e il divorzio brevissimo), dobbiamo dare atto che il quadro complessivo per i difensori della vita è assai più fosco.
Sempre restando sul piano giuridico, quello che si nota è il progressivo scollamento delle decisioni dalla realtà naturale, che viene sostituita da una realtà differente.
DUE DONNE POSSONO GENERARE FIGLI
Questo è evidente in un settore – quello del gender e dintorni, delle coppie omosessuale e dei loro diritti – che è interamente costruito artificiosamente, ma ha a che fare, ovviamente, con la fecondazione artificiale.
Leggiamo questo passaggio: “Se l’unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale dove la persona svolge la sua personalità e se quella dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi (…) allora deve escludersi che esista, a livello costituzionale un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche di generare figli” (Cassazione civile, sez. I, sentenza 30 settembre 2016, n. 19599).
Si tratta della sentenza della Cassazione civile che ha respinto il ricorso del Procuratore Generale di Torino che si opponeva alla trascrizione nel registro dello stato civile dell’atto di nascita di un bambino spagnolo, concepito mediante la fecondazione in vitro utilizzando il seme di un uomo rimasto ignoto e l’ovocita di una donna e partorito dalla compagna di tale donna, così risultando già in Spagna (in base alla legge in quel Paese vigente) e ora anche in Italia figlio di entrambe le donne, che costituiscono (anzi: costituivano) una coppia omosessuale.
Esaminiamo nuovamente il brano e ricordiamo che il modo con cui il bambino è stato concepito è ben conosciuto alla Suprema Corte, che lo descrive in un altro passo. Ciò che colpisce, ovviamente, è l’utilizzo del termine “generare” riferito alla condotta delle due donne, benché – come è evidente dal punto di vista oggettivo – la donna che ha condotto la gestazione e ha partorito il bambino non l’ha generato, mentre l’altra donna, che ha fornito il proprio ovulo, non ha generato da sola l’embrione, ma con il contributo del seme maschile.
Vedete: la premessa è di carattere del tutto giuridico (la coppia omosessuale è una “formazione sociale dove si svolge la personalità dei suoi componenti”; esiste un diritto delle persone omosessuali a formare una “famiglia”, ora riconosciuto anche dalla legge Cirinnà), non esiste un divieto costituzionale delle stesse coppie ad “accogliere” i figli … sono tutte affermazioni che si rifanno a sentenze della Corte Costituzionale (ovviamente utilizzate per la parte che interessa) o a sentenze della stessa Cassazione civile o di giudici di merito o al testo della legge Cirinnà o di quella sull’adozione (interpretata nel senso favorevole all’adozione delle coppie omosessuali); anche la finalità è di carattere giuridico: affermare che una coppia omosessuale può avere dei figli e, soprattutto (come si afferma in un altro passo) che il metodo seguito dalle donne spagnole non costituisce utero in affitto, ma fecondazione eterologa (che ora la Corte Costituzionale ha reso legittima) e che, quindi anche le coppie omosessuali femminili in Italia potranno fare la stessa pratica (e se lo potranno fare le coppie lesbiche, dopo si dirà: perché non possono farlo le coppie omosessuali composte da due uomini?).
Insomma: è evidente che questa sentenza inizia a realizzare ciò che era stato previsto: che cioè, con la legge sulle unioni civili e con la sentenza sulla fecondazione eterologa, le coppie omosessuali potranno ben presto avere figli propri …
Eppure, per giungere a questo risultato, il Supremo consesso ha dovuto – anzi: ha voluto – utilizzare una parola – appunto: generare – stravolgendone il contenuto oggettivo ed affermando, quindi, che in questo modo sono state le due donne ad avere generato il figlio, mentre l’uomo – rimasto ignoto per legge – non ha contribuito a generarlo.
Per la Cassazione, quando e come avviene, allora, la “generazione” di un figlio? La sentenza, in un diverso passaggio, nell’argomentare circa la non assimilabilità della fattispecie all’utero in affitto, sostiene che le differenze sono due: il fatto che “il gamete maschile è stato fornito necessariamente da un donatore terzo” e quello che la donna che ha fornito l’ovulo lo abbia fatto “nell’attuazione di un progetto genitoriale comune con la partner partoriente”.
