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194, legge ingiusta

2009-03-28

Mario Palmaro: «Riveste un delitto con la forma del
diritto»

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Professor Palmaro nel
maggio 1978 un editoriale della Civiltà cattolica definiva
la «194» una legge iniqua ancora più grave
dell’assassinio di Aldo Moro. E auspicava che l’aborto fosse
combattuto sul piano educativo nella famiglia e nella scuola per
contrastare l’ideologia veicolata dai mass media. 

 

Ad oltre trent’anni di distanza quelle parole sono terribilmente
attuali ma la battaglia culturale sembra persa. Cosa ne
pensa?
 
La «194» riveste un delitto
con la forma giuridica del diritto. E dobbiamo anche constatare
che, a distanza di trent’anni, quel giudizio della Civiltà
cattolica é oggi dimenticato, o considerato imbarazzante. Si
tratta di un segnale di sconfitta: la legge ha fatto cultura e
finisce con l’essere accettata come normale anche da molti che in
origine l’avevano contestata. Nel suo ultimo libro a
proposito di «194» lei parla di fenomenologia di una
legge ingiusta. Perché?
 
Perché
questa legge è intrinsecamente iniqua. Essa non è una
buona legge applicata male, non può nemmeno essere
considerata «un compromesso onorevole» che attende solo
di essere interpretato meglio. Secondo la classica dottrina del
diritto naturale, quando una legge positiva contraddice lex
naturalis essa non è più una vera legge, ma la sua
negazione, e cessa di essere vincolante in coscienza. La
«194» ha tutti i requisiti essenziali di una legge
ingiusta, perché il suo nucleo è riassumibile
nell’idea che la donna, e con lei la società, a certe
condizioni possono sopprimere un essere umano innocente. Certi
giudizi indulgenti sulla 194 nascono da una conoscenza
approssimativa del suo contenuto. 

 

Scrive Corrado Alvaro: «Non esiste difetto che, alla
lunga, in una società corrotta, non diventi pregio;
né vizio che la convenzione non riesca ad elevare a
virtù». È successo anche per
l’aborto?
 
Sì. Pensiamo ad esempio
all’aborto eugenetico, che la «194» ha
legalizzato attraverso un astuto bizantinismo. Oggi la diagnosi
prenatale è utilizzata sempre più per individuare i
feti con patologie e per procedere di norma alla loro eliminazione.
Ormai, dei genitori che facciano nascere un figlio down sono spesso
guardati con disapprovazione. Oppure giudicati degli eroi, a
indicare che la normalità è, in quel caso,
l’aborto. Questa cultura di morte ha suscitato la reazione
coraggiosa di personalità della cultura laica, e cito su
tutti l’amico Giuliano Ferrara. Ma spesso la critica rimane sul
piano etico ed educativo, e tende a considerare intangibile il dato
normativo. Anche chi è «contro l’aborto»,
poi aggiunge che «la legge però non va toccata».
Un cortocircuito logico che certifica la vittoria del pensiero
abortista nel nostro Paese. 

 

La sottolineatura a priori dell’autodeterminazione della donna
nella scelta di abortire è stato il colpo di grazia alla
figura del padre?
 
La «194» è
una legge di evidente impianto vetero femminista, fondato sull’idea
che l’aborto è una «questione della donna, di
cui devono parlare solo le donne». Questa idea si è
così diffusa che oggi è spesso ripetuta anche dagli
avversari dell’aborto. L’aborto è, invece, una
questione di vita o di morte. Del figlio. 

 

In che misura si può affermare che la «194»
ha contribuito all’emergenza educativa di cui tanto si
parla?
 
L’aborto legale è il
coronamento della rivoluzione sessuale. Esso serve come
«soluzione finale» al fallimento, statisticamente
inevitabile, della contraccezione, all’interno di un modello che
incita i nostri ragazzi a «provare» il sesso il prima
possibile, rendendoli schiavi dei loro istinti. Secondo i dati del
ministero della salute, dal 1978 a oggi la legge ha fatto
più di 5 milioni di vittime innocenti. A queste vanno
aggiunte tutte le donne protagoniste di questo gesto, che le lacera
nel profondo della coscienza. Una tragedia di fronte alla quale lo
Stato non si oppone, ma si mette a disposizione per eseguire
l’aborto a spese dei contribuenti. 

 

C’è una parte della 194 che enuncia la tutela della
maternità. Eppure non è mai stata attuata. Quale
può essere in questa direzione il contributo dei «pro
life»?
 
Molti bambini possono essere
salvati, se solo si permette ai volontari dei Centri di Aiuto alla
vita di incontrare le donne con una gravidanza difficile. Tuttavia,
occorre essere chiari: i «pro life» sono chiamati a
operare in vigenza di questa legge, ma non possono accettare di
tacerne l’intrinseca iniquità. Questa verità è
la prima carità richiesta a chi si mette al servizio della
vita. 

 

Nei suoi attacchi alla vita la cultura laicista sembra
perseguire la strada della gentilezza: non parla di aborto ma di
interruzione della gravidanza; non si parla di uccidere un persona
in coma o in stato vegetativo ma di liberarla. Sembra una trappola
studiata dai profeti del buonismo per mettere in difficoltà
soprattutto i cattolici…
 
L’antilingua
funziona come un potente anestetico: addormenta le coscienze, e
rende accettabili azioni in sé orribili, non a caso punite
dal codice penale fino a qualche decennio fa. C’è un
effetto-assuefazione anche fra i cattolici. Occorre costantemente
smascherare questo inganno. Direi che Bologna ha avuto, in
questo senso, il dono di due straordinarie voci profetiche: prima
il cardinale Biffi, e ora l’arcivescovo Caffarra.
Ascoltiamoli. 

 

La vicenda di Eluana sembra ripetere nelle intenzioni dei
sostenitori dell’eutanasia quanto accaduto con la
«194». Cosa si può fare per contrastare questo
progetto?
 
La vita si difende difendendo la
verità tutta intera. Il testamento biologico è sempre
un mostro giuridico, perché il testamento si fa per disporre
dei beni patrimoniali, non della propria vita. 

 

Ci sono gli spazi per riformare la 194? Ci sono le condizioni
culturali e politiche per cancellarla?
 
Non
dobbiamo stancarci di continuare a proclamare che la legge
«194» è ingiusta. Dobbiamo dirlo alle nuove
generazioni, mostrare loro la bellezza della vita nascente e
l’orrore dell’aborto. Non si è mai sentito dire che
una legge ingiusta si sconfigge dicendo che è «una
buona legge». Creare le condizioni culturali per cancellare
la 194 dipende da noi. 

 

Tratto da
Avvenire – Bologna7 di domenica 22 marzo 2009 di Stefano
Andrini 




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