Ecco qui: “love is love”, verrebbe da dire; la fornitura del seme maschile – in quanto avvenuta per soldi e senza che esista alcun legame con la/le donne interessate – non permette di creare alcun rapporto di genitorialità tra l’uomo e il bambino, cosicché, nel ragionamento della Corte, il padre genetico scompare; invece, la analoga fornitura del proprio gamete da parte della donna la rende madre del bambino, perché ella ha un “progetto comune” con quella che porterà avanti la gravidanza e partorirà.
Del resto, aggiunge la Corte (senza avvedersi che la frase dovrebbe essere applicata anche all’uomo), “non si può negare l’importanza del contributo dato dalla donna che ha trasmesso il patrimonio genetico, decisivo per lo sviluppo e per l’intera vita del nato”.
Naturalmente questa negazione della realtà naturale da parte dei giudici, questo sconvolgimento della realtà delle cose – quel bambino è figlio anche di quell’uomo e ha diritto ad avere un padre, la coppia omosessuale non è affatto una formazione sociale in cui si sviluppa la personalità dei componenti, la coppia omosessuale che si procura in qualche modo dei bambini non è affatto una famiglia – è reso possibile dall’esistenza di leggi; anche se a livello pubblico fanno più notizia le pronunce giurisprudenziali, è ovvio che alla base di queste decisioni c’è (in Italia e in molti altri Paesi) una legge che autorizza la fecondazione artificiale e quindi rende possibile tutte queste – chiamiamole così – “combinazioni”.
Riconoscere come lecita la fecondazione artificiale – soprattutto quella in vitro – significa decidere di staccarsi definitivamente dal dato naturale e, appunto, creare una realtà del tutto diversa; ma facendo così si deve accettare la logica di questa tecnica.
In definitiva, l’esempio che vi ho portato è il risultato di una doppia artificialità: quella del matrimonio – non a caso molte sentenze non usano più il concetto – che pure è scritto in Costituzione – di matrimonio come “società naturale”, ma parlano di “matrimonio tradizionale” e quella della fecondazione.
DUE UOMINI POSSONO FORMARE UNA FAMIGLIA CON UN FIGLIO
Se, infatti, leggiamo una delle ordinanze con cui il Tribunale per i minorenni di Roma ha affidato definitivamente un bambino ad una coppia di uomini che l’aveva comprato in Canada con l’utero in affitto, vediamo che i giudici parlano di famiglia “tradizionale”: la famiglia non è più naturale, ma è tradizionale, perché le indicazioni provenienti dal sistema interno e da quello sovranazionale sono quelle di una “evoluzione socio-giuridica della famiglia e dell’emergere di nuovi modelli di vita familiare, considerati ormai come formazioni sociali giuridicamente rilevanti”; quindi “emerge un quadro chiaro nel quale non solo trova conferma l’idea pluralistica dei modelli familiari, ma anche una concezione funzionale della famiglia che pone attenzione al rapporto prima ancora che all’atto. L’esistenza di rapporti familiari già consolidati, la presenza di vincoli e legami affettivi, umani e solidali, la comunità di vita materiale e spirituale depongono a favore della rilevanza giuridica di ogni modello familiare”.
Insomma: non si consegna soltanto un bambino nelle mani di due omosessuali che lo hanno acquistato, ma si vuole mutare la realtà naturale della famiglia; si vuole che la popolazione cambi la propria visione sulla realtà naturale.
Questo risulta in maniera ancora più chiara nel passaggio finale: in esso si sostiene che corrisponde al “best interest”, il supremo interesse del minore, vedersi adottato dal compagno omosessuale del padre genetico, per di più utilizzando una norma che permette l’adozione in casi particolari, quando è impossibile l’affidamento preadottivo.
Ora, la cosa è assolutamente chiara: il bambino si trova in quella situazione perché è stato strappato alla sua mamma il giorno stesso della nascita (il Tribunale ricorda che il convivente del padre genetico si trovava in sala parto, è stato il primo a prendere il bambino in braccio e ha proceduto a tagliare il cordone ombelicale!) e portato in un Paese che si trova dalla parte opposta della terra.
Il Tribunale per i minorenni, nel valutare il “migliore interesse del bambino”, non menziona mai la madre, non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi che l’interruzione del rapporto tra il figlio e la madre abbia costituito un danno per il bambino, cui è stata negata la figura materna: e contestualmente afferma che, tenendo conto “delle situazioni di fatto che sono da tempo esistenti e cristallizzate” e che il bambino “è nato e cresciuto con il ricorrente e il suo compagno”, afferma che egli “ha instaurato con loro un legame inscindibile che, a prescindere da qualsiasi classificazione giuridica, nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale”.
Un altro segnale: nel momento decisivo, i giudici “sperimentano” sulla vita umana e ritengono addirittura secondario il dato giuridico, perché il principio affermato non è (solo) giuridico, è ancora una volta una ridefinizione della natura: il rapporto tra un bambino e la sua mamma è uguale a quello tra un bambino e il convivente maschio del padre.
8. LA NEGAZIONE DELLA REALTA’ DELL’EMBRIONE
Noi conosciamo bene questo scollamento, questo nascondimento della realtà naturale con riferimento alla tutela dell’embrione e del bambino prima di nascere: benché la legge 194 del 1978 presupponesse l’esistenza di una vita umana, che affermava di voler tutelare “fin dal suo inizio” e benché, addirittura, la legge 40 del 2004 definisse l’embrione “soggetto di diritto”, promettendo di tutelarne i diritti, è evidente la cancellazione dallo scenario del soggetto, al fine di permetterne la soppressione o l’utilizzazione nei modi ritenuti utili, necessari, piacevoli, lucrosi per gli adulti.
DA PERSONA CHE DEVE ANCORA DIVENTARE A “UOMO CHE DEVE ANCORA DIVENTARE”
Forse l’esempio più eclatante per far vedere il modo di ragionare è il lapsus in cui è incorsa la Cassazione civile in una sentenza che ribadiva il diritto al risarcimento del danno per nascita indesiderata di una bambina down, quella che premetteva che “La concezione della vita come oggetto di tutela, da parte dell’ordinamento, in termini di ‘sommo bene’, di alterità normativa superiorem non recognoscens, (…) è percorsa da forti aneliti giusnaturalistici, ma è destinata a cedere il passo al raffronto con il diritto positivo”. (Sez. 3, Sentenza n. 16754 del 02/10/2012, Rv. 623595 – 01)
La Cassazione ricorda la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 1975 che depenalizzò l’aborto volontario e cita il passaggio fondamentale. La Corte Costituzionale aveva detto:
“non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”.
La Cassazione cita in questo modo il “magistrale insegnamento della Corte Costituzionale”:
“sarà compito di un essere umano (la madre) già vivente assicurare tutela a chi essere umano deve ancora diventare”. Quindi, la negazione tout court che il bambino prima di nascere è un essere umano.
OBBLIGO DI PRESCRIVERE LE PILLOLE DEI GIORNI DOPO PER GLI OBIETTORI
Gli esempi sono molteplici: in Italia abbiamo avuto due anni fa una sentenza del TAR del Lazio, cui ho già fatto cenno, che obbliga i medici dei consultori pubblici obiettori di coscienza a prescrivere “contraccettivi post – coitali”, vale a dire le cd. pillole dei giorni dopo, alle donne che ne fanno richiesta.
Il motivo per cui i medici obiettori (così come i farmacisti) si rifiutano di prescrivere o somministrare tali preparati si basa su un dato scientifico: si tratta di preparati che intervengono sia per impedire la fecondazione dell’ovulo (appunto, come contraccettivi), sia – nel caso in cui sia avvenuta la fecondazione dell’ovulo – per impedire il suo annidamento nell’utero della madre, rendendo l’endometrio inospitale. Nel singolo caso di utilizzo della pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo, ovviamente, non è certo se il preparato agirà in un modo o nell’altro: ma, per il principio di precauzione, il sanitario non vuole – perché la sua coscienza glielo vieta – contribuire all’uccisione di un embrione.
Ebbene, il TAR del Lazio sostiene che “le norme di rango costituzionale non recano una nozione certa circa il momento iniziale della vita umana” Il TAR del Lazio, cioè, afferma che – nel 2016! – ancora “non sa” se la vita umana comincia al momento del concepimento! E lo fa ribadendo una sua pronuncia del 2001!
Come si vede, il giudice fa una scelta chiaramente “politica”, sostenendo che non è il dato naturale e scientifico, ma è il legislatore a stabilire quando inizia la vita umana e addebita al legislatore di non averlo fatto! Perché dico che si tratta di una scelta “politica”? Perché il legislatore, appunto con la legge 40 del 2004, ha definito il concepito come “soggetto di diritti”; se è soggetto di diritti, sarà vita umana?
9. LA FECONDAZIONE IN VITRO NEGA LA NATURA DI ESSERE UMANO DEL BAMBINO
Per le sue caratteristiche, le fecondazione in vitro è il “regno” della cancellazione del dato naturale: l’embrione è un prodotto: nel significato letterale del termine, poiché esso viene, appunto, prodotto; non a caso, la legge n. 40 del 2004 utilizza il termine “produzione” o “prodotto”, con riferimento agli embrioni, in alternativa ai termini “creazione” o “creato”.
Non basta: la tecnica di fecondazione in vitro più diffusa, l’ICSI (in italiano: Microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), permette la produzione di un singolo determinato embrione: con tale tecnica, infatti, viene preventivamente selezionato un solo spermatozoo che viene iniettato in uno specifico oocita da cui è stato rimosso il complesso cumulo-corona; in altre parole, oocita e spermatozoo sono previamente individuati e selezionati.
Infine: l’embrione viene prodotto perché serve ad uno scopo, è utile rispetto ad un obiettivo; le tecniche di fecondazione artificiale hanno un senso solo con riferimento allo scopo che, di volta in volta, esse perseguono.
La natura di prodotto si riflette inevitabilmente sulla considerazione che dell’embrione ha l’autore della produzione: la sua esistenza dipende dalla volontà e dall’azione di chi lo produce; le sue caratteristiche dipendono dalle scelte degli adulti; esso viene prodotto quando è necessario; può essere prodotto “in serie”; e, poiché serve ad uno scopo, deve superare il “controllo di qualità” tipico di quelle produzioni: non essere, quindi, malato, imperfetto, poco vitale.
Il controllo di qualità si persegue con la Diagnosi genetica preimpianto, ma anche con la diagnosi osservazionale degli embrioni; le tecniche ICSI possono avere la medesima finalità, perseguita preventivamente mediante selezione dell’oocita e dello spermatozoo “più adatti”.
È utile confrontare il quadro fin qui tratteggiato con la “visione” che si ha, nell’esperienza comune, degli embrioni concepiti naturalmente a seguito di rapporto sessuale: essi si impongono agli adulti, perché un rapporto sessuale non determina necessariamente un concepimento e, quindi, l’uomo e la donna non sanno se vi sarà un concepimento e quando avverrà; non solo: la donna non si avvede dell’avvenuto concepimento nel momento in cui esso avviene – come accade nella fecondazione in vitro con l’esame della provetta in cui sono stati posti oocita e spermatozoi – ma successivamente, quando l’embrione esiste già.
Per completare il confronto con la tecnica ICSI, non solo i due adulti non sanno se e quando avverrà il concepimento, ma ignorano chi sarà il concepito, attesa la grande quantità di spermatozoi che tenteranno di penetrare nell’oocita e, quindi, l’impossibilità di predeterminare quale di essi contribuirà al concepimento.
Ecco che il concepito naturalmente non fatica ad imporsi – prima alla donna, poi agli altri adulti – come altro, soggetto che, pur nel corpo della madre, esiste autonomamente, perché ha iniziato la sua esistenza in un momento sconosciuto e non percepito, lo ha fatto a prescindere dalla volontà di chi l’ha generato (mentre una volontà diretta alla sua creazione non sempre produce l’effetto voluto); soggetto diverso da madre e padre e che ha un proprio progetto (che, non a caso, talvolta collide con i progetti e la volontà degli adulti).
LA VICENDA DEL COSTARICA: ANNIDAMENTO E’ IL CONCEPIMENTO
Conosciamo la vicenda del Costa Rica: si tratta della decisione della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 28 novembre 2012, che ha condannato il Costa Rica per il divieto di fecondazione in vitro, che avrebbe violato i diritti alla vita privata, all’integrità e all’autodeterminazione personale nonché il diritto a formare una famiglia riconosciuti dalla Convenzione americana dei diritti dell’Uomo .
Anche in questo caso i giudici erano chiamati ad interpretare un testo normativo: l’articolo 4, comma 1, della Convenzione Americana dei Diritti Umani, che stabilisce: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita. Tale diritto è protetto dalla legge e, in generale, dal momento del concepimento. Nessuno sarà arbitrariamente privato della vita.»
La Corte Suprema di Giustizia (in sostanza: la Corte Costituzionale) del Costa Rica aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del decreto che aveva autorizzato la fecondazione in vitro per contrasto con il diritto alla vita, dovendo l’embrione essere considerato persona ai sensi dell’art. 4 della Convenzione americana dei diritti umani.
La Corte Suprema di giustizia agganciava la propria valutazione al dato scientifico: «quando lo spermatozoo fertilizza l’oocita, quella entità diventa uno zigote e poi un embrione. La più importante caratteristica di questa cellula è che tutto ciò che gli permetterà di evolvere in un individuo è già al suo interno; tutte le informazioni necessarie e sufficienti per determinare le caratteristiche di un nuovo essere umano appaiono contestualmente alla unione dei 23 cromosomi dello spermatozoo e dei 23 cromosomi dell’oocita. Nel descrivere le divisioni cellulari che avvengono immediatamente dopo la fertilizzazione, emerge chiaramente che allo stadio di tre cellule un minuscolo essere umano esiste e da quello stadio ogni individuo è unico, rigorosamente diverso da ogni altro. In sintesi, dal momento del concepimento una persona è una persona e noi siamo di fronte ad un essere vivente, con il diritto ad essere protetto legalmente».
La conclusione della Corte era fondata sull’art. 21 della Costituzione del Costa Rica e sull’art. 4 della Convenzione Americana dei diritti umani, già menzionato: «L’embrione umano è una persona dal momento del concepimento; non può quindi essere trattato come un oggetto per gli scopi di ricerca, sottoposto a processi di selezione, crioconservato e – aspetto essenziale per la Corte – non è legittimo costituzionalmente esporlo ad un rischio sproporzionato di morte. L’applicazione delle tecniche prevede un’alta perdita di embrioni, che non può essere giustificata con il fatto che si intendeva creare un nuovo essere umano, fornendo un bambino ad una coppia che altrimenti non potrebbe averne uno. L’aspetto centrale è che gli embrioni la cui vita è prima cercata e poi violata sono esseri umani e la Costituzione non permette alcuna distinzione tra di loro.»
Ebbene, la Corte Interamericana giunse ad affermare che «l’embrione non può essere trattato come persona ai fini dell’articolo 4.1 della Convenzione americana», statuendo che «si ha concepimento, ai sensi dell’articolo 4.1, nel momento dell’impianto dell’embrione nell’utero, cosicché prima di questo evento non trova applicazione l’articolo 4 della Convenzione». In sostanza, la Corte ridefinì il termine “concepimento”, statuendo che «concepimento è l’annidamento»: decisione politica, che volutamente ignorava il dato scientifico, naturale.
Ma questo allontanamento portava con sé la negazione della tutela: non a caso la Corte affermava – interpretando ancora una volta la norma della Convenzione Interamericana dei Diritti Umani – che «la protezione del diritto alla vita ai sensi di tale disposizione non è assoluta, ma è graduale e progressiva secondo il suo sviluppo, cosicché non si tratta di un dovere assoluto e incondizionato, comportando possibili eccezioni alla regola generale».
Le conseguenze di questa decisione, con riferimento alla fecondazione in vitro, sono intuitive: se, prima dell’annidamento in utero, non esiste nemmeno un “concepimento”, l’embrione in provetta non è persona, non è uomo e qualsiasi azione nei suoi confronti è lecita.
DIRITTO DI PROPRIETA’ SUGLI EMBRIONI?
Questo atteggiamento è presente in numerose pronunce, in cui si parla addirittura di un “diritto di proprietà” sugli embrioni da parte dei committenti e, in un’ordinanza del Tribunale di Firenze che aveva sollevato una questione di costituzionalità per fortuna rigettata, si sostiene senza mezzi termini che non vi è alcun motivo per non donare alla scienza gli embrioni malati, visto che non servono più a quello per cui sono stati prodotti.
10. EUTANASIA: FAR MORIRE NON E’ PIU’ UCCIDERE
Vorrei segnalare che, in un modo molto più insidioso, lo scollamento dalla realtà naturale tende a prodursi anche con riferimento al tema dell’eutanasia.
Ricordiamo un dato: sia la sentenza di proscioglimento di Mario Riccio per l’uccisione di Piergiorgio Welby che il decreto di archiviazione pronunciato dal G.I.P. di Udine con riferimento alla morte di Eluana Englaro sono stati pronunciati sulla base dell’art. 51 cod. pen., vale a dire la scriminante dell’adempimento di un dovere e dell’esercizio di un diritto. In altre parole, i giudici hanno preso atto che la condotta integrava oggettivamente un omicidio, ma hanno ritenuto che coloro che l’hanno materialmente commesso erano legittimati a compierlo per rispettare la volontà del paziente (caso Welby) o perché autorizzati dai Giudici civili (caso Englaro).
La situazione ora cambia: le persone saranno uccise senza alcun intervento da parte di giudici, così come è avvenuto per Patrizia Cocco, di cui abbiamo parlato.
IL CONVEGNO ALL’ANT
Vi racconto una mia esperienza: in un incontro a Bologna all’ANT sulla nuova legge sulle DAT, ho volutamente usato la parola “uccidere” con riferimento a quell’episodio: Patrizia Cocco è stata uccisa. La platea era fatta di medici. Dopo di me ha parlato un palliativista che apprezzava molto la nuova legge.
Al termine, un medico ha posto a questo relatore la domanda: “secondo lei, è vero quello che ha detto il dr. Rocchi? La Cocco è stata uccisa?”. Il palliativista ci ha pensato qualche secondo e poi ha risposto: “no, perché è stata rispettata la sua volontà”.
Vedete: non c’è dubbio che la Cocco avesse ripetutamente chiesto di morire; non c’è nemmeno dubbio che solo dopo la legge i medici hanno potuto fare quello che prima non era permesso (staccargli il respiratore e sedarla mentre moriva soffocata); ma l’effetto di questa legge è molto più che permettere un’uccisione che prima era vietata: ora quella non è più un’uccisione, Patrizia Cocco, nella prospettiva di quel medico, “è stata curata”; anzi: è stata curata al meglio, perché i medici hanno rispettato la sua volontà.
Ancora una volta, il dato giuridico irrompe nella realtà naturale e pretende di modificarla e di modificarne la percezione da parte delle persone: non avremo, nei prossimi anni, nessuna statistica di quante persone sono state fatte morire in applicazione della legge, così come le Relazioni ministeriali non riportano il numero degli aborti provocati dalle pillole dei giorni dopo; in entrambi i casi, la legge impedisce a tutti di valutare un fatto così come è davvero.
11. LO SCOLLAMENTO DALLA REALTA’ RIGUARDA TUTTI
Fino ad ora ho evidenziato un fenomeno “giuridico”. Ciò che, però, preoccupa è l’effetto, ben conosciuto, che queste leggi e queste sentenze hanno sul modo di pensare delle persone e dell’intera società.
VENGONO PRIMA LE LEGGI INGIUSTE O I MUTAMENTI SOCIALI?
So bene che, secondo alcuni, non sono le leggi ingiuste a determinare i mutamenti sociali, essendo esse il prodotto dei predetti mutamenti. C’è del vero: del resto, se siamo arrivati ad approvare certe leggi e a confermarle nei referendum, evidentemente c’era una tendenza che era stata percepita dai politici. Del resto, bisogna ricordare che, in una mentalità “progressista” della politica e del diritto (che io intravedo in tanti discorsi e sentenze di miei colleghi), il diritto deve adattarsi ai mutamenti sociali, prendere atto degli stessi, tendenzialmente senza porsi il problema se sta approvando norme giuste o ingiuste, salvo improvvisi sussulti emozionali (come quello che stiamo vedendo sulla politica migratoria – di cui, specifico subito, non parleremo – in cui alcuni si stracciano le vesti anche sotto il profilo giuridico): si tratta di fenomeni di breve durata, mossi per lo più da soggetti pronti a tacere quando sarà il momento o a indignarsi a comando in una prossima occasione.
In realtà le leggi ingiuste educano il popolo in una determinata direzione e contribuiscono con grande efficacia a portare a termine l’opera iniziata da coloro che hanno spinto per approvarle.
Poche battute: se si facesse oggi un referendum come quello sull’aborto del 1981 (32 per cento favorevoli all’abrogazione della legge), quale sarebbe il risultato? Cosa significano 400 confezioni di pillola dei cinque giorni dopo vendute ogni giorno in Italia? Chi è a conoscenza che la fecondazione in vitro provoca la morte di nove embrioni prodotti su dieci? Qualcuno è in grado di proporre un referendum sulla legge sulle DAT?
Come sappiamo bene, avendo pubblicato la ricerca Figli di un’etica minore, la diseducazione è assolutamente diffusa anche tra i cattolici e, soprattutto, i giovani cattolici.
Nell’articolo che ho pubblicato dopo l’uccisione di Patrizia Cocco, concludevo con una domanda: tra qualche mese, tra qualche anno, chi sarà in grado di negare che sopprimere su sua richiesta un malato di SLA senza farlo soffrire sia una cosa buona? Aggiungo: e un anziano malato di Alzheimer? E un bambino molto malato?
12. L’INSEGNAMENTO DI MARIO PALMARO
Ma tutto ciò è favorito da quel fenomeno che il passo di Mario Palmaro che è riportato nel depliant descriveva: giungere a ritenere “buona” una legge – e quindi la condotta che tale legge permette e legalizza – che si è tentato inutilmente di abrogare e che, via via, educa tutti, anche coloro che educano gli altri (ad esempio, i vescovi, i politici, i Presidenti delle associazioni cattoliche …).
Guardate che Mario descriveva quanto è avvenuto per la legge 194 che venne fieramente combattuta prima della sua approvazione e che – in un modo più o meno perfetto, non stiamo qui a valutare – si cercò di abrogare; ma la legge 40 sulla fecondazione artificiale – come chi ha fondato il nostro Comitato sa bene – è nata su spinta di coloro che non volevano più vivere questa sconfitta e, quindi, mettevano su un piatto di argento una soluzione che, all’epoca, essi ritenevano solo “imperfetta”; e che dire sull’approvazione della legge sulle DAT? Dopo che, nella precedente legislatura era fallito lo stesso disegno – approvare una legge che legalizzasse l’eutanasia “cattolica” – di fronte ad un atto violento e proditorio della scorsa maggioranza sono sorte voci in campo cattolico che hanno espressamente negato che la legge introducesse l’eutanasia e hanno auspicato la sua approvazione!
13. COSA SOGNARE O SPERARE PER IL FUTURO
Vabbè, vi ho tediato per giungere insieme a voi ad una risposta alla domanda: cosa sognare per il futuro?
In realtà, per quello che vi ho detto fino ad ora, la domanda sembra anch’essa indicare uno scollamento, quasi che la situazione attuale che – forse in modo troppo pessimistico – vi ho proposto ci indugiasse a rifugiarsi nei sogni, nello sperare un futuro idilliaco in realtà impossibile. Quindi, cambiamo subito la domanda: cosa sperare per il futuro?
Due considerazioni.
MONS. NEGRI: I BARBARI A ROMA E SAN BENEDETTO
Quando abbiamo presentato a Roma il libro Figli di un’etica minore in un incontro molto riuscito, mi colpì molto quello che disse mons. Negri.
Dopo la mia presentazione che dava atto del quadro desolante che emerge da quel libro, mons. Negri non negò affatto il giudizio e non negò nemmeno che nel quadro entrava anche la crisi della Chiesa. Disse però, che non era mica la prima volta che succedeva qualcosa del genere e fece – con molta semplicità – riferimento alla caduta dell’Impero Romano: i barbari a Roma, una civiltà distrutta, la “fine del mondo”; in quella situazione intervenne San Benedetto nel modo che sappiamo e ricostruisce l’Europa con i suoi monaci.
14. ESSERE PRO-LIFE
La seconda considerazione riguarda il nostro “essere pro-life” e i nostri obiettivi: noi speriamo di “vincere” e di cambiare la società così da renderla rispettosa di ogni vita umana oppure “vinciamo” tutte le volte che un bambino in meno è ucciso, una mamma in più riesce a decidere di non abortire, un disabile o un anziano continua a vivere nonostante ci siano quelli che fanno di tutto per ucciderlo?
Sempre Mario Palmaro, nella lettera a Carlo Casini del 17/5/2013, nell’indicare “La Verità svelata dal tempo” di Bernini come simbolo del Comitato Verità e Vita e nel definirci “una piccola compagnia di gente che non si prefigge di cambiare il mondo a colpi di male minore e di compromessi, ma affermando qui e ora tutta le verità, pur sapendo che è messa in minoranza dall’opinione pubblica”, parla di speranza che il tempo la vedrà trionfare e del fatto che l’opera iniziata sarà continuata da altri, che non taceranno.
15. UNA BATTAGLIA MONDIALE E DI POPOLO
E allora, perché sperare per il futuro? Ovviamente ognuno ha le sue risposte, io propongo qualche riflessione, basata anche sugli argomenti che saranno trattati in questo Seminario e sugli illustri relatori che ascolteremo.
15.1 In primo luogo, quella per la difesa della vita è una battaglia che si combatte in tutto il mondo e non è affatto persa in tutto il mondo: Samuele Maniscalco ce ne darà testimonianza, suppongo che ci darà un quadro con le luci e le ombre, le vittorie e le sconfitte, ma soprattutto con la vitalità del mondo prolife, bello, allegro, propositivo, preparato.
In secondo luogo, sempre ricollegandomi a quello che ci dirà Maniscalco, è una battaglia di popolo e di popoli.
Lo sappiamo bene: le leggi contro la vita sono sempre state volute da comitati ristretti, gruppi di potere, anche economici, gente – fra l’altro – assai attaccata al Dio denaro (come indica la fecondazione in vitro) e con un pelo sullo stomaco davvero notevole. I radicali in Italia ne sono un chiaro esempio e i legami di Emma Bonino con Soros e compagnia emersi recentemente sono assai significativi.
Le modalità con cui prima la legge sulle unioni civili (nonostante i Family Day) e poi la legge sulle DAT sono state approvate nella precedente legislatura sono impressionanti da questo punto di vista. E per fortuna ancora in Italia c’è la democrazia che, in qualche modo, funziona, così da far piangere colui che voleva rottamare tutto ma che, in un momento di distrazione, non aveva sentito il boato di chi gli diceva “Ci ricorderemo …”.
16. UNA BATTAGLIA PER LA NATURA
Soprattutto, la battaglia per la vita si fonda sulla natura delle cose: abbiamo già visto la contrapposizione tra artificialità e natura, quello scollamento.
Forse qui possiamo capire più a fondo cosa significa essere prolife, difendere “la vita”.
Vedete, noi abbracciamo senza timore tutta la vita, tutta la realtà naturale, non abbiamo paura di niente: noi non ci fermiamo alle “percezioni soggettive”, all’emotività, come vorrebbero i padroni dei media e dei social network; noi, piuttosto, ascoltiamo la coscienza che, se rettamente formata, ci indica davvero cosa è giusto o sbagliato (di questo ci parlerà Tommaso Scandroglio).
Noi non abbiamo paura della scienza – avremo due grandi scienziati sabato, il prof. Massimo Gandolfini e il prof. Giuseppe Noia – anzi: sappiamo bene quanto sia antiscientifica moltissima legislazione e pubblicistica contro la vita (pensiamo, ad esempio, alle sentenze che ancora dicono che non è certo l’inizio della vita umana o che dare da bere e da mangiare ad un disabile è una terapia o che un soggetto in stato vegetativo è “sostanzialmente morto”).
La scienza è anche quella economica, di cui è un grande rappresentante il prof. Ettore Gotti Tedeschi: noi siamo interessati a tutto quanto emerge dagli studi, agli approfondimenti, a punti di vista differenti.
17. AMARE L’UOMO NELLA SUA INTEGRALITA’
Ma abbracciare la natura significa guardare con amore a tutta l’esperienza umana, a vedere l’uomo nella sua integralità, cosicché sappiamo e accettiamo che c’è gioia e dolore anche nella paternità, come ci dirà Andrea Torquato Giovanoli.
In realtà, fare l’uomo a pezzi è proprio il modo di agire dei nemici della vita: pensate a come la fecondazione in vitro fa l’uomo e la donna a pezzi, li riduce nelle loro funzioni e, quindi, accetta tranquillamente che l’uno e l’altro possano essere eliminati o sostituiti (utero artificiale, fecondazione eterologa, utero in affitto, seme sintetico); pensate a come la legge sul consenso informato nega una vera alleanza terapeutica tra medico e paziente, un rapporto oltre che scientifico, umano nella sua integralità e lo vede come un rapporto in cui c’è un atto scritto con le disposizioni che il medico deve eseguire, staccando il respiratore a uno sconosciuto senza nemmeno guardarlo in faccia.
18. CONCLUSIONI
Quindi, possiamo – dobbiamo – sperare ma, soprattutto, operiamo nel presente.
Come scrissi qualche anno fa, la difesa della vita ha bisogno di verità: la “verità delle cose”, di cui abbiamo parlato, che va accettata, compresa, esposta e proposta nella sua integralità, senza nascondimenti o ipocrisie; e la verità sulle leggi, che è nel nostro DNA e che non è affatto un’operazione settoriale, specialistica.
Noi vogliamo continuare a rimanere uomini e ad aiutare e salvare gli uomini.